“L’erede selvaggio” è il titolo del romanzo con cui Ugo Attardi, finalista allo Strega, vinse nel 1971 il Premio Viareggio. Quel titolo diventa sottotitolo della grande retrospettiva “Ugo Attardi – L’erede selvaggio”, che l’Ente Mostra di Pittura “Città di Marsala”, in collaborazione con l’Archivio Ugo Attardi, propone a Marsala, all’ex Convento del Carmine, dal 15 ottobre al 15 gennaio 2012.
Curata da Sergio Troisi, si tratta della prima retrospettiva che prende in considerazione tutti gli ambiti della produzione artistica di Attardi: pittura, scultura, grafica e, naturalmente, letteratura e giornalismo.
“L’erede selvaggio” racconta dell’infanzia e della formazione siciliana dell’artista, nato in Liguria. Il peso di questa “sicilianità”, intesa come eredità, stimolo culturale e impegno sociale, si avverte in tutta la produzione di Attardi, intellettuale e fine artista, che sa attraversare un secolo complesso dell’arte italiana ed europea secondo un proprio originale percorso.
Si va dal raro gruppo di dipinti non figurativi della fine degli anni Quaranta, alle ricerche degli anni Cinquanta e oltre.
In particolare la mostra ripropone, dopo decenni, opere capitali della sua produzione, come i dipinti monumentali “Crocifissione a Saragozza” (1964-’65) e “Gli assassini”.
È un’occasione rara di confrontarsi con opere importanti della storia dell’arte italiana del secondo Novecento che, all’epoca della loro prima apparizione, suscitarono un intenso dibattito critico.
Ai dipinti è affiancata un’ampia scelta dell’attività grafica di Attardi (disegni e incisioni) e una selezione delle opere scultoree tra cui l’imponente “Cotes o la bellezza dell’Occidente”.
Ugo Attardi (Sori, Genova, 1923 – Roma, 2006), è stato uno degli artisti più versatili del secondo Novecento italiano. Pittore, scultore, disegnatore di eccezionale talento, Attardi è stato tra i fondatori del gruppo Forma 1, insieme ad altri artisti siciliani quali Carla Accardi, Pietro Consagra e Antonio Sanfilippo.
Distaccatosi presto dall’astrazione geometrica del movimento, Attardi aderì alla figurazione sociale propria del clima neorealista per la prima metà degli anni Cinquanta, per poi farsi promotore, dalla metà del decennio in avanti, di una diversa tensione figurativa condotta sulla meditazione dialettica della tradizione moderna e, quindi, centrata sul tema della violenza quale meccanismo pervasivo della società contemporanea.
Tra gli artefici, nel 1958, della rivista “Città aperta” (insieme, tra gli altri, a Elio Petri e Carlo Aymonino), Attardi fu ugualmente tra i promotori del gruppo “Il Pro e il Contro” (1961-1964), che intendeva riformulare criticamente le nozioni di realismo e di figurazione alla luce dei nuovi orizzonti del mondo contemporaneo.
È in questi anni che prende corpo la sua inconfondibile cifra stilistica: una pittura satura di colore e di geometrie, dove la grande lezione dell’espressionismo del Novecento (Dix, Grosz, Beckmann) è attraversata a ritroso con la storia dell’arte passata, da Velasquez e Goya sino a Tiziano.
In questa fase Attardi inizia a dedicarsi anche alla grande scultura, privilegiando tra i materiali dapprima il legno con gruppi di grandi dimensioni e poi anche il bronzo.
È del ‘67 l’esordio in scultura con “Donna che cura un bambino ammalato” e il completamento della stesura di “L’erede selvaggio”.
Negli anni ‘70 nascono i grandiosi gruppi scultorei in legno come “Cortese e la bellezza dell’Occidente” e “Il ritorno di Cristobal Colon”.
Innumerevoli le personali che gli sono state dedicate in Italia ma anche in numerose capitali europee ed americane.