(di Clara Salpietro) – Autore anche per il teatro, suoi i testi poetici degli ultimi due Festini di Palermo, attore, giornalista ma, soprattutto in questo caso, testimone della storia, della Storia quella vera e non di quella raccontata da libri scritti a loro volta da altri. Pippo Montedoro, palermitano, è un personaggio eclettico, poliedrico, versatile; per la prima volta, accetta di ripercorrere, attraverso aneddoti vissuti in prima persona, un vivace periodo che ha animato la vita italiana. (nella foto sopra Montedoro, e non solo, presso il Pensionato Universitario San Saverio, Palermo 1977. La foto del S. Saverio è una delle prime azioni del gruppo Curò, al di fuori del palcoscenico).
Anni intensi, vivi, di tensione, di fermenti e di movimenti, di lotta e di contestazioni, anni vissuti e basta.
Un’intervista diversa dal solito e lo si capisce già dall’inizio. Non è il classico botta e risposta ma tutte le domande sono presenti all’inizio e poi la risposta, lunga, esaustiva, di Montedoro.
Comunista perché?
Come si viveva nel periodo di Prima Linea, Br, Ordine Nero e Rosa dei Venti?
Che aria si respirava?
Ufficialmente, a Palermo, Prima Linea e le altre organizzazioni sono mai esistite?
La sua è stata una vita in…prima linea?
In carcere per una scazzottata con gli opposti estremisti. Quali sono i ricordi?
Nel 1980 fu deciso di sciogliere Prima Linea; a mano a mano che tutte le altre strutture simili e opposte sparivano, quali sono stati i suoi pensieri?
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Mio padre diceva sempre “Si stannu manciannu l’Italia” (Si stanno mangiando l’Italia) ma continuava a votare democristiano fino a quando fece il salto, dopo mie mille spiegazioni e lamentele e la coscienza che sono i figli a educare i padri, e cominciò a votare comunista. Il più a sinistra fra i partiti con tali connotazioni vi fosse in lista.
La cosa mi riempì tanto d’orgoglio filiale e personale che mi sentii comunista e cominciai a dire che m’aveva convinto il leggere della tassa sul macinato inventata nel Medioevo.
Ma pochi anni prima, sempre mio padre e la mia cattolicissima mamma, presidentessa della San Vincenzo – dopo le elementari frequentate nella pubblica del paesino attaccato Palermo, ora quartiere della prima Circoscrizione – volevano comunque iscrivermi in una scuola media retta da religiosi. Andammo al Gonzaga. Dopo un brevissimo colloquio col prefetto di quei gesuiti, questi mi invitò a uscire e mia madre mi accompagnò nella stanza di mezzo. Un minuto dopo, venne fuori mio padre, verdino in faccia e coi lineamenti tirati che poi avrei ritrovato in D’Alema quando è allegro, solo che il livore di mio padre andava con la sua incazzatura, quando sbottò: “Mi stava cominciando a dire che, venendo noi dalla periferia ed essendo io operaio… non l’ho fatto finire: l’ho mandato a fare in culo!”. Orgoglio filiale! Ma io, invece, orgoglio o non orgoglio, non votai mai Pci, Psiup, Pdup… Frequentavo il gruppo Nestor Machno, aderente alla Federazione anarchica internazionale, e non votavo e basta, in quegli anni, tranne una parentesi da attivista per i diritti civili con rose nel pugno, Giacinto detto Marco, e simili. Ricordo una stretta di mano di Aldo Moro quando gli avevo appena porto un volantino prodivorzio, glissando la sua stessa scorta… ma io ero piccolo, magro, capellone e veloce e feci evidentemente simpatia a quello statista vero (che in seguito sarà sacrificato sull’ara della ragion di Stato) a villa Borghese, 00197 Roma.
Poi, fette di teatro militante ante litteram e le prime occupazioni, nei primissimi anni del liceo, insieme con i fascisti: partite notturne a poker, qualche amoruzzo e tanto sano populismo.
Dappertutto, il ‘68, che Montanelli chiamò scopiazzatura del maggio francese (sbagliando – anche i grandi fallano – proprio perché le date parlano chiaro e Valle Giulia fu il primo marzo di quello stesso anno) si corse insieme. Finché i leader del cosiddetto arco parlamentare, dal Msi al Pci, misero di fatto gli studenti e, poi, gli “studenti e operai uniti nella lotta” semplicemente fuori e coniarono il termine estraparlamentari. Battezzarono la teoria degli opposti estremismi i quali cominciarono a combatter l’un contro l’altro, variegatamente armati per il luogo, per il momento e per la bisogna. Con buona pace degli alleati dello spontaneismo del giorno prima e per la tranquillità degli stessi deputati e senatori e delle loro indennità nonché degli affari.
E come avrei potuto, una volta maggiorenne (16 anni nel 1968), votar Pci? Quando perfino Pasolini scrisse contro i capelloni e una poesia su Valle Giulia che, se pur lo isolò all’interno dello stesso partito, non lo rese troppo popolare lì nella sinistra di forzato neobattesimo estraparlamentare.
Ecco lo scritto: “Il Pci ai giovani!!”
«Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi quelli delle televisioni)
vi leccano (come credo ancora si dica nel linguaggio
delle Università) il culo. Io no, amici.
Siete paurosi, incerti disperati (benissimo)
ma sapete anche come essere
prepotenti, ricattatori e sicuri:
prerogative piccoloborghesi, amici.
Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti
io simpatizzavo coi poliziotti!
Perché i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da periferie contadine o urbane che siano.
Quanto a me, conosco assai bene
il loro modo di essere stati bambini e ragazzi
le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui,
a causa della miseria, che non dà autorità.
La madre incallita come un facchino, o tenera, la salvia rossa (in terreni altrui, lottizzati);
i bassi sulle cloache; o gli appartamenti nei grandi
caseggiati popolari, etc. etc.»
E scrisse ancora: «A Valle Giulia, ieri, si è così avuto un frammento
di lotta di classe: e voi amici
(benché dalla parte della ragione)
eravate i ricchi.
Mentre i poliziotti (che erano dalla parte
del torto) erano i poveri.
Bella vittoria, dunque,
la vostra! In questi casi
ai poliziotti si danno i fiori, amici».
Questa durezza espressiva, però, attirò l’attenzione del mondo della cultura italiana sul “movimentismo”.
In ogni caso, come così non era stato dal dopoguerra in poi – e prima del secondo conflitto mondiale si poteva ascrivere soltanto al dadaismo – saltò agli occhi di tutti un nuovo contrasto politico che non era fatto soltanto di rivendicazioni economiche ma in gran parte sociali e culturali. È vero che nelle università arrivavano, borse di studio a parte, appartenenti a classi sociali privilegiate e queste si trovarono nelle condizioni di rappresentare istanze della sinistra estrema e a perseguire anche una condizione di frattura con le istituzioni. È vero anche, ripeto, che dagli universitari agli studenti delle superiori, prima della lunga alleanza con il mondo operaio prevalentemente indirizzato verso la sinistra, il movimento iniziale fu uno solo. Quindi, brevemente dico dei più volte citati scontri, una vera e propria battaglia, di Valle Giulia. Alla tirata delle somme, Arturo Michelini per il Msi e Luigi Longo per il Pci cominciarono a dormire sonni più tranquilli.
Febbraio 1968, la facoltà di Architettura di Roma, dopo un iter fatto di svariate iniziative politiche, assemblee “miste” con docenti e studenti di destra e di sinistra, viene occupata. Alla fine del mese (anno bisesto), il 29 febbraio viene sgomberata e presidiata dalla polizia, su richiesta (era la norma a sancirlo) del rettore, Pietro D’Avack.
Il giorno dopo, quattromila persone (stavolta, non di meno per la Questura) si radunano a piazza di Spagna (qualche anno dopo sito privilegiato di freack, ovvero i compagni del riflusso); parte un corteo che si divide subito: un pezzo va alla città universitaria, la maggior parte a Valle Giulia, per rioccupare la facoltà, almeno apparentemente. Lo schieramento delle forze dell’ordine è senza precedenti. Lo scontro violentissimo e, per la prima volta, gli studenti reggono l’urto delle cariche in mezzo a fumogeni e lacrimogeni. A guidare l’attacco contro la polizia anche gli esponenti del disciolto movimento neofascista Avanguardia nazionale giovanile con Stefano Delle Chiaie, il Fronte universitario (Fuan) e non erano assenti militanti del Pci e del Msi.
Tra i partecipanti agli scontri, così, per gusto di cronaca storica: Paolo Pietrangeli, autore di canzoni inneggianti alla rivolta, da Contessa alla stessa Valle Giulia e da anni regista dei programmi tv di Maurizio Costanzo, Giuliano Ferrara (che fu ferito, come Garibaldi blues), Paolo Liguori, poi approdato a Lotta Continua (movimento sempre in bilico, per l’opinione pubblica, fra il fiancheggiamento al terrorismo quasi soft e il craxismo) e quindi alle reti Mediaset, Aldo Brandirali, Ernesto Galli Della Loggia, Oreste Scalzone. Michele Placido, era fra i poliziotti.
Con alzata di ingegno strategico, mentre il grosso degli agenti “difende” Architettura, i fascisti occupano Giurisprudenza e quelli di sinistra occupano Lettere.
Bollettino: 148 feriti tra carabinieri e ps, 478 studenti, 4 arrestati e 228 fermati, 8 automezzi di polizia incendiati, 5 pistole sparite agli agenti.
Arturo Michelini sconfessa gli studenti di destra, Luigi Longo quelli di sinistra. Non prima di averli aizzati l’un contro l’altro, sottolineando le diversità ideologiche. Ma ancora non basta, tanto che, quando il 16 marzo i Volontari nazionali mandati da Michelini e guidati da Giorgio Almirante e Massimo Anderson tentano di coinvolgere gli studenti di destra arroccati a Giurisprudenza per attaccare Lettere con quelli di sinistra dentro, anche alcuni militanti missini rifiutano l’azione. Il secondo tentativo dei Volontari di entrare con la forza a Lettere provoca i primi duri scontri con gli studenti. Gli studenti del Fuan e quelli di Avanguardia nazionale guidati da Delle Chiaie escono dalla facoltà di Legge e si siedono sui gradini del Rettorato. «Volevamo in questo modo manifestare la nostra estraneità a quell’iniziativa e non partecipare agli scontri. In effetti non me la sentivo di schierarmi con nessuno dei due contendenti, mentre Primula Goliardica andò a Lettere a difendere i comunisti. E anzi furono i suoi militanti a sostenere il primo assalto» racconta Delle Chiaie.
I missini vengono respinti dagli studenti rafforzati dall’arrivo di attivisti comunisti (qualcuno del Pci) e da Primula goliardica (di destra) e si rifugiano a Giurisprudenza. A questo punto, però, il Fuan, estraneo agli scontri, rientra in facoltà e questa viene barricata ulteriormente.
La componente neofascista della contestazione, parte pregnante della battaglia di Valle Giulia di 15 giorni prima, si allontana dal movimento studentesco in seguito a questi fatti del 16 marzo 1968. Ed è un’altra storia.
Scontri e botte, per quanto riguarda me stesso, i miei compagni anarchici e gli stessi fascisti (molti dei quali, adesso miei amici più che buoni) sempre comunque all’insegna di una certa idea della cavalleria: magari, per loro quella celtica (battuta!).
Nel ’73, mi faccio anche qualche giorno di Ucciardone: arrestato il 6 dicembre e liberato il 31 pomeriggio, in tempo per preparare la cena di fine anno con i miei genitori. Periodo che racconto in una novella autobiografica cui do il titolo di Lectio elegantiae e che qui dunque non riporto. Un aneddoto legato a quella vicenda, la quale nasce da uno scontro di alcune centinaia di camerati contro altrettanti compagni dalle parti del liceo scientifico Galilei di Palermo, però, visto che non lo ho ancora scritto da nessuna parte, lo snocciolo adesso. Cinque giorni di isolamento e interrogatorio del giudice Passantino: vengo trasferito in cella in comune con altri cinque detenuti tra i quali il più vecchio ha 24 anni. Va tutto benissimo, con i cinque. Il 30 mi interroga il giudice istruttore, Beniamino Tessitore, ed esco in libertà provvisoria. Unico obbligo, fino al processo, esser a casa dalle ore 22.00 al mattino successivo, alle 6.00. A parte la notte del 31 e il primo gennaio tutto trascorso a casa con lunga dormita serotina, dal 2 comincio a fregarmene e giorno 4 sono al compleanno del ragazzo di una mia amica. Sono senza mezzo di locomozione, abito fuori città e l’ultimo autobus è già di suo fuori tempo massimo: 22.10 da piazza XIII Vittime. “Ma puoi dormire da me” mi dice un amico del ragazzo dell’amica… da allora, mio caro amico (ma s’è capito?). Accetto e, alle 2.00 o giù di lì, eccoci a casa sua. Tre stanze l’una di seguito all’altra e porte di comunicazione aperte. Nell’ultima, fioca luce gialla e un signore chino sulla scrivania. “Lavora sempre fino a tardi, mio padre”. “Ah, perché quello è tuo padre, Salvo?!”. “Certamente. Perché?”. “Ora vedi!”. Copriamo le due stanze. “Ciao, pa’!”. Da questo momento, dialogo serrato fra me e il magistrato. “Ciao – alza gli occhi – Che minchia ci fai qua, Montedoro?!”. “Giudice Tessitore, il nodo è essere a casa di notte o non far danni, almeno di notte? Più controllato di così…!” . “Tale’, scassatici a minchia tutti rui e jitivi a curcari!” (Ascoltate un po’, non infastiditemi e andate a dormire entrambi).
Salvo Tessitore è un bravissimo regista e ha curato l’ultimo spettacolo teatrale cui ho partecipato fino a ora (da attore e da autore del testo di introduzione): Giochi di Fanciulli, in onore e ricordo del grande Franco Scaldati. E ha raccontato ‘sta storia a tutta la compagnia… Beniamino, purtroppo, non c’è più da quattro anni.
Ma torniamo a bomba. Disgraziatamente, è proprio così: bombe, sangue! Qualcosa che sfugge al senso della lealtà. Qualcosa che non capiamo prende il sopravvento e cancella un decennio e oltre di lotte. Dopo gli anni ruggenti, del furore contestatario (Nei cuori degli umili maturano i frutti del furore e s’avvicina l’epoca della vendemmia – John Steinbeck), quasi dalle parti del riflusso, ecco che gli anni d’oro diventano di piombo. E di eroina.
Droghe pesanti comprese, comincia il tremendo periodo della strategia della tensione. Strategia della ragion di Stato, qualcuno la chiamerebbe e la definì. Non mi sbilancio ma voglio soltanto sottolineare che, a media in pole position, con gli anni e con l’esperienza che affina le tattiche, oggi lo stesso se non maggiore effetto lo si ottiene con la strategia della distrazione (vedi Chomsky: http://www.disinformazione.it/strategie_manipolazione_media.htm).
Io stesso vengo sospettato di far parte di Prima linea e qualche amico palermitano si fa pure un po’ di galera, di quella pesante, perché reputato essere nei Nap (Nuclei armati popolari). Niente di più sbagliato: Palermo ebbe un arresto quasi eccellente, lontano da qui e di una persona della quale non voglio fare il nome e che da anni non aveva a che fare con questa nostra città e con questo nostro ambiente, del tutto estraneo alla lotta armata di sinistra. Quelli di destra non sono affar mio. Quindi, io e qualche altro terroristi? Ma mi facci il piacere! Con piccola spinta alla spalla dell’interlocutore. Niente di più discosto dalla realtà, anche perché con l’antimafia militante che ci permeava cominciavamo a comprendere che il classico cui prodest non aveva come target il popolo, la gente. Qualche anno dopo, su Repubblica lessi una intervista al dissociato Br Franceschini. Spiegava più o meno che “Ci sedevamo a un tavolo, convinti di star per prendere delle decisioni che, in effetti, avevano già preso i servizi e i loro infiltrati fra noi ci avrebbero portati immancabilmente nella direzione da essi voluta!”.
E io? Perché? Ero stato in carcere per rissa aggravata…assolto ma… Nel 1977, mentre nascevano gli indiani metropolitani, che era l’ala libertaria del Movimento alla fine degli anni ’70, con Piero Costa fondavo il gruppo Curò: teatro da palcoscenico e da strada con riferimenti chiari al dadaismo. Anche in questo non c’era nulla a che vedere con istanze da insurrezione armata, ma è in quell’anno che Curò partecipa insieme con il Living Theatre al grande raduno di Bologna, mettendosi così in vista.
Subito dopo rimanemmo in Emilia, giovincelli a vendemmiare per quei civili proprietari che ti pagavano bene e ti versavano i contributi all’Inps. Il comune di Rio Saliceto, siamo un centinaio provenienti da tutta Italia e tutti sinistroidi, ci mette a disposizione l’ex scuola elementare, in ottime condizioni. Ci dormiamo e ci teniamo il nostro ufficio di collocamento: liste create dalla cronologia di comparsa in loco. I proprietari vengono a chiederci un tot di braccia e i primi della lista decidono se accettare o meno. Chi non accetta la destinazione rimane in cima e aspetta altra offerta, chi torna dopo giorni di lavoro finisce in coda però il ricambio è continuo, non pesa e concede qualche giorno di riposo. Ma siamo tutti di sinistra e Br et similia si sono già palesate a tempo. Ergo, abbiamo il nostro bello sbirro infiltrato: capello e barba lunghissimi, romagnolo e nome fasullo. Però, ce la sgamiamo e lo sgamiamo. Quoi faire? La può passare liscia? Visto che c’è, corteggia anche la più bella (la quale, invece, si mette… indovinate un po’, con me!) che è lì col gruppo di livornesi. Si incaponisce, dunque, contro di me… chercher la femme! Lo stendo! Va via.
L’ultima volta che vengono a prelevarmi è il 7 gennaio 1980. Per la Befana, siamo a tavola quando sentiamo dell’uccisione di Piersanti Mattarella. Cosa c’entrerebbero gli estremisti di sinistra e di destra? Nulla, naturalmente. Ma alle 6.00 del mattino sono già, come un’altra dozzina di volte in quei due anni e mezzo, alla mia porta. E, come sempre, mi ritrovo con compagni e camerati in Questura; alla Politica (già Digos? Non ricordo). E, come sempre, andata in auto blu, anzi azzurra, e ritorno in bus: due autobus, poiché da piazza Indipendenza a Villagrazia non v’è linea diretta. Pazienza: fu l’ultima, quella volta.
Da grande, il giornalista…ma i tardo miglioristi, Napolitano e Macaluso che governavano la finanziaria del Pds, la Fipi, ci chiudono L’Ora nel ’92, quotidiano in vita dall’aprile 1900. Un dramma per chi non vuole santincielo e nemmeno santi che sudano. E anche questa è un’altra storia. Ma chi se ne frega. E la stessa risposta vale per la domanda dello scioglimento di Prima Linea nel 1980: ma chi se ne è fottuto?! A parte che smisero di fracassarmi l’anima alle 6 del mattino; quello sì. Ma, visto che prima o poi la realtà reale delle cose possono capirla tutti, probabilmente avrebbero smesso comunque.
Bouh?!
Dimenticavo ancora: l’aria che si respirava? Bella, bellissima, piena di fermenti culturali di teatri e teatrini. Aria buona. Anzi, ottima: eravamo giovani.
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