L’opera a distanza di 361 anni dalla prima pubblicazione ripropone la traduzione de La Vida de Marco Bruto del grande filosofo e politologo spagnolo Francisco de Quevedo apparsa nel 1644.
L’opera, che appare nella Collana di Filosofia Teoretica della casa editrice Luigi Pellegrini, si avvale di una Introduzione a firma di Santi Lo Giudice e di una Postfazione a firma di Antonino La Mancusa e Carmelo La Mancusa.
La Vida de Marco Bruto di Francisco de Quevedo vide luce nel 1644, un anno prima della morte del suo autore, sebbene si suppone, a ragion veduta, che sia stata portata a compimento nel 1631. L’opera appena pubblicata fu ben considerata e apprezzata tanto da conoscere traduzioni in diversi idiomi: italiano, latino, olandese e inglese.
La traduzione italiana fu la prima ed è da ascriversi al poligrafo Nicolò Serpetro. Questi non è escluso che delle prime opere del Quevedo abbia fatto conoscenza in età giovanile, tra gli anni 1624-1630, in cui ancora erano vive le tracce della permanenza del Quevedo in Sicilia in qualità di segretario del duca di Osuna, nominato nel 1610 viceré di Sicilia.
La traduzione del Serpetro apparve in Venezia nel 1653, per Cristoforo Tomasini, con il titolo , Osservazioni politiche e morali sopra la vita di Marco Bruto trasportate dallo spagnolo dal Cavalier Nicolò Serpetro.
Anche per la traduzione de la Vida de Marco Bruto – come già per Il mercato delle maraviglie della Natura overo Istoria Naturale del Cavalier Nicolò Serpetro, traduzione dall’inglese della Thaumatographia naturalis(1633) di Jan Jonston (1603-1675) – il Serpetro nella prima di copertina, come chiaramente si evince, non fa alcun riferimento né all’autore dell’opera e ne ai preliminari dell’opera originale (privilegio, licenza, approvazione, dedica, il portico “Giudizio che di Marco Bruto fecero gli autori nelle loro opere” e “Della medaglia di Bruto e del suo rovescio”). (…)
Quando Serpetro dà alle stampe (1652) la traduzione della Vida de Marco Bruto, Quevedo aveva concluso la sua vicenda terrena (1645). E Serpetro sa che i morti non entrano in gioco se non giovano. E a Serpetro, Quevedo giova, come giovano le idee su cui si regge la narrazione riguardante la sua versione della vita di Marco Bruto.
Al tempo della pubblicazione delle Osservazioni Serpetro aveva già rotto i suoi rapporti con il suo protettore Nicolò Placido Branciforte e andava alla ricerca di un’altra famiglia nobiliare che gli potesse garantire protezione e benefici.
Di qui, se la traduzione inizialmente può nascere come omaggio allo scrittore spagnolo, per gratificare la cerchia dei suoi amici siciliani, in particolare la famiglia dei Branciforti, successivamente, proprio in seguito alla rottura con questa famiglia, lo scenario muta al punto da pubblicare
Nicolò Serpetro (XVII secolo), filosofo della natura, nacque nel 1606 e morì a Rocca Florida nel 1664, forse avvelenato. Le cause del presunto assassinio vanno ricercate nella volgare invidia che alcuni intellettuali del tempo nutrivano per Serpetro, in quanto fu nominato “la Fenice degli ingegni”: era, infatti, in grado di ricordare parola per parola le opere classiche dei più grandi scrittori latini e italiani; riusciva a dettare quattro lettere diverse ad altrettanti amanuensi contemporaneamente, senza perdere il filo logico degli argomenti dettati. Ma il filosofo divenne famoso nel mondo della cultura con l’opera Il Mercato delle Maraviglie, in cui espone numerosissimi segreti della Natura, verso la quale lo sospingeva un afflato di passione, in un coinvolgimento dal sapore dionisiaco. A causa di quest’opera il Serpetro fu accusato di eresia e pratiche di magia occulta dal Tribunale della Santa Inquisizione di Palermo, dal quale fu condannato al carcere. Scrisse, inoltre, altri lavori, tra i quali figurano le Osservazioni Politiche e Morali sulla vita di Marco Bruto, traduzione di un’omonima opera spagnola. Come agli afferma nel suo Mercato, fu discepolo del grande Tommaso Campanella: pertanto si può a buon diritto inserire in quella parentesi Naturalistica che, da Telesio a Campanella, passando per il famoso Giordano Bruno, coinvolse gli intellettuali del Meridione d’Italia nell’ultima fase della filosofia Rinascimentale.