(di Caterina Malavenda – Il Sole24Ore- 4 luglio 2015) – Con una lucida ed esauriente motivazione, la sesta Sezione penale della Cassazione, con sentenza n. 24617/2015 depositata il 10 giugno 2015, ha stabilito che l’acquisizione della copia di dati informatici, duplicati su supporto, è un vero e proprio sequestro che dà conseguente diritto al riesame, nel contempo ribadendo la intangibilità delle fonti del giornalista, anche ove il Pm intenda scoprirle con la perquisizione del pc personale e la stampa di dati in esso contenuti.
Pur confermando il provvedimento del Tribunale del riesame, i giudici hanno ritenuto, diversamente da quanto in esso sostenuto, che l’estrazione a stampa della copia di un documento informatico, anche se rimane nella disponibilità del perquisito, costituisca un sequestro vero e proprio, assoggettabile al riesame.
La Corte ha confermato che l’indiscriminato sequestro del computer o anche solo di copia del suo intero contenuto, salvo casi eccezionali viola il principio di proporzionalità, al pari del sequestro di un intero archivio cartaceo, ciò specie ove lo strumento appartenga a un giornalista e il sequestro sia il mezzo per effettuare un’indebita attività esplorativa sui suoi segreti.
Il Codice di procedura penale, dopo la riforma della legge 48/2008, infatti, è esplicito nell’escludere il sequestro di interi sistemi informatici, a meno che ciò non avvenga in presenza di determinate e giustificate condizioni, escluse le quali l’acquisizione integrale di un intero archivio elettronico, perché di facile accessibilità con la duplicazione, non è consentita.
L’estrazione di copia di dati informatici, dunque, equivale al mantenimento del sequestro sul bene, poiché la stessa circolazione dell’informazione, fuori dell’archivio informatico di provenienza, costituisce una perdurante perdita del diritto di disporne liberamente e in via esclusiva.
Poiché quei dati non possono che essere allocati su supporto fisico, costituisce sequestro del dato anche il semplice trattenimento di tale supporto, sebbene il dato sia rimasto nella disponibilità del titolare.
Ciò accade quando il documento non ha valore in sé, racchiuso nel suo originale – come accade per banconote o assegni – ma è esso stesso il bene originale, ad esempio, un progetto o un dato segreto quale è, per il giornalista, il nome di una fonte, il cui valore sta nella riservatezza delle sue generalità, sicché la sua circolazione in più copie può costituire una privazione del bene, rispetto al quale sussiste il diritto al riesame.
Il diritto-dovere al segreto del giornalista e il limitato ambito in cui può essere escluso, per concludere, costituiscono un limite alla ricerca dei dati identificativi della fonte della notizia attraverso il sequestro, come la giurisprudenza della Cassazione e della Cedu, in particolare con la sentenza del 14 settembre 2010, Sanoma Uitgevers B.V. contro l’Olanda, da tempo hanno stabilito.
La Corte ritiene, perciò, illegittimo il provvedimento che dispone la ricerca e l’eventuale sequestro di documenti per individuare la fonte del giornalista, senza che sia contestualmente esplicitata la situazione particolare che – a determinate condizioni- consente di superare il diritto del giornalista alla segretezza della fonte.
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