(di Anthony Brown) – L’importanza dell’informazione, la nascita dei giornali, le regole per scrivere bene un articolo, il lavoro di redazione, ma soprattutto la figura del reporter di guerra sono alcuni dei temi affrontati da Clara Salpietro, giornalista e reporter di guerra freelance, a Palermo durante gli incontri con gli studenti dell’Istituto Comprensivo Statale “Scinà-Costa” e dell’Istituto Comprensivo Statale “Giuseppe Scelsa”.
L’incontro presso l’ICS “Scinà-Costa” è stato reso possibile grazie alle professoresse Giuseppa Russo e Daniela Spatafora, referenti per la Legalità; fautrice dei due incontri presso il plesso “Nuovo Pagliarelli” dell’ICS “Giuseppe Scelsa” è stata la maestra Lina Cortese.
L’Iraq, l’Afghanistan, il Libano, ma anche il Kosovo, l’Albania e la Bosnia, e il dramma dei profughi siriani presenti al confine tra Siria e Giordania, sono stati al centro della relazione di Clara Salpietro, che ha proiettato delle foto scattate dalla stessa durante i viaggi nei territori dove ancora oggi permane una situazione di crisi.
Salpietro ha parlato della professione di giornalista, del percorso che l’ha portata a intraprendere le missioni in zone a rischio e ha poi spiegato le difficoltà che incontra un giornalista che si trova in zona di guerra, da come muoversi a come fare informazione. Inoltre ha raccontato alcuni episodi che hanno segnato la sua vita.
“Il reporter di guerra – ha detto Clara Salpietro – è un giornalista che documenta direttamente sul campo lo svolgersi di un conflitto, raccontandone non solo gli aspetti militari, ma anche e soprattutto quelli umani. Gli articoli che realizza sono reportage che solitamente si compongono di immagini, foto e video, e di una parte scritta, a seconda del media al quale sono destinati”.
La giornalista ha raccontato cos’è il giornalismo embedded. “Durante le mie missioni – ha sottolineato Salpietro – sono stata una giornalista ‘embedded’, cioè ho seguito i militari italiani che sono impegnati in missione all’estero e con i miei articoli ho informato i cittadini, l’opinione pubblica sull’attività che i nostri militari portano avanti all’estero”.
“Spirito d’avventura – ha evidenziato la giornalista -, incoscienza, sfida del pericolo o della paura: non sono qualità che si possono attribuire ad un giornalista che decide di fare l’inviato di guerra. La spinta per partire è racchiusa nel Dna, bisogna sentirlo internamente, scatta un meccanismo che porta direttamente, senza accorgersi dei passaggi intermedi, nella zona “calda”. Quello che mi spinge a rischiare la vita non è solo la voglia di fare una corretta informazione, ma ho sempre considerato che dietro un’immagine, un articolo di giornale, un servizio in Tv c’è molto altro. Il mio intento è di dare voce a chi non ne ha, di parlare e capire cosa pensa un normale cittadino che vive in posti dove miseria e povertà sono l’unica cosa certa, di raccogliere tutte queste informazioni e poi di raccontare. La voglia che ho di fare questo poggia sul principio base dell’obiettività. Consideratemi come gli occhi di un potenziale lettore, occhi che sono andati in questi posti e dopo aver visto quella realtà sono tornati per raccontare”.
“Ogni guerra – ha proseguito – nasce dalla mancanza di dialogo tra fazioni opposte e dalla voglia di potere, ognuno vuole prevaricare sull’altro. Il reporter di guerra racconta quello che vede, racconta i fatti, con le fonti e i testimoni. Bisogna avere una particolare attenzione e sensibilità nei confronti della cultura e delle problematiche delle popolazioni e dei Paesi nei quali si va a cercare notizie. Gli articoli devono essere preceduti da una fase di studio e di analisi delle vicende che ci si appresta a raccontare. Il vero inviato non parte mai per un viaggio di lavoro senza prima studiare, prepararsi, documentarsi. Fare informazione, soprattutto nelle zone di guerra, significa uscire dall’albergo, incontrare la gente, creare legami con le persone, respirare l’aria di quei luoghi. È necessario andare là dove le cose accadono”.
Nel corso dell’incontro è stato evidenziato l’aspetto sanitario, la carenza di ospedali e presidi sanitari, che purtroppo rendono ancora più difficili le condizioni di vita delle popolazioni che hanno conosciuto la guerra, a cui si aggiunge il proliferare delle malattie, a causa delle inesistenti misure igieniche, e il dilagante fenomeno dell’analfabetismo, a cui si contrappone la grande voglia dei bambini di andare a scuola e imparare a leggere e scrivere.
Un altro momento particolare per gli alunni è stato l’ingresso del “Burqa”, il classico vestito di colore celeste indossato dalle donne in Afghanistan, visionato dagli studenti, con grande curiosità e attenzione, che sono rimasti colpiti dalla condizione di sottomissione delle donne che lo indossano.
“Spero che questi racconti – ha concluso Clara Salpietro – possano farvi riflettere e soprattutto capire quanto siamo fortunati, di come non dobbiamo lamentarci di quello che abbiamo. La vita umana inoltre va rispettata, non bisogna uccidere. Bisogna rispettare l’altro, va bene il confronto di idee e posizioni, ma senza scadere nella violenza”.
I racconti, la proiezione di foto e di un filmato hanno dato il via tra i ragazzi ad un dialogo serrato su temi anche attuali come l’Isis e la sua efferata violenza. Numerose le domande degli alunni, tra queste le motivazioni che spingono un giornalista a rischiare la vita, cosa mette in valigia, cosa mangia in zone di guerra, come riesce a conciliare professione di reporter e vita privata, fino a domande molto impegnative quali “cosa si può fare per avere più pace?”.
Proprio di fronte a questa domanda, durante l’incontro presso il plesso “Nuovo Pagliarelli”, un’alunna di V elementare ha scandito la frase: “Vuoi la Pace? Devi coltivarla nel cuore, devi implorarla”; un compagno di classe ha proseguito citando a memoria il testo di una recita: “Falla ora e qui. Vivi in pace con te stesso, con gli altri, con la natura”.
La giornalista ha detto alla platea di aver provato svariate volte senso di impotenza di fronte ad eventi e situazioni incomprensibili. Per capire meglio “che cosa fare per la pace”, gli studenti, prima della conclusione dell’incontro, hanno chiesto dei suggerimenti per poter loro stessi contribuire ad aiutare i bambini che vivono in territori che hanno conosciuto la guerra.