La notte del 9 ottobre 1963 un’enorme massa di roccia, del volume di 260 milioni di metri cubi, si staccò dal versante settentrionale di monte Toc, al confine tra Veneto e Friuli Venezia Giulia, e piombò rapidamente nel sottostante bacino idroelettrico artificiale che raccoglieva le acque del torrente Vajont.
Ieri, 9 ottobre, ricorreva il 51° anniversario e nel ricordare quanto accaduto nel 1963, è doveroso non dimenticare l’importante ruolo dell’Esercito italiano a sostegno della popolazione.
L’onda di acqua e melma che scese nella valle sottostante era alta oltre 100 metri e, correndo velocissima, preceduta da una violentissima onda d’urto, distrusse tutto ciò che si trovava davanti, radendo al suolo interi abitati e lasciandosi dietro una lunga scia di morti. Si contarono circa 2.000 vittime.
Per fronteggiare i danni, intervenne prontamente l’Esercito italiano. In particolare, tra i primi soccorritori giunse la Brigata Alpina “Cadore”, che partecipò all’opera di ricerca dei dispersi con una presenza media di 2014 unità di varie armi e specialità.
Fino al 17 novembre si alternarono, in totale, 3.488 militari. Giovani militari di leva, ufficiali e sottufficiali per 38 giorni scavarono tra il fango, anche a mani nude, per estrarre le vittime.
Alle attività di soccorso, oltre agli alpini del 7° Reggimento, parteciparono centinaia di paracadutisti, fanti, artiglieri, genieri, trasmettitori, cavalieri ed elicotteristi.
Un impegno per i quale le Bandiere del 7° Reggimento Alpini e del 6° Artiglieria da Montagna vennero decorate con la Medaglia d’oro al valor civile.
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ottobre 4, 2012