(di Gianpaolo Ceprini) – Mentre l’Europa è alla soglia di una crisi politico-economica senza pari, gli speculatori giocano le loro carte, e Paesi come l’Italia in assenza di misure adeguate subiscono la morsa della recessione.
Le piogge stanno finalmente allentando la presa del caldo che ha imperversato sulle nostre città. Gli italiani stando alla stampa sono stati assai vacanzieri, pare infatti che una buona parte sono andati nella vicina Spagna, in Grecia o in Portogallo dove si è registrato il tutto esaurito proprio grazie alle nostre presenze. Ma si, cosa importa, in fin dei conti l’autarchia è un ricordo del passato, e poi notoriamente siamo stati sempre un po’ bastian contrari. Giolitti diceva che “Governare gli italiani non è né facile, né difficile: è inutile”. Sante parole, ma l’ha capito pure Monti che gli italiani i soldi ce li hanno e che qualche altra tassa si può ancora mettere sulle loro spalle.
Un autunno caldo aspetta il nostro Paese su vari fronti: economia, lavoro, politica.
Le nostre banche nonostante la seconda iniezione di liquidità, avvenuta con gli ultimi 255 miliardi incassati nel maggio scorso dalla Banca Centrale Europea, hanno ridotto i prestiti alle imprese ed alle famiglie. Questo irrigidirà la propensione ai consumi favorendo la contrazione già in atto, e diminuiranno i posti di lavoro in quanto le imprese, prive di liquidità, senza finanziamenti saranno costrette a chiudere i battenti.
Purtroppo, la crisi economica non e una crisi italiana ma una crisi europea di forti proporzioni che avrebbe potuto essere evitata se a suo tempo chi guidava la U.E. (Prodi) si fosse preoccupato di fortificare l’Europa evitando corse in avanti per pura vana gloria. Questo ci avrebbe evitato di partire con l’euro, che avrebbe potuto e dovuto nascere dopo aver realizzato l’unione federale e strutture sovrannazionali pronte a dirigere un’Europa che presto si sarebbe allargata ancora. Senza l’Europa federale non c’è trasferimento di poteri nazionali, soprattutto in materia di finanza pubblica, e questo comporta che decisioni quali quelle assunte in Ecofin nel luglio scorso, dove la Germania ha preteso il vincolo costituzionale sul bilancio in pareggio oltre ad un controllo costante e pervasivo sulle spese degli Stati con debiti sovrani a rischio, non trovi l’accordo unanime ma molte , molte riserve.
La solita gatta frettolosa che fece figli ciechi. Ora ne dobbiamo subire le conseguenze o modificare il Trattato esistente. Tuttavia il nostro Paese, diversamente dalla Grecia che ha accettato il “commissariamento”, può valutare se uscire dall’euro soppesandone tutti i pro ed i contro e non solo in termini di bilancia dei pagamenti, ma pensandola quale strumento politico contro l’arroganza speculativa di altri.
D’altra parte tra i motivi della crisi europea non mancano ruggini datate che minano i rapporti bilaterali a cui vanno aggiunte le trame segrete e quant’altro per favorire le lobby economiche, uniche protagoniste in questo scenario preoccupato e deludente.
Si fa un gran parlare dello spread, ossia del differenziale tra i titoli del debito italiani (btp) ed i bund tedeschi, che é troppo alto in quanto oscilla intorno a 500 mentre più realisticamente dovrebbe stare intorno a 150/170.
Cosa spinge verso l’alto il differenziale? E chi favorisce la sua crescita evitando che converga verso il basso impedendo ad esempio all’Italia di invertire la tendenza recessiva in avvitamento?
Per farla breve, proprio gli speculatori internazionali, ossia banchieri ed intermediari finanziari che per rifarsi dagli investimenti sbagliati del recente passato ora vorrebbero avviare nuove ondate speculative.
Questo tentativo di saccheggio va avanti dallo scorso anno, quando nella primavera del 2011 la Lagarde (FMI) e la Merkel spingevano affinché Monti rifinanziasse il debito accettando il programma di 90 miliardi di prestito la cui vera intenzione era, invece, di commissariare il nostro Paese.
A novembre dello stesso anno, in occasione del vertice G20 di Cannes la Lagarde ci provo di nuovo con una nuova forma di prestito il Precautionary and liquidity Line (PLL) , fortunatamente ci salvammo.
Ovviamente sia la Merkel che la Lagarde continuarono a sostenere che i nostri conti non erano a posto ed a tal fine non solo i rapporti interni vennero condizionati affinché esprimessero queste valutazioni (vedi le dimissioni dell’economista Peter Boyle) ma si utilizzarono anche le agenzie di rating che continuarono, come continuano, a propinarci tutto ed il contrario di tutto (ci basterebbe leggere i nominativi dei componenti del cda per capirne di più di questi intrecci affaristici).
Ed allora, di chi fidarci?
Sicuramente il rapporto debito pubblico/PIL in Europa ci vede al secondo posto (123,3) dopo la Grecia(132,4), ma questo non significa che siamo uno Stato fallimentare, anche se ci vorrebbero spingere al fallimento. Infatti, nonostante il disordine economico, la lentezza nelle riforme, l’incapacità dei politici, dei partiti, dei sindacati, ed ora anche di molti che si definiscono esperti, si e riusciti a far calare la spesa pubblica anche se non nella forma che si sarebbe dovuta.
La Germania conduce la sua guerra di rigore, una guerra che in altri tempi non gli portò fortuna tanto che ingrossò solamente le file del nazionalsocialismo hitleriano. Oggi, dopo 60 anni ripropone l’out/out a cui non dovremmo rispondere in modo suadente ma con quella decisione che allora, come oggi, continua a mancare.
E se facessimo come l’Inghilterra che guarda l’Euro(pa) da fuori?
Forse in presenza di un forte scossone (come nell’ultima guerra dove tutti sapevano e nessuno parlò) i tedeschi non manderebbero in vacanza il Consiglio di Stato per rallentare la loro decisione sul trattato istitutivo dell’European Stability Mechanism (Trattato che una volta in vigore prevede che l’assistenza possa essere attivata su richiesta dello Stato interessato preceduta da una valutazione della Troica (Commissione+BCE+Fondo Monetario) e seguita da un Memorandum of Understanding per definire le condizioni dell’intervento finanziario. Tale Trattato va letto però in combinato con quello sulla stabilità, coordinamento e governance dell’Unione economica e monetaria (Fiscal Compact Treaty firmato il 2.03.2012 da 25 Stati che entrerà in vigore il 1.01.2013, a condizione che almeno dodici Stati lo ratifichino, ad oggi solo sette Stati lo hanno ratificato ) nato grazie ad una interpretazione giuridica dell’art. 127(6) del TFUE ove si stabilisce che il Consiglio, previa consultazione del Parlamento europeo e della BCE potrebbe affidarle compiti specifici in merito alle politiche creditizie). Forse si renderebbero conto che non siamo colonia ma partner fondatori di una stessa Europa.
Bene fece Trichet, e altrettanto ora Draghi, ad avviare in seno alla BCE il programma di acquisto dei titoli di stato dei paesi euro sotto attacco finanziario. Così si sostiene l’Europa, così si frena la speculazione degli avidi a cui non interessa l’unione.
Per salvare Grecia, Portogallo ed Irlanda, la BCE ha acquistato i titoli del debito pubblico di questi Paesi oltre che della Spagna e dell’Italia per oltre 200 miliardi di euro ed erogato aiuti per oltre 703 miliardi.
Se dall’inizio della crisi (2010) l’Europa fosse intervenuta con decisione ignorando i niet tedeschi non solo sarebbero bastati 140 miliardi per sterilizzare il debito greco (contro i 240 erogati), ma si sarebbe potuto bloccare la speculazione e disinnescare la spirale negativa che ha travolto poi Irlanda, Portogallo, Italia, Spagna e per poco anche il debito sovrano francese.
Tuttavia, la responsabilità della crisi non va addebitata solo alla Grecia, colpevole di aver alterato i conti del deficit per rientrare nei parametri di Maastricht e stare nell’euro, ma non della genesi della crisi che va individuata prevalentemente nel substrato speculativo in cui banche e intermediari finanziari hanno sguazzato per anni con la compiacenza ed il silenzio di molti.
Ora questa politica dei niet rischia di irrigidire solo i mercati aumentando il costo degli interventi e spingere la politica verso sacche estremiste che rappresentano una minaccia per la stabilità europea.
E’ di questi giorni, infatti, la battaglia per l’introduzione del limite ai tassi di interesse sui titoli di stato (tetto anti-spread) dei Paesi in difficoltà per limitarne gli effetti speculativi. Draghi lo vorrebbe, il governo tedesco non è d’accordo. Fortuna vuole che in Germania le elezioni sono vicine e questo potrebbe aiutare il nostro Draghi a respingere le pressioni negative della Bundesbank.
Jens Weidemann, presidente della Bundesbank, è pronto a dare le dimissioni pur di forzare la sua posizione all’interno della BCE, mettere cioè in crisi il Presidente Draghi. Per lui il finanziamento ai Governi è una pratica vietata dai trattati europei , se lo si approvasse sarebbe un processo dagli effetti disastrosi difficilmente recuperabili nel tempo.
La Cancelliera Merkel ed il suo Ministro delle Finanze Schauble pur di evitare un passo irreversibile sono pronti a sostenere da un lato la vendita dei titoli italiani il cui positivo andamento potrebbe evitare richieste da parte del nostro Governo per accedere al fondo salva Stati.
Per evitare il ricorso al fondo salva Stati la questione è ora al vaglio della Corte Costituzionale tedesca che non è disposta a barattare la sovranità della Germania e non condivide certe interpretazioni estensive dell’art. 127(6) del TFUE.
Secondo la Bundesverfassungsgericht (BVerfG) tale interpretazione pone serie perplessità sulla compatibilità del Trattato di Lisbona con la Costituzione tedesca in quanto una siffatta estensione di competenze costituirebbe comportamento ultra vires intaccando un diritto protetto dalla Costituzione tedesca.
La Corte costituzionale, pur non eccependo il primato del diritto comunitario, intende tuttavia esercitare appieno il suo potere di vigilanza sia sulle competenze della Ue, sia sul contenuto del Trattato stesso con la logica conseguenza che potrebbe, ove le norme fossero ritenute essere confliggenti con la costituzione tedesca, disapplicare le norme dell’Unione europea.
E’ evidente che la “rinuncia alla sovranità nazionale in favore di un’entità federale” richiederebbe l’indizione di un referendum popolare da parte del popolo tedesco i cui esiti in questo momento potrebbero essere catastrofici perché riaprirebbero il vaso di Pandora ponendo a serio rischio l’Unione economica e monetaria europea. Come non bastasse, inoltre, i giudici della Suprema Corte tedesca hanno ribadito che in tema di aiuti sia coinvolto il Parlamento federale e l’apposita Commissione di Bilancio del Bundestag.
E’ evidente però che la Germania vuole scongiurare uno scontro frontale, e la stessa Corte Costituzionale dovrà tenere conto che la posta in gioco non è solo l’Unione economica e monetaria, ma anche un certo dissenso che serpeggia nel mondo economico tedesco a causa di questa presa di posizione eccessivamente rigida del Governo.
Un’ostinazione che non sta pagando solo l’Europa ma anche la stessa imprenditoria tedesca che di giorno in giorno si vede ridurre gli ordini di acquisto e a breve ne risentirà anche il mercato del lavoro tedesco la cui contrazione sarà però avvertita solo nel medio periodo.
Queste incertezze non hanno fatto altro che accresce l’esercito di coloro che si chiedono se valga ancora la pena rimane nell’euro. Cosa accadrebbe, infatti, se fossimo fuori dall’euro?
Nel settore commerciale l’uscita dall’euro riporterebbe in vita la compianta svalutazione competitiva per i nostri prodotti facendo crescere la domanda e ripartire la produzione invitando gli imprenditori ad investire per soddisfare la cresciuta domanda. Sul fronte delle materie prime i nostri acquisti sarebbero effettuati in dollari che pagheremmo leggermente di più proprio per quel 25 per cento di svalutazione della nuova lira, tenendo conto però che in presenza di una nostra uscita l’euro farebbe scendere la parità con il dollaro ora troppo elevata sull’1,22.
Il mercato immobiliare, visto che patrimonio e debito avrebbero la stessa svalutazione, non dovrebbe far registrare variazioni in svantaggio. I prezzi sicuramente crescerebbero perché spinti dalla svalutazione della nuova lira che attirerebbe non pochi investitori nel nostro Paese. Ovviamente i mutui, se verranno rivisti i panieri, non dovrebbero far registrare grosse impennate e le famiglie potrebbero contare su una rata non molto alta.
Nelle prossime settimane comunque si deciderà cosa fare. Se riusciremo a piazzare tutti i 170 miliardi di titoli, e la partenza sembra per ora buona, significherà che gli investitori sia essi italiani che stranieri hanno ancora fiducia nel nostro Paese, diversamente lo spread continuerà a salire oltre ai 500 e questo significherà che o accetteremo di farci commissariare divenendo una colonia o dovremo decidere di uscire dall’euro avvalendoci del diritto di recesso previsto dall’art.50 del Trattato di Lisbona. Dovremo in pratica notificare al Consiglio Europeo tale decisione, ovvero proseguire la battaglia intrapresa 60 anni fa per fare l’Europa federata.
Ora si riparla di sovranità popolare, monetaria, linguistica, statuale. Assurdo modo di procedere nelle cose. Credo sia più saggio non aprire questo vaso di Pandora anche perché più di un Paese della nuova Europa inizia a manifestare apertamente il proprio scetticismo nei confronti dell’euro e qualcun altro, come il Ministro per gli affari europei Moavero, tanto per non andar lontano, parla apertamente di indire referendum su come deve essere l’Unione Europea del futuro. Per non parlare poi di certi partiti, come la Lega che si prepara ad un vero e proprio referendum sull’Europa e sull’euro.
Purtroppo a mio avviso l’era dei tecnocrati è stata più disastrosa di quella dei politici.
Sul piano europeo, sessant’anni or sono Adenauer, De Gasperi e Schumann per evitare totalitarismi e nuove guerre vollero creare la Comunità europea su basi culturali cristiane. L’incapacità dei nuovi tecnocrati non solo ha stravolto il Progetto dei padri europei cancellandone le origini spirituali ma è riuscita a creare un’unione monetaria senza banca di riferimento e senza Stato. Recentemente sul quotidiano Libero ho letto che “ora solo la speculazione e padrona dell’Europa disunendo gli Stati in modo irreversibile in quanto essa genera solo miseria e paura nel futuro”. Nulla di più vero.
E’ evidente che il Trattato va rivisto per renderlo più aderente alle reali esigenze di un’Europa cristiana e federata che dovrà gestire il popolo europeo di questo millennio con un bilancio unico ed un sistema finanziario che consideri le loro economie anche nelle diverse velocità organizzandone la crescita armonica.
Sul piano nazionale, non è andata certo meglio.
Dopo anni di sperperi ed assunzioni clientelari a go-go, la politica aveva capito che era giunta al capolinea ed ha fatto un passo in dietro lasciando fare le cose sporche ad un soggetto estraneo al loro mondo -a mio avviso estraneo fino ad un certo punto – che riportasse i conti in ordine o quanto meno al punto da farci riguadagnare faccia e credibilità. Così dopo anni che si parlava sempre di Monti, quando non si sapeva chi nominare, finalmente l’hanno chiamato a fare quello che loro non avrebbero mai fatto per motivi puramente elettorali. Con quale faccia si sarebbero presentati ai cittadini?
E così al nostro Professore non è rimasto altro che incidere sui tanti sperperi cumulati chiedendo ogni giorno sempre maggiori sacrifici nella speranza che ogni misura presa sia l’ultima. Ma il mandato è troppo condizionato dai signori del vapore che vorrebbero sgomberare il campo dai tanti errori commessi per il solo gusto di poter poi ricominciare, e che importa quindi se verrà messa anche la patrimoniale o ci si dovrà inventare qualche altro balzello, tanto non saranno loro sul piano dell’immagine a doverne rendere conto agli elettori, anzi potranno dire: che delusione, se non lo fermavamo ci avrebbe condotto alla rivoluzione.
Ma il tempo è galantuomo e i conti li sa fare e anche se cristianamente non li presenta il sabato tuttavia il redde rationem arriva.