(di Roberto Falaschi) – Tra meno di un mese, il 17 aprile, gli elettori italiani saranno chiamati ad esprimersi con un si, un no oppure un ‘non voto’ circa un quesito referendario del quale a tutt’oggi la maggior parte ne è all’oscuro, o quasi.
Vediamo dunque di che si tratta. Nel mare Adriatico è stata individuata la presenza di petrolio e gas quindi è in corso la trivellazione per estrarlo, utilizzarlo e così risparmiare valuta sulla bolletta energetica. Sta di fatto che questi lavori avvengono e avverranno entro le acque territoriali e pertanto necessitano l’autorizzazione dell’Italia.
Con un mare poco profondo come l’Adriatico la trivellazione è non solo facile, ma anche relativamente poco costosa, oltre che alquanto sicura dato che non sarebbe difficile controllare celermente un eventuale e poco probabile incidente.
Inoltre, dette trivellazioni generano numerosi posti di lavoro mediamente ben retribuiti dei quali sicuramente non vi è abbondanza. Detto in breve queste trivellazioni generano benessere.
Fin qui la logica ed il buon senso vorrebbero che esse venissero auspicate ed incentivate. Bene non è così. Una delle unicità dell’Italia è data dal fatto che trovare petrolio è una iattura e non una fortuna: Italiche bizzarrie.
Un soggetto logico avrebbe tendenza a meravigliarsi dell’ostilità che queste trivellazioni generano, ma se lo stesso individuo considera che ci troviamo in Italia la cosa diventa naturale. E’ questo in effetti probabilmente l’unico luogo del globo terracqueo nel quale vige la regola dei diritti avulsi dai doveri (che roba sono?) e conseguentemente, com’è ovvio, dell’utilizzo del petrolio senza però estrarlo. Non è possibile infatti pensare di realizzare un progetto o un’opera pubblica senza che spunti immediatamente il “comitato del no”. NoTav, NoPonte, Notermovalorizzatore etc…
L’Italia è anche un paese con un governo per definizione pavido e quindi ad ogni sussulto negativo per un suo progetto ha ripensamenti: vuoi vedere che perdo la cadrega se insisto. Ed al contempo vi è attualmente un partito di maggioranza che maggioranza effettiva non è in quanto va racimolando voti in ogni dove per galleggiare.
Ma come se non bastasse ecco che il così detto partito di maggioranza relativa rema contro se stesso dato che anche in questa circostanza è schierato sia per il NoTriv che per SiTRiv. Dando un ulteriore esempio di coesione governativa. Tanto è incerta la posizione del partito di così detta maggioranza che delle nove regioni che hanno posto quesiti referendari contro le trivellazioni ben sette sono governate dalla sinistra, mentre le altre due sono dell’opposizione, ossia Liguria (FI) e Veneto (Lega).
Non si capisce bene perché queste ultime si siano unite al gruppo masochista, ma tant’è. Ora si vede bene che in questo caso non si tratta di una questione di coscienza posta da cittadini ai cittadini, ma da un’ azione avviata da una forza politica contro se stessa.
Il governo per non saper che fare in quanto privo della necessaria capacità di governare ha prontamente tentennato e poi coraggiosamente deciso di ritirare le concessioni ad ulteriori trivellazioni. La maggioranza dei quesiti sono quindi caduti, salvo quello che sarà votato il 17 aprile.
Per prendere una decisione ponderata i votanti dovrebbero avere delle cognizioni tecniche che, salvo alcuni, ovviamente non possono avere e quindi come potranno decidere se esprimersi per un no oppure un si? In base alle indicazioni dei partiti?
Forse quelli di centro e di destra potranno seguire quanto suggerito da FI, Lega, FdI, ma quelli di sinistra e principalmente quelli che voterebbero PD le indicazioni di chi potrebbero seguire? Vale a questo punto aprire brevemente una questione sui referenda.
Se i quesiti sono di natura tecnica il referendum non dovrebbe essere ammesso per mancanza di conoscenze specifiche dell’elettorato, mentre dovrebbero essere ammessi solamente quelli relativi a problematiche di coscienza o morali quali divorzio, aborto e simili.
Riprendendo il filo con le trivellazioni ed andando ad esaminare il così detto punto forte dei NoTriv appare chiaro che si tratta di una posizione solo autolesionista. Infatti quanto giace nel sottosuolo non si limita alle acque sotto sovranità italiana, ma si estende abbondantemente verso la costa opposta dell’Adriatico e quindi le trivellazioni ci saranno comunque, in compenso compreremo una materia prima che avremmo potuto procurarci autonomamente ad un costo moto inferiore e pagato comunque senza esportare capitale.
Se malauguratamente si dovesse verificare un improbabile incidente che la trivellazione abbia una bandiera o un’altra inquinerebbe ugualmente.
Naturalmente la tecnologia italiana in materia essendo tra le più evolute la probabilità di una qualche fuoriuscita accidentale sarebbe più elevata in caso di trivellazioni di paesi limitrofi.
Oppure vuoi vedere che magari sarebbe pure una società italiana a trivellare, cioè la stessa cui era stato vietato dal patrio governo?
Questo referendum appare quale una sostanziale buffonata generata da partiti che da una parte non sanno governare nell’interesse Patrio (fortuna che Cossiga e Ciampi abbiano reintrodotto questa parola nella lingua italiana), mentre dall’altra dimostrano chiaramente di non sapere cosa vogliono in quanto partiti.
Questi dovrebbero per definizione essere portatori di un’idea che li identifica, ma quando vediamo che una parte di partito crea addirittura un referendum contro l’altra… vien da ridere per non piangere.
Chiaramente un referendum non è gratis, ma ha un costo elevato e tutti noi cittadini veniamo non tosati, ma spellati dal fisco per poi veder scialacquati i nostri sudati soldi in modo così osceno.
E’ comunque inutile soffermarsi sulla esatta natura dell’unico quesito referendario residuale su accennato, che ad ogni modo è palesemente truffaldino in quanto il punto che differenzierà il si dal no, non è non si trivella oppure si, ma bensì sulla durata delle ricerche per cui se vince il no si potrebbe andare avanti, ma non è certo, mentre se la spunta il si il tutto s’arresta.
Appurato che il quesito referendario non è concludente per un verso o per l’altro e che i nostri beneamati politici per guerra intestina nel medesimo partito hanno portato ad uno spreco pecuniario totalmente inutile si tratta di stabilire cosa votare.
Affinché un referendum sia valido il 50% + 1 degli aventi diritto al voto deve essersi recato alle urne. Si badi bene, non il 50% + 1 dei votanti, ma bensì degli aventi diritto al voto.
Quindi la soluzione su come comportarsi è molto semplice. Non andare a votare facendo così fallire le diatribe interpartitiche e dimostrando l’insoddisfazione per consultazioni referendarie triviali.
Il referendum deve essere cosa seria di importanza nazionale e che abbia un valore di coscienza, non tecnico la cui comprensione è limitata agli addetti. Faccia l’elettorato comprendere che i suoi soldi, benché in mano allo stato, vanno spesi oculatamente e nell’interesse generale.
Il contratto sociale è che lo stato si attribuisce una parte del reddito dei cittadini per eseguire attività e lavori di utilità generale, non per beghe partitiche o per dei quesiti posti da comitati vari che nulla hanno a che vedere con l’ interesse collettivo.
Il primo referendum abrogativo fu quello sul divorzio del 1974, quindi per i primi 26 anni di repubblica non ci furono referenda e tutto andò per il meglio con una crescita costante del PIL e con un debito pubblico decisamente sotto controllo.
Dal 1974 al 2011 ci sono stati 39 referenda validi e 27 non validi. Questi ultimi soprattutto tra i più recenti e comunque la percentuale dei partecipanti al voto è andata progressivamente restringendosi.
Ai referenda del 2011 si sono presentati alle urne solamente il 54% degli aventi diritto, contro quasi l’ 88% di quello del 1974. Segnale evidente del disinteresse della cittadinanza per i quesiti posti. Speriamo che chi di dovere lo capisca ed eviti inutili sprechi.
Intanto che i cittadini la domenica 17 aprile 2016 possano esprimere il loro ponderato parere sul quesito referendario godendosi una giornata di tutto relax lontani dai seggi elettorali. Il più lontano possibile.