(di Roberto Falaschi) – Da molto tempo si discute di una missione militare per proteggere i lavoratori della ditta italiana Trevi che dovrà, auspicabilmente, operare per puntellare la diga Saddam, a monte di Mosul che, essendo stata costruita su un terreno cedevole per non collassare necessita di costante e costosa manutenzione.
Il contratto con la Trevi è di 300milioni di dollari, ma i lavori non sono stati ancora avviati e la presenza dei nostri militari è tutt’ora in discussione tanto in Italia quanto in Iraq e svariati tecnici temono che il crollo potrebbe verificarsi questa primavera con il disgelo delle nevi e l’aumentata pressione idrica sul manufatto.
L’inevitabile conseguenza sarebbero alcuni milioni di morti e la distruzione di varie città oltre all’allagamento di vaste aree.
Per comprendere appieno il gravissimo pericolo che quest’opera rappresenta è bene conoscerne il passato fin dalla decisione di definirne il sito.
Tutto cominciò durante la guerra tra Iraq ed Iran quando per le pressioni politiche di un sodale di Saddam Hussein ne fu decisa la costruzione in un sito geologicamente inidoneo per la friabilità del terreno. Eretta in fretta da una ditta italotedesca in un terreno poroso venne inaugurata nel 1984 e da allora necessita di costante infusione di microcemento per consentire al suolo di sopportarne il peso.
L’infusione non rappresenta un lavoro definitivo, ma di semplice manutenzione e puntellamento dovendo quindi deve essere continua salvo il collasso del manufatto. Così andò avanti alla chetichella fin da due anni dopo l’inaugurazione. Da allora sono stati infiltrati poco più di 90milioni di tonnellate di micro cemento.
Con l’occupazione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti la manutenzione della diga proseguì sotto attenta supervisione come pure con il loro ritiro. Disgraziatamente dal 7 al 17 agosto 2014 la diga fu in territorio controllato da DAESH (ISIS) durante i quali, seppur non vi furono sabotaggi o distruzioni, la necessaria costante manutenzione cessò, come era facilmente prevedibile e così il terreno sul quale poggia l’opera è diventato progressivamente sempre meno capace di sopportarne la massa.
Ossia sono stati sufficienti pochi giorni di trascuratezza per rendere la costruzione sempre più instabile nel corso dei 19 mesi passati fino al punto di temerne il prossimo possibile collasso la primavera prossima.
In caso di cedimento la valanga d’acqua, alta intorno ai venti metri, seguendo il corso del Tigri si abbatterebbe nel giro di circa quattro ore su Mosul dove nessuno del milione di abitanti avrebbe scampo. Quindi proseguirebbe lungo il fiume allargandosi ed inondando il terreno circostante e travolgendo numerose altre città inclusa Bagdad.
Una volta esauritasi la furia dell’acqua nel pantano colmo di morti umani e carogne animali si avrebbero delle conseguenze altrettanto gravi con pestilenze, mancanza di acqua potabile, di elettricità e qualsiasi servizio indispensabile alla vita il tutto accompagnato da forte criminalità.
Di fronte a questa non ipotetica possibilità il governo iracheno, con maomettana fatalità, continua a sostenere non esserci alcun pericolo prossimo e non adotta rapidamente provvedimenti.
Il contratto tampone con la ditta Trevi ancora non è avviato e malgrado i ripetuti allarmi del genio militare americano ed i pressanti solleciti dell’Ambasciata U.S.A. nulla sembra muoversi in senso positivo.
L’Italia per parte sua si è offerta di inviare cinquecento militari a protezione dei lavoratori in futuro impegnati nella prevenzione della sciagura, ma dopo un primo rifiuto del governo iracheno tutto è sospeso.
Intanto la costruzione della diga Baddush a valle del manufatto pericolante langue ed il governo iracheno non mette a disposizione i 10miliardi di dollari necessari per erigerla, pur essendo la priorità delle priorità e già prevista dal 1990.
Intanto con quella che si potrebbe definire una criminale trascuratezza il governo locale non ha neppure mostrato un piano concernente una possibile emergenza che oltretutto sarebbe aggravata dalla presenza di DAESH nella zona che ovviamente approfitterebbe della catastrofe per arrecare ulteriori danni dimostrando anche che quello era il volere di Allah che castigava gli empi e gli infedeli. Non si lascerebbero sicuramente sfuggire l’opportunità di un intervento a loro favore anche vari stati, principalmente i limitrofi quali Iran e Turchia.
Non resta che sperare che il disgelo non avvenga troppo rapidamente anche perché i canali di scarico d’emergenza sono in operativi.