(di Clara Salpietro) – È una macchina enorme e complessa il Regional Command West (RC-W), la zona sotto la responsabilità italiana, dell’operazione Isaf (International Security Assistance Force), con il posto di comando a Herat, in Afghanistan. L’Isaf è una missione multinazionale e interforze di supporto al governo dell’Afghanistan, che opera sulla base della risoluzione dell’ONU (n. 1386) del 20 dicembre 2001 e dal 2003 il comando è stato affidato alle forze della Nato.
Ampia regione dell’Afghanistan occidentale (54 mila chilometri quadrati), con scenari morfologici diversi, RC-W si estende sulle quattro province di Herat, Badghis, Ghowr e Farah, che hanno una popolazione di circa 3.156.000 persone.
Il Regional Command West è un’area ad alto rischio per la presenza di numerose bande di “insurgents”. Alla missione Isaf partecipano circa 4.200 italiani e del contingente fanno parte oltre all’Esercito anche Marina militare, Aeronautica, Carabinieri, Guardia di Finanza e militari di altre nazioni.
Il segnale forte uscito dalla conferenza Internazionale sull’Afghanistan tenutasi a Bonn il 5 dicembre del 2011, a cui non ha espressamente partecipato il Pakistan, è che l’impegno internazionale per il sostegno dell’Afghanistan continuerà anche dopo il ritiro delle truppe ISAF e per il 2014 è previsto l’inizio del graduale ritiro delle forze militari impegnate nel paese.
I pilastri su cui dovrebbe poggiare l’Afghanistan sono sicurezza, stabilità e governabilità, ma per arrivare a raggiungere questi obiettivi la Comunità Internazionale, con gli Stati Uniti in testa, già da dieci anni sta dispiegando sul terreno, ogni giorno di più, la propria capacità operativa.
In tutto questo l’Italia sta facendo uno “sforzo immenso”, con “risultati enormi” riconosciuti dalla popolazione locale e soprattutto dal comandante del contingente militare della Nato in Afghanistan, generale John Allen, che nell’incontro con il ministro degli Esteri Giulio Terzi, tenutosi a Roma presso la Farnesina il 1° febbraio, ha espresso “il più vivo apprezzamento per il magnifico lavoro delle truppe italiane e del loro comandante, generale Portolano, in RC West”.
Il comandante della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf) ha aggiunto, inoltre, come “l’altissima qualità del contributo italiano sia ben percepita anche da parte afghana”, e di come “la collaborazione instaurata a Herat tra le istituzioni locali e quelle internazionali possa, a buon diritto, considerarsi un modello su cui orientare verso il successo la transizione anche nel resto del Paese, come un ‘genuine and sustainable progress’”.
“Una visione di questo processo – ha detto Allen – perfettamente in asse con quella che ne hanno gli Stati Uniti”.
L’Italia svolge quindi un ruolo “determinante” nel processo di transizione che dovrà portare al trasferimento del controllo e della gestione della sicurezza alle forze di polizia e all’esercito afgano.
Nel modo di operare degli italiani c’è l’imprinting del generale di brigata Luciano Portolano, che ha alle sue dipendenze Task Force di 11 nazioni, che mantiene contatti costanti e quotidiani con esercito e polizia afghana, e lavora in simbiosi con gli americani. Tutti i giorni si muove nell’area di responsabilità per vedere l’attività che viene portata avanti, riuscendo così ad avere la situazione sotto controllo.
Portolano è sì il generale a capo della brigata Sassari ma è soprattutto il comandante di RC West, quindi se non è in volo sopra l’area di responsabilità italiana, è in pattuglia con i suoi uomini qualunque sia la Task Force.
Il generale Potolano è ben visto da americani e inglesi, che apprezzano il suo modo di fare, il suo impegno, il lavoro che porta avanti e i risultati conseguiti in questi mesi di attività.
È soldato prima ancora che comandante e pertanto conosce bene quanto è importante l’impiego di un soldato in teatro operativo. Da comandante invece è consapevole di come sia fondamentale collaborare, cooperare ed interfacciarsi con gli altri attori che partecipano alla missione.
“Raggiungere dei risultati senza il coinvolgimento degli afghani è un’operazione non proficua” ci dice il comandante del Regional Command West durante il nostro incontro a Herat. “La loro stabilità – aggiunge – dipende dal nostro modo di operare, se operiamo bene la stabilità sarà un vero successo e noi stiamo operando benissimo. Lo dimostrano i risultati sul campo. Noi combattiamo gli insurgents, combattiamo chi vuole rendere povero l’Afghanistan e mantenere in uno stato di sottomissione gli afghani. Gli afghani stanno raggiungendo livelli avanzati in tutti i settori della Difesa, sia come esercito, ma anche come polizia e aeronautica militare”.
Portolano ha dalla sua parte la voglia di fare bene e il senso di responsabilità per un incarico tra i più delicati con una macchina enorme e complessa qual è RCW.
Con gli americani ha un rapporto lineare e di reciproco rispetto, favorito dall’inglese fluente (parla anche francese) e probabilmente anche dall’aver frequentato la scuola di guerra negli Stati Uniti e dal suo “piglio” di siciliano di Agrigento.
A contribuire alla sua conoscenza di culture diverse ci sono le tante missioni (tutte sempre operative) alle spalle e il periodo (dal 2007 al 2010) di Addetto militare presso l’Ambasciata italiana a Londra. Senza dimenticare il curriculum di grande prestigio e le onorificenze, tra cui la Medaglia d’Argento al Valore dell’Esercito che si è guadagnato in Kosovo nel 1999, dove è rimasto ferito saltando con il suo mezzo su di una mina e benché ferito ha reagito prontamente.
“Quando illustro ai componenti della coalizione – racconta il generale Luciano Portolano – un obiettivo da raggiungere, spiego come raggiungere l’obiettivo, quali mezzi impiegare, quali risultati può portare e i benefici che possono arrivare per la popolazione. Ogni causa ha un suo effetto e quest’ultimo deve essere preventivato, nulla può essere lasciato all’improvvisazione. Inoltre se ci fosse uno scollamento tra le varie forze sul campo, il fine ultimo, che è quello di rendere stabile l’Afghanistan, sarebbe vanificato”.
Il portolano pensiero è quindi “interfacciarsi” che vuol dire: parlarsi, scambio reciproco di idee e di punti di vista.
“Quando conduciamo attività sul terreno – aggiunge – non ci sono orari, noi operiamo per obiettivi e questo può voler dire stare in operazione anche giorni e giorni, non possiamo permetterci di avere orari, fasi di stop, si sta in attività fino a quando non si raggiunge l’obiettivo e in questo ringrazio tutti i miei uomini di RC West, personale appartenente a 11 nazioni, che non guarda mai l’orologio. Li ringrazio per il loro impegno e la loro attività”.
“Loro possono contare su di me e io – evidenzia in modo deciso – posso contare su di loro perché so che non mi deluderanno mai”.
“Lo scenario è delicato e la stabilità – conclude il generale Portolano – la stiamo costruendo ogni giorno che passa, un pezzo alla volta. Non c’è un modus operandi standard, ma sulla scorta delle esperienze precedenti, ci approcciamo a lavorare in Afghanistan come se fosse la prima volta, tenendo sempre ben presenti le esperienze precedenti”.
E se dietro ad un grande uomo c’è sempre una grande donna, dietro ad un grande generale c’è sempre un grande staff.