(di Roberto Falaschi) – Su quanto accaduto l’8 settembre 1943 sembra che tutto quanto c’era da sapere sia ormai noto. Eppure resta ancora tanto spazio per porsi alcune domande sul periodo che precedette e seguì quella fatidica data.
Come premessa, perché mai a partire dall’estate 1943 cominciarono ad affluire in Italia dal Brennero truppe tedesche in quantità e qualità non giustificabili dagli eventi bellici in corso e perché il governo Badoglio nulla fece per limitarne l’arrivo ben sapendo che erano in corso negoziati per uscire dal conflitto?
Peraltro dal comportamento dei tedeschi doveva apparire evidente che essi avevano almeno subodorato, se non venuti a conoscenza, di trattative varie per uscire dal conflitto.
E’ anche possibile che i tedeschi sapessero delle circolari dell’agosto 1943 inviate a tutti i comandi d’Armata impartendo le istruzioni comportamentali in caso di resa.
In effetti per tempo il Ministero della Guerra aveva trasmesso circolari ai comandi dell’Esercito, della Marina, dell’Aeronautica e delle truppe fuori del territorio nazionale con dettagliate istruzioni da seguire ove vi fosse stato un armistizio.
Esse inoltre specificavano con l’espressione “da qualunque parte avvenga l’aggressione” chiaramente le FF.AA. tedesche, perché nell’ipotesi delle circolari gli aggressori non avrebbero potuto che essere loro. Così come fu detto da Badoglio nell’annunciare l’armistizio.
Chiaramente di esse circolari non venne tenuto alcun conto, altrimenti non avremmo avuto lo sbandamento che si ebbe e migliaia di cittadini italiani in armi non sarebbero finiti al muro o in campo di prigionia trattati quali non combattenti perché l’Italia non era in guerra con la Germania.
La frase “automaticamente sarà considerato in stato di guerra chiunque aggredisca le Regie FF.AA.” nell’annuncio di armistizio sarebbe senz’altro stata di enorme ausilio ai nostri militari.
Vi è poi da domandarsi perché non furono eseguite le disposizioni delle summenzionate circolari anche considerando la maniera confusionaria con cui fu annunciato l’armistizio.
Tra l’altro, prima dagli Alleati che dall’Italia. Non si può che escludere che tutti i comandi militari siano stati colti da codardia o da tradimento, quindi il mistero resta. Vuoi vedere che per motivi di “segretezza” furono tenute in cassaforte e non diramate a chi di competenza e quindi rese vane.
Vi è poi la scontata vulgata della fuga del Re e del governo da Roma. In effetti essi lasciarono Roma, ma perché l’ abbandonarono anziché difenderla?
Alla luce della situazione della disposizione e della quantità e del tipo delle FF.AA. italiane e tedesche nei dintorni della capitale si comprende come essa non potesse essere vantaggiosamente tenuta in mani nazionali.
Le FF.AA. italiane erano sulla carta sì più potenti dei nuovi avversari disponendo anche di numerose forze corazzate, ma… i depositi carburanti benché italiani erano sotto controllo avversario e senza combustibile una battaglia moderna è irrimediabilmente persa.
Si aggiunga anche il fallimento della missione notturna a Roma del generale statunitense Mark Clark, che convinse gli Angloamericani a non paracadutarsi sull’aeroporto di Ciampino. Anche ciò potrebbe contribuire a giustificare l’abbandono della capitale.
Il trasferimento del Re con il seguito non avvenne verso una località controllata dagli Angloamericani, ciò che avrebbe reso ancora più evidente la sottomissione dell’Italia ai vincitori, ma attraversata la penisola fino all’Adriatico su una piccola imbarcazione della Marina Militare, Nave Saetta, navigò in sovraccarico fino a Brindisi, unica parte nazionale continentale non in mano a nemici.
Sui pennoni sventolava la bandiera tricolore e non una straniera. Può quindi questo chiamarsi “fuga del Re” oppure più propriamente trasferimento delle funzioni di governo in zona sicura e sotto controllo italiano?
Si consideri a quanti capi di stato e governo si spostarono nel corso del medesimo conflitto non in altra parte del territorio nazionale, ma bensì all’estero senza che per questo una vulgata storica parlasse di fughe.
Che dire, per esempio, della Francia che in 40 giorni fu sconfitta da chi perse la guerra, si fece affondare a Mers el Kebir la flotta dalla Marina Britannica, sostenne una seria campagna militare contro gli inglesi in Libano e Siria ed affondò una nave della “Francia Libera” di fronte al porto di Dakar (dove si trova tutt’ora)?
Se non fosse stato per un Generale formalmente disertore che sarebbe successo della Francia che l’URSS mai riconobbe come potenza vincitrice? Anche la Francia quindi ebbe due governi reciprocamente ostili.
Tutto sommato la guerra se la visse peggio dell’Italia, ma l’italica abitudine di auto denigrarsi è prevalsa e prevale tutt’ora.
Ci sarebbe anche da aggiungere che il trasferimento a Brindisi era per molti politici bene qualificarlo quale fuga in vista della campagna politica per estromettere i Savoia e dell’installazione di una Repubblica.
Sembra infine opportuno porsi il perché Vittorio Emanuele III una volta giunto a Brindisi non abbia abdicato lasciando il trono a suo figlio Umberto, ma attese il 1946 per procedere in tal senso. Non aveva che da seguire l’esempio di Re Carlo che abdicò in favore di suo nonno a causa della disfatta nella I guerra d’Indipendenza.
Perché non ne seguì l’esempio? Il sospetto è che sia stato il suo “entourage” a dissuaderlo, ammesso che ne avesse avuta l’ intenzione. Certo è che se Umberto fosse diventato re nel 1943 i fatti sarebbero stati certamente più favorevoli alla monarchia al tempo del referendum. Si può sempre barare alle elezioni, ma vi è pur sempre un limite.
Se il Regno d’Italia si fece con i plebisciti truccati ci sarebbe da stupirsi se anche la repubblica fu parto di un referendum “addomesticato”?
Infine una considerazione personale. Un re non è tale per elezione o plebiscito. Un re o è incontestabilmente o combatte per mantenere il trono. Mai Umberto II avrebbe dovuto lasciare il Regno ed andarsene in esilio.
Così avemmo la solita Italia ambivalente: per qualche tempo sia regno che Repubblica!
Nota di colore: il primo Presidente della Repubblica fu Enrico de Nicola il quale, come affermò egli stesso, aveva votato per la monarchia.