(di Roberto Falaschi) – Dopo molti mesi la questione Ucraina è ancora pendente e l’Europa paga un conto per un’azione il cui eventuale beneficio va a vantaggio degli Stati Uniti. In particolare numerose imprese italiane hanno praticamente perso il loro sbocco di esportazione non potendo raggiungere il mercato russo ed impossibilitate a rivolgersi ad altri acquirenti esteri.
Ma i sacrifici dei paesi europei vanno a vantaggio degli stessi o di altre potenze, ossia dalla questione ucraina chi trae vantaggio? Appurato che non è l’Italia e che paesi europei scarso profitto ne ottengono, vediamo. La Francia cerca di trovare la passata “grandeur” senza successo del quale tentativo è stato il disastro della Libia.
La Germania cerca di barcamenarsi presa tra gli interessi con la Russia e la concorrenza polacca nei rapporti con gli Stati Uniti. La Polonia vede con quest’azione la possibilità concreta di espandere ad est la sua influenza ed in ciò incoraggiata in funzione anti tedesca dagli U.S.A. oltre che dagli stati baltici che vedono con apprensione la vicinanza del grande vicino orientale del quale fa parte etnicamente una consistente parte della loro popolazione. Ma il vero scontro nel quale tutti gli altri appaiono al momento poco più che comparse sono la Russia che cerca di evitare ulteriori erosioni degli stati cuscinetto a protezione delle sue frontiere e gli Stati Uniti che compiono ogni sforzo per penetrare nell’anello difensivo russo.
La Georgia negli anni appena trascorsi fu un terreno di frizione e la Russia si garantì manu militari la supremazia. Ma il grosso scontro tra i due si sta verificando in Ucraina come ebbi a scrivere lo scorso autunno (vedi http://www.worldwebnews.it/russiausa-interessi-personali-in-ucraina/). La questione ucraina poi è anche intrisa ed inquinata da interessi personali.
Esaminando la genesi della crisi si può chiaramente osservare come l’ingerenza statunitense nella politica interna sia stata molto forte e come vi abbia investito grandi somme di denaro. Risulta altresì ben evidente come oltre alla volontà di penetrare nell’anello ammortizzatore/difensivo russo vi siano consistenti interessi personali di esponenti politici americani.
Cominciamo dal Vice Presidente degli Stati Uniti Joe Biden fortemente coinvolto in politica estera in quanto fu designato ad assecondare il candidato Barack Hussein Obama nella corsa alla presidenza per sopperire alla carenza cognitiva internazionale di quest’ultimo.
A spalleggiare Biden vi è Soros, la vera eminenza grigia della politica estera U.S.A. ed in particolare per quanto attiene all’area dell’Europa Orientale. Il passato di Soros è notoriamente sospetto avendo acquisito i suoi capitali in Ungheria durante il Secondo Conflitto Mondiale aiutando da ebreo le varie organizzazioni tedesche nella persecuzione degli stessi ebrei.
La questione ucraina nasce di fatto nel 2013 con i moti di Kiev abbondantemente foraggiata da fondi degli Stati Uniti come dichiarato all’epoca da Victoria Nuland (il vero nome essendo Nudelman), diplomatico americano responsabile della politica estera americana verso i paesi dell’est europeo e dell’Asia contigua a questi ultimi, ossia dei confinanti della Russia. Ella sostenne che il suo paese aveva distribuito per l’avvio di quei moti la considerevole somma di cinque miliardi di dollari.
Naturalmente la giustificazione era portare la democrazia in Ucraina, ma è possibile portare la democrazia agendo contro un governo democraticamente eletto? Misteri della politica o meglio della disinformazione.
Comunque l’azione della Nuland arrivava al punto di recarsi nella piazza Maidan (peraltro maidan vuol dire piazza, quindi il nome della piazza è piazza – Noi abbiamo un esempio di una simile stranezza con Via del Corso a Roma) a Kiev per distribuire generi di conforto alla gente ivi assemblata, come abbondantemente evidenziato da numerosi servizi televisivi.
Naturalmente ciò era svolto solamente per solidarietà con il popolo spontaneamente anelante alla libertà democratica e per aiutarlo a scalzare l’opprimente presenza russa. Comunque si tratta di ingerenza negli affari interni di un paese con un governo costituito a seguito di libere elezioni. E’ la stessa signora Nuland che all’osservazione dell’Ambasciatore americano a Kiev a proposito dell’U.E. che cercava di evitare la crisi rispose testualmente “fuck Europe”, ossia “che l’Europa vada a farsi fottere”.
Perfetto linguaggio diplomatico da usare nei confronti di alleati, ma forse ella considera colonia l’U.E. che dovrebbe quindi darsi una mossa ed agire di conseguenza. Invece ha accettato il prezzo delle sanzioni.
Come si ricorderà alla fine a causa dei “moti spontanei” il governo legittimo cadde, il presidente scappò in Russia, evidentemente temendo per la sua vita, e venne “eletto” presidente Petro Poroshenko, oligarca e re della cioccolata, apparentemente voluto da Joe Biden. I ministri sono stati scelti con il lanternino affinché siano decisamente a favore degli U.S.A. Tra i ministri meritano una particolare attenzione tre stranieri naturalizzati ucraini il giorno prima della nomina.
Il ministero della Sanità Pubblica è andato al georgiano Alexander Kvitashvili, ex ministro del presidente georgiano Mikheil Saakashvili responsabile dello scontro con la Russia nel 2008 nel tentativo fallito di annettersi l’Ossezia del Sud. Non è difficile immaginare chi ispirò quel tentativo.
Il dicastero dello Sviluppo Economico e Commercio è stato assegnato al lituano Aivaras Abromavicius, esperto in investimenti e nominato dopo la visita del Presidente della Lituania Dalia Grybauskaite che promise la fornitura di armi per combattere i filo russi.
Natalia Jaresko, ex dipendente del Dipartimento di Stato designata al ministero delle Finanze. Essa lavorò negli anni ‘90 presso l’Ambasciata degli Stati Uniti a Kiev e quindi divenne responsabile della Western NIS Enterprises Fund, espressamente creata dal Dipartimento di Stato per finanziare le imprese private ucraine. Sembra che abbia tratto vantaggio da quei fondi che lei stessa distribuiva per costituire la società di investimenti Horizon Capital.
Viene spontaneo porsi la domanda: “Se un governo con cittadini naturalizzati il giorno prima dell’incarico e con prevalenti contatti con attività estere fosse stato organizzato da Vladimir Putin come avrebbero reagito i paladini della libertà e della democrazia?”. La risposta è talmente evidente che pare inutile scrivere quanti e quali lai si sarebbero levati dai paesi occidentali e come i mass media si sarebbero scatenati per gridare all’ingerenza russa e quant’altro. Il tutto rientrante naturalmente nell’imparzialità e indipendenza dei media, come il silenzio che ha accolto la nomina dei suddetti ministri di estrazioni non ucraine.
Tutto questo agire contro la Russia quando per contrastare l’estremismo islamico è indispensabile la sua collaborazione, ma dimentichiamo che il presidente Obama si chiama Barack Hussein ed è islamico…
E poi per soddisfare l’ingordigia di alcuni si sacrifica quella che potrebbe essere una fruttuosa collaborazione tra occidente e Federazione Russa che comunque porterebbe beneficio anche a chi oggi trae profitto da questa situazione.
La Russia è un paese di cittadini estremamente patriottici e Putin ha saputo interpretare i loro sentimenti guidando il paese secondo le necessità geopolitiche, note da secoli a tutte le cancellerie occidentali. Il consenso di cui gode all’interno è molto grande e le opposizioni hanno scarso rilievo, quindi perché non far sì che l’Orso Russo si tranquillizzi e trarne vantaggio anziché antagonizzarlo.
Con tutti i suoi difetti, e non sono sicuramente pochi, Vladimir Putin è un raro esempio di leader politico nel contesto mondiale attuale, privo di personaggi carismatici. Uno che non segue i sondaggi, ma convince i cittadini di quali sono le azioni da intraprendere per tutelare gli interessi nazionali. Putin ci sarà ancora quando i suoi antagonisti occidentali saranno uno sbiadito ricordo.
Gli Stati uniti, come ogni grande potenza in passato, cerca di evitare che un paese europeo possa prevalere in Europa e quindi sta adoperandosi, giustamente dal suo punto di vista, acché ciò non possa avvenire da parte della Russia. Tutta la politica americana nell’area è volta a tal fine, ma con la questione ucraina sembra che stia passando i limiti del buon senso e che si avvicini eccessivamente allo scontro caldo, poco probabile, ma possibile dato il numero dei fattori coinvolti.
Altro esempio della politica imperiale del divide et impera è il consistente appoggio statunitense fornito alla Polonia in funzione anti tedesca. Peraltro l’ostilità dell’U.R.S.S. e degli U.S.A. al momento dell’avvio dell’Unione Europea è la dimostrazione di due potenze che ostacolano l’emergere di una terza. Poi si è visto che l’U.E. non è mai decollata quale vera unione fra stati, ma si è limitata ad essere un grosso centro economico/commerciale gestito dalla Germania. Paura passata per le potenze rivali, ma intanto l’Europa paga per la sua inesistente lungimiranza.
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aprile 18, 2023