di Tindaro Gatani
– Le origini del truffatore –
Di Charles Ponzi, nato Carlo (1882-1949), si sa che da ragazzo dalla natia Lugo di Romagna si trasferì con la famiglia a Parma, dove trovò un primo impiego presso il locale ufficio postale. Si trasferì poi a Roma come studente a La Sapienza e, quindi, sull’onda della febbre d’America, che pervadeva allora l’Italia, decise di tentare l’avventura. A vent’anni, nel 1903, si imbarcò a Napoli per Boston, dove giunse il 15 novembre, con «solo due dollari e cinquanta centesimi in tasca e un milione di speranze». Imparò in fretta e bene l’inglese e cambiò il suo nome in Charles, vivendo di piccoli lavoretti e di qualche imbroglio al gioco di cui era un vero esperto. I suoi primi guai cominciarono quando da lavapiatti fu promosso cameriere e fu licenziato perché faceva la cresta ai clienti sui prezzi. Il salto di qualità avvenne nel 1907, anno in cui si trasferì a Montreal in Canada, dove spacciandosi per esperto di economia e finanza, si fece nominare consulente del Banco Zarossi, un istituto di credito fondato soprattutto per gestire i risparmi degli immigrati italiani, ai quali si garantiva una rendita del 6% sui depositi, circa il doppio di tutte le altre banche locali. Il Banco, in effetti, versava in difficoltà a causa di diversi prestiti immobiliari sbagliati. Aveva ingenti somme di crediti non esigibili, ma, fino a quando i correntisti aumentavano, poteva evitare il fallimento. Poi, quando la situazione stava per scoppiare, Zarossi fuggì in Messico con buona parte dei risparmi dei suoi clienti. Charles Ponzi fu l’unico a restare al suo posto e ad affrontare i correntisti infuriati. Si stabilì persino nella stessa casa del banchiere per sostenerne la famiglia, fingendo anche di essere disposto ad aiutare i clienti più provati dal fallimento. Visitando un cliente, riuscì a venire in possesso di un libretto di assegni dal quale ne staccò uno di $ 423,58, che, con falsa firma, andò subito a incassare. Fu scoperto e chiuso in un carcere del Quebec come il detenuto n. 6660. Per mantenere i contatti con la famiglia in Italia, poiché il suo nuovo indirizzo era una prigione, scrisse alla madre di aver trovato un buon impiego come guardia carceraria. Nel 1911, scontata la pena, fece ritorno di nuovo negli Stati Uniti, dove ad Atlanta, tanto per cambiare, fu condannato a due anni per grave complicità in una vasta rete di immigrazione clandestina. Nel carcere si distinse per buona condotta e scontata la pena, ritornò a Boston, dove convolò a nozze con Rose Gnecco anch’essa di origini italiane e decise di mettere la testa a posto, intraprendendo delle attività legali.
Da detenuto n. 6660 a uomo d’affari
La principale fu la stampa di una Guida del commerciante. Il volume non ebbe successo, ma, tra le poche risposte giunte al suo questionario, ce n’era una di una ditta spagnola, che aveva allegato, per cortesia, un Buono di risposta internazionale. Sulle prime, Ponzi non capì di cosa si trattasse, ma, la spiegazione che quel Coupon (CRI o IRC acronimo del francese Coupon Reponse International e dell’inglese International Reply Coupon) era un’affrancatura per l’estero, valida in tutti i paesi membri dell’Unione Postale Universale (U.P.U.), che avevano sottoscritto un’apposita convezione al Congresso di Roma del 1906, gli fece accendere una lampadina. Alla posta di Boston gli avevano anche detto che gli IRC, stampati e timbrati dal Paese emittente, potevano essere scambiati con francobolli del Paese di utilizzo per la normale affrancatura. Quando cambiò il Coupon, ricevuto dalla Spagna, gli fu dato un francobollo americano del valore facciale più che doppio. Calcolando che i Coupon costavano in Spagna, in Italia e in tanti altri Paesi circa il 50% in meno dell’affrancatura statunitense, Ponzi mise su un’organizzazione per la compera di Buoni postali esteri e la loro collocazione negli States. L’operazione CRI/IRC si trasformò ben presto nella classica gallina dalle uova d’oro. Ci volle poco a convincere molte persone ad affidargli indirizzi di parenti e amici all’estero ai quali inviare delle lettere con dentro qualche dollaro per la compera di Coupon postali da rimandare negli States. Il sistema era buono e redditizio, ma presupponeva un lavoro con l’impiego di terze persone e il guadagno alla fine sarebbe stato limitato perché gli Stati emittenti dovevano attenersi alle disposizioni dell’U.P.U. per quanto riguardava soprattutto la limitata quantità di emissione, che era fissata di anno in anno. Ponzi pensava in grande! Perché allora non fingere la compra-vendita degli IRC, contando sull’avidità altrui? Detto fatto: facendo tesoro degli insegnamenti di Zarossi, Ponzi fondò la società Securities Exchange Company ed elaborò lo schema piramidale che lo avrebbe reso ricco, celebre e, nello stesso tempo, sommo truffaldino.
Il suo schema prevedeva quattro semplici mosse:
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Promettere investimenti “sicuri”, ad alti interessi, in tempi brevi;
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restituire, in tempi ravvicinati, parte della somma investita, con tassi molto superiori a quelli di mercato;
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attirare nuovi clienti per pagare i tassi promessi. Accantonare parte degli incassi su conti privati. Lasciare la finanziaria sociale a zero capitale;
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interrompere l’attività quando i rimborsi promessi avrebbero superato i nuovi versamenti.
Gli ingenti guadagni
Agli inizi gli affari andarono a gonfie vele: nel mese di febbraio del 1920, Ponzi guadagnò $ 5.000, a marzo i dollari furono 30.000. A maggio il denaro raccolto era $ 420.000. A luglio riuscì a depositare alla Hanover Trust Bank diversi milioni, tanto da poter comprarsi lo stesso istituto di credito. In poco tempo, gli investitori si moltiplicarono, molti vendettero case e proprietà per investire nell’impresa di Mister Ponzi, che convinse persino i suoi clienti a reinvestire gli incassi nei suoi fondi. Ponzi, per rendere più visibile la sua impresa, si diede al lusso sfrenato: comprò un palazzo con l’aria condizionata; organizzò manifestazioni di gala; fece arrivare la madre dall’Italia con una nave da crociera di lusso; ripagava con assoluta puntualità gli investitori, che lo difendevano, a spada tratta, dalle accuse del Boston Post del 24 luglio 1920, che sospettando dell’imbroglio denunciava come illecite le sue operazioni. Come tutta risposta, gli investitori aumentarono tanto che, subito dopo, Ponzi riusciva a raccogliere oltre 250.000 dollari al giorno. Il Boston Post ingaggiò allora un investigatore e fece mettere sotto controllo la sua Securities Exchange Company e, in aggiunta, affidò la sua pratica al noto analista finanziario Clarence Barron, che scoprì che Ponzi non stava investendo su nulla e che dei 160.000.000 (centosessanta milioni) di IRC che sarebbero dovuti circolare, ne erano stati scambiati solo 27.000 (ventisettemila). Le Poste americane fecero allora la loro parte, dichiarando impossibile l’operazione IRC a quei livelli, sia per il numero limitato dei Buoni, sia per l’incasso della compravendita, che prevedeva un guadagno molto basso per ogni transazione e, come prima mossa, annunciarono un nuovo tasso di conversione degli stessi Buoni. Il Boston Post riprese la sua campagna contro Ponzi, migliaia di persone si presentarono davanti alla Hanover Trust Bank, per chiedere il rimborso dei loro investimenti. Con i versamento in soli tre giorni di oltre 2.000.000 (due milioni) di dollari, Ponzi riuscì a convincere molti clienti, offrendo loro anche da bere e da mangiare, a lasciare il denaro presso la sua banca e ad attirarne addirittura di nuovi.
La scoperta dell’imbroglio
Il 2 agosto 1920, il Boston Post uscì con un’intervista a James McMasters, collaboratore e agente pubblicitario della Hanover Trust Bank, che dichiarò che Ponzi e la sua banca erano in deficit e prossimi alla bancarotta. Il successivo 10 agosto, le sue affermazioni furono confermate dalla perquisizione degli agenti federali, che, trovando in deposito solo un’infima parte degli IRC dichiarati, misero i sigilli alla banca e dichiararono Ponzi insolvente. Nonostante tutto, molti dei 40.000 investitori, nella speranza di recuperare tutto o parte dei 15 milioni impegnati, se la presero con gli ispettori federali. Il 1° novembre, Charles Ponzi fu condannato a 9 anni per frode postale. In attesa dell’appello, pagò una cauzione e si trasferì dal Massachusetts in Florida, dove sotto il falso nome di Charles Borrelli organizzò una nuova truffa sulla compravendita di terreni. Fu, allora, condannato a un anno e pagata la cauzione, il 3 giugno 1926, si trasferì in Texas. Nonostante un quasi perfetto camuffamento e il cambio di nome, nell’autunno del 1927, fu riconosciuto e arrestato, a New Orleans, mentre cercava di far ritorno in Italia. Tradotto a Boston, fu incarcerato per scontare la pena alla quale era stato condannato anche in appello. Ritornato in libertà il 7 ottobre 1934, fece ritorno in Italia stabilendosi a Roma, dove tentò, inutilmente di mettere a frutto il suo schema. In attesa di intraprendere la sua attività truffaldina, si guadagnava da vivere come traduttore d’inglese. Grazie all’intercessione del cugino Attilio Biaseo, pilota personale del Duce, riuscì ad avere un lavoro come impiegato della compagnia area di bandiera, l’Ala Littoria, per i rapporti con il Brasile. Si stabilì, allora, a Rio de Janeiro, ma con la caduta del fascismo e il fallimento della compagnia aerea, si trovò a vivere di stenti e, infine, dopo diversi acciacchi, si spense, il 18 gennaio 1949, nell’ospedale di poveri della Città carioca. Tra gli emulatori di Ponzi, ma non alla sua altezza, troviamo lo statunitense Bernard (Bernie) Madoff (1938-2121), ex presidente del Nasdaq, il cui malloppo viene calcolato tra i 50 e i 65 miliardi di dollari truffati e Gianfranco Lande, nato a Roma nel 1962, soprannominato il Madoff dei Parioli che, di recente, ha estorto oltre 300 milioni di euro a persone del mondo bene e dello spettacolo della Capitale d’Italia.