(di Roberto Falaschi) – Come ogni anno, il 25 aprile l’Italia si distingue nel mondo quale unica Nazione che celebra la sconfitta e l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (A.N.P.I.) sfila imbandierata per le vie cittadine con fanfare ed Autorità di ogni sorta.
Di una guerra brutalmente e umiliantemente persa con resa incondizionata non si capisce cosa vi sia da celebrare.
L’incapacità dei generali e soprattutto del governo, di accertarsi che le disposizioni impartite fin da agosto 1943, cioè un mese prima del fatidico 8 settembre, fossero ubbidite fu totale. I comandi delle FF.AA., eccetto quello della Regia Marina, li ignorarono causando il totale sbandamento del Regio Esercito e della Regia Aeronautica e lasciando nelle mani dell’ex alleato il territorio non occupato dagli Angloamericani. Conseguentemente l’Italia si trovò divisa in due. Una a Sud con un governo fantoccio sotto controllo degli Alleati (tra loro e non con l’Italia, paese considerato nemico arresosi incondizionatamente) ed uno a Nord sotto stretta sorveglianza della Germania.
La presenza unificante del Re Vittorio Emanuele III al Sud fece sì che non vi furono che scarsissimi tentativi di guerriglia anti Alleata nel Meridione, mentre a nord si svilupparono, soprattutto con esponenti delle FF.AA. italiane sbandate, numerosi movimenti partigiani. Parallelamente il partito comunista avviò una campagna partigiana a cui si aggiunsero elementi socialisti e di altri partiti diventando la parte più numerosa. La “lotta partigiana” fu sempre contraddistinta da due gruppi fondamentalmente ostili tra loro, come dimostrato anche dalla strage di Porzus ad opera di partigiani rossi ai danni di quelli azzurri.
Si dovrebbero considerare tra i partigiani anche i membri delle FF.AA. del Sud che, fedeli al giuramento dato al Re, combatterono contro i tedeschi dando un notevole sostegno militare agli angloamericani. La resa del 1943 ed il contributo dello Stato Italiano dato nella guerra contro la Germania ebbero, tra l’altro, la conseguenza positiva di evitare lo smembramento dell’Italia in più parti già previsto dagli Alleati.
I partigiani condussero operazioni aggressive contro le forze della Repubblica Sociale Italiana (R.S.I.) e quelle tedesche senza creare rappresaglie in quanto considerate operazioni belliche. Furono le azioni dei Gruppi di Azione Partigiana (G.A.P.) con attentati a generare la reazione tedesca. Queste aggressioni motivarono le rappresaglie tedesche che nel loro insieme causarono tra 7500 e 10mila morti tra gli italiani. Era noto dai bandi tedeschi che per ogni militare ucciso in un attentato vi sarebbe stata una rappresaglia di uno a dieci, quindi chi compiva attentati era ben conscio di quanto sarebbe accaduto in conseguenza delle sue azioni (per gli Alleati in casi simili il rapporto era di uno a dodici).
Per inciso e per mera informazione, i bombardamenti dei “liberatori” sull’Italia repubblicana causarono un numero di morti che secondo varie stime oscilla da un minimo di 42mila ad oltre 50mila e particolarmente odiosi furono i mitragliamenti sui civili nelle campagne.
Naturalmente il 25 aprile viene celebrato per inneggiare alle gloriose azioni dei partigiani che consentirono la disfatta dei tedeschi e conseguentemente della RSI. Questa versione dei fatti lascia supporre che nei numerosi cimiteri di guerra nella Penisola dove sono sepolti combattenti degli Stati Uniti, del Regno Unito, del Commonwealth, della Polonia, della Francia etc. vi siano le tombe di giovani che vennero a suicidarsi nelle terre italiche e non per vincere una guerra contro un nemico potente e ben addestrato in grado di subire attacchi partigiani senza difficoltà, ossia spostando un numero irrilevante di combattenti dal fronte.
Il rispetto è dovuto a tutti coloro che onestamente seguirono i loro ideali e da ambo le parti si batterono. Non era aspirazione degli italiani diventare parte dell’ideologia nazista, tuttavia lo stesso si può affermare per quanto attiene all’ideologia comunista per la quale si battevano i partigiani “rossi” i cui discendenti sono attualmente i soci dell’ANPI: Rari reduci e molti giovani.
Le elezioni della domenica 18 aprile 1948 sancirono la scelta italiana per il regime capitalistico/democratico in opposizione a quello totalitario/ideologico-comunista. In definitiva i partigiani e la loro ideologia furono sconfitti dai cittadini italiani che optarono per un regime democratico rispetto ad uno totalitario marxista che era stato voluto dai partigiani e da chi li guidava.
Settantacinque anni dopo la fine ufficiale dei combattimenti in territorio italiano e settantatré dopo la firma del capestro trattato di pace impostoci dagli Alleati (nostri liberatori?) appare quanto meno bizzarro continuare a celebrare un evento che rappresenta, sì la fine del conflitto per gli italiani, ma altresì una umiliante sconfitta per delle decisioni errate assunte precedentemente e per combattere una guerra che fattori geografici avrebbero comunque impedito di vincere.
Per avere un’idea chiara dei sentimenti degli Alleati, il suggerimento è quello di leggere il testo integrale con gli annessi del Trattato di Pace imposto all’Italia nel 1947, le cui previsione rendevano il Paese una colonia date li umilianti limitazioni imposte non solo e comprensibilmente alle FF.AA., ma anche a tutta una serie di attività economiche.
Non vi era nulla di “amichevole” nell’atteggiamento degli Alleati verso l’Italia, sempre e comunque considerata paese nemico sconfitto. Chi ha vissuto quei tempi se lo ricorderà, così come rammenterà le malefiche “amlire” che finirono per distruggere l’economia italiana. La posizione geografica della Penisola fece sì che la Guerra Fredda rendesse necessaria l’Italia per la parte dalla quale essa si era trovata e ciò fece sì che le clausole capestro del trattato fossero disattese. Ironia del destino, la dignità italiana calpestata dai “liberatori” fu salvata involontariamente da Stalin !
Allora, se il 25 aprile non rappresenta la fine della Seconda Guerra Mondiale, non rappresenta la fine della Guerra Civile in Italia protrattasi ben oltre quella data, non rappresenta un fatto unitario della Nazione, quale mai può essere la motivazione che la renda tutt’ora “Festa Nazionale”. Può essere tale una ricorrenza nella quale si celebra l’apparente vittoria di alcuni cittadini su altri cittadini? La risposta appare ovvia. Vi fu un decreto luogotenenziale che la istituì per opportunità politiche dell’epoca venute meno da lungo tempo.
Altri sono gli avvenimenti che dovrebbero essere motivo di celebrazione congiunta di tutta la cittadinanza, quale ad esempio il 4 novembre giorno che rappresenta un grandissimo evento nazionale ed unitario, ora declassato a festa delle FF.AA. e pertanto quasi ignorato dalla politica e cultura italiane. Si ignora una grande vittoria per ricordare una umiliante sconfitta. Vi è una data fondamentale per l’Italia moderna: il lunedì 17 marzo 1861, proclamazione del Regno d’Italia, che dette l’avvio alla sua completa unità. Si celebra il 2 giugno, ma riflettiamo che non ci sarebbe stata la Festa della Repubblica senza la proclamazione del Regno.
Ecco, il 17 marzo è una data di unità che andrebbe valorizzata e non lasciata nell’oblio. Evitiamo anche così che sia solamente un campionato mondiale di calcio a far sentire agli italiani di essere italiani.
Ecco, il 17 marzo potrebbe sostituire vantaggiosamente il 25 aprile.
Pensiero in calce: ma quest’anno cosa ci sarà da celebrare con gli arresti domiciliari ed una gravissima crisi economica incombente con una altrettanto seria situazione politica.