(di Luca Carniel) – La crisi economica è sotto gli occhi di tutti ed è tanto evidente quanto estesa nelle sue varie forme e dimensioni a tutti gli attori europei e non solo. Per semplificare, si potrebbe proporre una duplice considerazione: ovvero, che il difficile momento economico e finanziario sia un qualcosa di più ampio e che gli eventi che ne derivano – come le scelte politiche e i nervosismi sociali – siano dettati nel loro timing dagli esuberanti ed altalenanti andamenti borsistici.
Andamenti sempre meno comprensibili e, al contempo, sempre più forieri di conseguenze imprevedibili. Lo smarrimento mentale è da intendersi quale sensazione comune: non v’è dubbio alcuno.
Sembra che l’impazzito mondo economico, interpretato nell’agitato teatro borsistico dagli innumerevoli indici (appunto borsistici), abbia contagiato la politica e la società europea come non era mai accaduto – nemmeno durante il periodo della Grande depressione – dando vita ad un miscuglio di criticità in cui le differenze si palesano potenti e tutte contemporaneamente.
I risultati sono evidenti: un cocktail estremamente frizzante di turbolenze politiche condito di rinnovate agitazioni sociali aggiunte alle scarse risorse economiche e alle vane proposte politiche.
Governi che cadono, leader che vengono sostituiti, studenti e lavoratori in piazza, dichiarazioni mediatiche con effetti quasi istantanei, scontento generale, gente accampata, previsioni tanto drammatiche quanto impreviste e molto altro ancora. Sembra davvero che il mondo assonnato e silenzioso in cui si è preoccupati solo del proprio “particulare” stia cedendo il passo ad una nuova dimensione.
Ed ecco che tutti, ma davvero proprio tutti, si ritrovano a dire qualcosa, a tutelare qualcuno o a recriminare su questo o quell’altro argomento. Sempre a voce alta, comunque animatamente e, con l’immancabile aiuto del network globale che rende tutto molto social, vicino e completamente condiviso.
In questa agitazione complessiva nessuno – non solo i mercati – riesce a stare fermo e tutti sono catturati dal desiderio di manifestare per ragioni personali o per difendere gli interessi del proprio gruppo di riferimento o, solo perché lo fanno gli altri. L’importante è non aspettare e scendere in piazza. Come se i freni inibitori fossero venuti meno e il momento della misura colma fosse alla fine arrivato. Chi lo può dire, misura colma o meno, ad ogni buon modo, è certo che qualcosa stia davvero cambiando rapidamente.
Stanno emergendo dinamiche che sembrano esprimere tensioni di altri tempi e di generazioni passate e che fanno traballare la tranquillità a cui il Vecchio Continente si era da troppo tempo abituato.
Forse l’Europa si appresta a vivere una forma light di rivoluzione, o, senza esagerare, di rinnovata Primavera dei Popoli, con protagonisti più o meno giovani e di varie categorie sociali. O, senza troppe domande, c’è da fare propria la consapevolezza che l’unica certezza consiste in nuove forme di scarsità che incidono dolorosamente sullo “stare bene” a cui da tempo tutti si sono abituati.
L’Europa della prosperità annunciata si sta rivelando nella sua vera natura, o almeno, nel suo essere contemporaneo – differente da come venne pensata e da come probabilmente diventerà – ovvero, come momento di sacrificio comune. Non importa quali siano le cause di questa contemporaneità che nessuno desidera ma è certo che rinunciare al proprio “stare bene” non sia facile.
Nessuno vuole fare un passo indietro per togliersi qualcosa specialmente in una società che per natura culturale concepisce il procedere in avanti quale valore fondante. Forse è il caso di ripensare alle abitudini, ai punti fermi e alle certezze.
Ed ecco che arriva una sfida estesa a tutti: individuare gli strumenti, le modalità e i valori da utilizzare in un domani incerto contornato da un universo maggiormente critico rispetto all’oggi. Questi i pensieri che attanagliano le menti e che tormentano tutto il continente.
In questo contesto, anche le classi dirigenti hanno perso la loro identità. Non è facile per alcuna di loro stare da nessuna parte. O meglio, rielaborando i termini, ogni parte, ogni posizione, ogni luogo ed affermazione si fa “bollente”, ovvero, da maneggiare con attenzione. Elite ed effervescenze sociali, politiche ed economiche non collimano agevolmente con l’idea di zona di conforto che mette a proprio agio. Da qui la strategia, scelta dai più, dell’annuncio, del proclama e del “dire facile” a cui poi, troppo spesso, seguono i nulla di fatto. Conviene davvero non esserci, non prendere posizione, o affermare come “sia solo responsabilità dell’altro”: queste le strategie vincenti.
È vero, chi riveste ruoli di responsabilità nei Paesi europei non ha di questi tempi vita facile. Probabilmente in altre parti del mondo le cose non girano in modo tanto dissimile. Non è agevole impostare azioni supportate da analisi che valgono un giorno e vengono meno in quello successivo. Non è facile affermare qualcosa senza urtare la sensibilità, gli interessi di questo o quel gruppo o lobby. È come muoversi in un gioco nuovo in cui si è in posizione di svantaggio nel dare la prima mano. La resistenza europea al cambiamento e al pensiero orientato ad altre visioni e soluzioni è il grande freno alle novità.
Cosa fare allora, a chi affidare la governance del destino se tutti i pretendenti sono immersi in orizzonti valoriali datati o quantomeno non più attuali e vincolati a schemi come a strutture mentali che necessitano un qualcosa di nuovo. Nei momenti difficili un cambio di gestione è auspicabile, anzi necessario: un poco come le pulizie che accompagnano ogni cambio stagione.
Luci ed ombre accompagnano ogni cambiamento. Il timore è che a tergo dell’affermazione di volti differenti il prodotto e l’effetto politico sia sempre lo stesso. Nello specifico il dilemma è se le élite – anche nuove – siano in grado di cambiare la loro vision in un tempo in cui gli viene chiesto dalla gente e imposto dagli eventi.
Il lato positivo comunque non manca: oggi, infatti, tutto sembra essere messo nuovamente in gioco. E, quando si muovono le cose, contrariamente al detto del “quieta non movere”, è sempre buon segno.
La rinnovata presenza di dinamiche che allontanano le parti, le idee, le persone e gli Stati stonano, producono l’effetto nel sentire comune di amplificare la sensazione di quanto importanti siano la vicinanza, la reciprocità, la visione comune e i progetti allargati e condivisi.
Tutti hanno in mente un’idea di Europa da intendersi quale luogo della massima condivisione delle risorse nazionali in un equilibrio di interdipendenza statale, mai accompagnata dalla logica dello scontro.
La Storia ha regalato questa visione a tutti gli europei, piaccia o meno. Gli eventi a seguito delle guerre mondiali hanno indicato la strada da percorrere. Ai contemporanei il compito difficile di fare dell’idea iniziale una realtà, oggi ben lungi dall’essere vicina e concreta. Su queste note è necessario suonare, lo impone lo spartito. Quanto al resto, un poco di ottimismo per il futuro non guasta.
La commissaria europea Reding a Trieste il 16 settembre – Il 15 le due manifestazioni di TPP e MTL
settembre 13, 2013