S.E. Mons. Maroun Lahham, Vicario patriarcale per la Giordania ed ex Arcivescovo di Tunisi, ha tenuto una conferenza sul “Il ruolo delle religioni nell’evoluzione delle società arabe” nel corso di un colloquio in Francia. Pubblichiamo qui il suo intervento, fatto a Parigi il 19 gennaio 2013. Il suo contributo è stato pubblicato sul sito del Patriarcato latino di Gerusalemme.
IL RUOLO DELLE RELIGIONI NELL’EVOLUZIONE DELLE SOCIETA’ ARABE
Il ruolo e la posizione della religione nelle società in generale e nel mondo politico in particolare è una questione vecchia come il mondo. Dall’Editto di Milano nel 313 la relazione tra questi due “mondi”, il politico e il religioso, ha conosciuto delle variazioni infinite: sottomissione del religioso al politico, sottomissione del politico al religioso, separazione netta e quasi negativa (la legge del 1905), separazione più flessibile (paesi anglofoni e germanofoni). Attualmente, dal punto di vista religioso cristiano, il Vaticano II parla di “indipendenza reciproca e di sana collaborazione” (GS 76) e dal punto di vista politico europeo si parla di “laicità positiva”. Il tempo smussa i picchi delle ideologie.
Ma questo quadro che sembra essere abbastanza equilibrato non si applica al mondo arabo. Innanzi tutto le società non sono le stesse, ma soprattutto il ruolo del religioso nel politico e nel sociale non è lo stesso. La religione, o piuttosto il fatto religioso, ha sempre avuto e continua ad avere un ruolo nell’evoluzione delle società arabe. Non mi soffermo sul passato perché il tema che ci interessa ha un forte riferimento al presente, a ciò che ormai chiamiamo “la primavera araba” e soprattutto ai nuovi regimi politici che hanno preso il sopravvento, regimi di colore musulmano o regimi musulmani tout court con delle frazioni salafite.
1. Un primo punto da notare è che le società arabe, musulmane e cristiane, sono delle società a forte matrice religiosa. Il riferimento religioso è naturale e fa parte della vita sia degli individui che delle società. Bisogna tener conto di ciò se si vuole comprendere cosa sta attualmente succedendo nel mondo arabo.
2. Da un altro punto di vista ricordiamo che il fatto religioso, musulmano in questo caso, era completamente assente durante le manifestazioni dei giovani e dei meno giovani nei recenti movimenti in Tunisia, Egitto, Libia, Yemen, Bahrein, Siria. Questi movimenti avevano un colore sociale, politico e umano. Ciò è anche dovuto al fatto che il fattore religioso in questi paesi non era soggetto alla contestazione, il fatto religioso arabo è tranquillo anche se i gradi di appartenenza e di pratica religiosa variano da un paese all’altro (l’islam tunisino non è l’islam egiziano ad esempio).
3. I movimenti della primavera araba erano spontanei, senza struttura politica anteriore, senza ideologia, senza veri leaders carismatici e così hanno potuto rovesciare dei regimi politici molto duri che duravano da 20, 30, 40 anni.
4. I movimenti religiosi islamici (e la politica internazionale, ma questo è un altro argomento) hanno colto l’occasione al volo e sono arrivati al potere con delle lezioni libere e democratiche, hanno incominciato ad avere un ruolo di primo piano nell’evoluzione delle società arabe. Ne riparleremo. Penso che non ci si debba stupire di questa avanzata dell’Islam e dell’islamismo, né della loro “vittoria” politica. Queste le ragioni:
+ Innanzi tutto, non lo si ripete mai sufficientemente – soprattutto a degli occidentali – la religione è un elemento costitutivo nella vita delle persone e delle società arabe.
+ Nei Paesi che hanno conosciuto la primavera araba i regimi politici non permettevano l’esistenza di nessun partito serio di opposizione. La Tunisia, per esempio, aveva qualche partito di opposizione, come anche l’Egitto, ma erano di facciata.
+ I partiti islamici, al contrario, esistevano, eccetto che in Libia (ed è per questo che – tra parentesi – non hanno vinto le elezioni, anche se i Libici sono musulmani al 100%). Questi partiti erano oppressi, perseguitati, messi in prigione, ma erano là, ben organizzati e ben strutturati. La persecuzione non ha fatto altro che donar loro più fermezza e più volontà di resistere e di sopravvivere.
+ Una volta spariti gli “oppresssoriˮ, essi si sono trovati tutti soli sulla scena politica. Erano organizzati, ben strutturati ed avevano dei programmi sociali e religiosi molto ben definiti, al contrario di quanto avveniva per i programmi economici e politici. Di ciò parleremo anche in seguito. Decine di nuovi partiti politici hanno visto la luce prima delle elezioni (più di 120 in Tunisia), ma erano dei neonati, senza alcun programma e senza alcuna esperienza politica; hanno provocato una frammentazione dei voti e indirettamente permesso al partito Nahda (partito politico tunisino di riferimento religioso) di ottenere una vittoria relativamente facile. Passati dall’opposizione al governo, i partiti religiosi si sono visti obbligati a parlare di economia e politica, senza tuttavia rinunciare al desiderio (volontà?) di cambiare la società e di farla “evolvere” in una direzione islamica. Certamente non lo dicevano, si difendevano anche, ma gli esempi sono numerosi: tentativi – abortiti – d’introdurre la Sharia nella nuova Costituzione tunisina, linea più stretta nell’osservare il digiuno di Ramadan, velo islamico parziale e integrale, discorsi politici nelle moschee, tentativi di reintrodurre la poligamia, fare degli alberghi Halal e degli alberghi Haram, cambiare la legge riguardante l’adozione in legge di garanzia, introdurre il velo integrale nelle università…senza parlare degli slogan come: “l’Islam è la soluzione”, “voglio essere governato dalla Legge di Dio” (Sharia), “una buona musulmana è una musulmana velata”, ecc.
Detto questo, la presenza dei regimi musulmani o islamici ai vertici del potere è giuridicamente legittima ed incontestabile. E’ un fatto assolutamente nuovo. In questo c’è una lezione per l’Occidente ed un’altra per gli stessi partiti musulmani.
– Per l’Occidente : il Medio Oriente, ed i paesi arabi in generale, non sono più gli stessi, ed un ritorno indietro è impensabile. La piazza araba è esplosa, mentre prima i popoli arabi temevano sempre i propri dirigenti, attualmente sono i dirigenti a temere i propri popoli. Questo cambiamento è di un’importanza estrema e non so se l’Occidente valuta tutta la sua portata.
Non è più possibile, né permesso, di trattare con dei dirigenti arabi despoti, di chiudere gli occhi di fronte alla violazione dei diritti dell’uomo sotto il pretesto di proteggere i propri confini dall’immigrazione illecita o di fermare l’avanzata dei partiti islamici. I paesi arabi sono dei paesi a grande maggioranza musulmana e l’Occidente deve cambiare la sua linea di condotta nel trattare questa nuova realtà.
– I paesi arabi che scelgono di essere governati da un Islam politico devono sapere che l’Islam politico deve essere moderato o non ha nessuna possibilità di riuscire. Nessun paese, arabo o no, non può più vivere in un “ghetto” religioso o politico. Faccio un solo esempio: l’Islam politico deve trattare con delle banche con interessi, cosa che non è permessa in un Islam rigido, retto dalla Sharia.
Con un Occidente che accetta le nuove regole del gioco politico e con un Islam politico arabo aperto e moderato, la vita diventa possibile.
Ripropongo la domanda: il religioso, come si presenta oggi o come si presenterà domani in diversi paesi arabi, può cambiare le società arabe e qual’è il suo ruolo nella loro evoluzione? Mi permetto di abbozzare una risposta.
Innanzi tutto, so che il tempo dei profeti è finito. Ciò che dico sono delle idee che impegnano solo me stresso.
– Il fatto religioso può riuscire a cambiare o a fare evolvere le società arabe:
Se prende una posizione chiara e netta nei confronti dei movimenti salafiti che hanno fatto la loro apparizione ufficiale nei paesi della primavera araba ed anche contemporaneamente ai partiti islamici. Questo non è il caso dei partitti al Governo in Tunisia e in Egitto. In questi paesi si constata una certa complicità tra il potere e i salafiti: un lasciar fare, una posizione molle, delle condanne gentili. Ultimamente le posizioni sono divenute più nette e spero che le prossime elezioni di giugno 2013 in Tunisia non ne siano la sola ragione.
Se l’Islam politico adotta una politica democratica che garantisce i diritti dell’uomo e le libertà che ne derivano, a cominciare dalla reciprocità e dalla libertà di coscienza e non solamente la libertà di culto. Questo è un punto che incontra ancora molte resistenze da parte musulmana perché va contro l’interpretazione letteraria del Corano. Anche qui è aperto un grande capitolo a cui si dovrà prima o dopo trovare una soluzione.
Se accetta il gioco politico democratico, compresa la procrastinazione del potere. Hamas a Gaza, che ritarda le elezioni sine die per paura di perdere, è un esempio che fa riflettere.
Se riesce ad offrire al popolo un programma economico valido. Perché anche se i popoli arabi sono musulmani nei loro geni, il loro primo bisogno resta quello di vivere (primum vivere deinde philosophare) e di lavorare.
Se riesce a offrire all’Occidente un programma politico serio e a uscire – così come l’Occidente – dal complesso storico Oriente/Occidente, crociate/colonialismo, islamizzazione dell’Europa/evangelizzazione dell’Islam, ecc. Una purificazione della memoria è obbligatoria da ambedue le parti per arrivare a delle relazioni serene tra questi due mondi.
E se questo non accade? Se questo non accade, i partiti a tendenza islamica avranno avuto la loro chance. E poiché tutto il mondo parla di libertà e di democrazia – che è già un’enormità per i paesi arabi e per gli stessi partiti religiosi – bisognerà dare la stessa chance ad altri partiti. Il partito che saprà governare i paesi arabi e fare evolvere le società arabe verso il meglio sarà il partito per il quale centinaia di giovani hanno sacrificato la loro giovinezza e la loro vita. (+Maroun Lahham – Parigi, 19.1.2013)
Fonte Patriarcato latino di Gerusalemme
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