(di Clara Salpietro) – Il giudice Rosario Priore è entrato nella carriera di Prefettura nell’agosto 1964. È entrato in Magistratura il 5 aprile 1965. È stato nominato magistrato di Tribunale il 5 aprile 1970; magistrato di Appello il 5 aprile 1978; magistrato di Cassazione il 5 aprile 1985; presidente di Cassazione il 5 aprile 1993. È stato nominato il 27 ottobre 1989 magistrato coordinatore dell’Ufficio Istruzione Stralcio, per la prosecuzione di una serie di procedimenti, la cui istruzione, secondo il codice del ’30, era stata prorogata. Ha esercitato funzioni di Sostituto Procuratore, Pretore, Giudice Istruttore, Giudice per le indagini preliminari e Giudice per l’udienza preliminare. È stato nominato il 26 ottobre 1989 Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Roma. Priore è stato giudice istruttore di numerose inchieste, tra cui l’inchiesta sulla strage di Ustica.
Difficile trattare la vicenda della strage di Ustica, tante le difficoltà che nel tempo hanno incontrato alcuni giornalisti, a cui spesso è stato consigliato di non occuparsi di quanto avvenne quella notte del 27 giugno 1980, quando l’aereo di linea Douglas DC-9, immatricolato I-TIGI, della compagnia aerea italiana Itavia, decollato dall’Aeroporto di Bologna e diretto all’Aeroporto di Palermo, si squarciò in volo all’improvviso e scomparve in mare presso le isole tirreniche di Ustica e Ponza. Nell’evento persero la vita tutti gli 81 occupanti dell’aereo.
Incrociando le prove raccolte in 9 anni di inchiesta con i recenti sviluppi in sede giudiziaria, il giudice istruttore Rosario Priore ha delineato la sua ricostruzione nel libro-intervista “Intrigo Internazionale”, scritto con il giornalista Giovanni Fasanella, per i tipi di “Chiarelettere”, Milano 2010, sulle connessioni internazionali del terrorismo. Secondo la loro tesi, nella sera del 27 giugno 1980, ci fu una battaglia aerea tra Francia e Libia nei cieli italiani e il DC9 fu colpito per errore da un missile inviato da un caccia francese.
Priore ha inoltre pubblicato articoli su questioni di terrorismo internazionale e intelligence ed è intervenuto in numerosi convegni su diritto, politica, storia ed economia.
Si è anche occupato dell’attentato al papa Giovanni Paolo II e la sentenza emessa sull’attentato al Papa è stata pubblicata come volume dal medesimo titolo. Ha pubblicato, con il professore Lavanco dell’Università di Palermo, una ricerca sulla criminalità minorile.
Ha pubblicato il libro “Chi manovrava le Brigate Rosse”, con il giornalista Silvano De Prospo, sulle vicende dell’Hyperion e le centrali del terrorismo internazionale, per i tipi della casa editrice “Ponte alle Grazie”, Milano 2011.
Incontriamo il giudice Priore, a Palermo, in occasione della seduta solenne dell’Assemblea regionale siciliana, convocata al Palazzo dei Normanni del capoluogo siciliano, per commemorare le vittime delle strage di Ustica. Nei corridoi del Parlamento siciliano, parliamo della strage di Ustica, con uno sguardo alla politica internazionale e alla Siria dei giorni nostri.
Giudice Priore, il 27 giugno del 1980 il colonnello Gheddafi stava sorvolando i cieli italiani. Dove era diretto?
Si è sempre affermato che quell’aereo fosse diretto dove Gheddafi avrebbe dovuto stipulare un trattato con il generale Jaruzelski di scambio petrolio contro grano. E in effetti a brevissima distanza di tempo fu il generale ad andare dal colonnello. E a Tripoli fu concordato uno scambio tra grano e petrolio nell’interesse di entrambi i Paesi. Grano di cui la Polonia era ricca, come la Libia lo era del petrolio.
Come giudica la posizione del governo italiano sulla strage di Ustica?
In quel periodo funzionava il lodo Moro che voleva per il nostro Paese una funzione di cuscinetto nei rapporti tra Est e Ovest, patto di Varsavia e patto Atlantico, ed anche tra Nord e Sud del mondo. L’Italia manovrava, con la consapevolezza del suo maggiore alleato gli Stati Uniti, e nel quadro delle relazioni della NATO, tra i Paesi mediterranei per favorire i suoi bisogni primari, di energia, petrolio e gas per le sue industrie allora in forte espansione, per tentare di attenuare le tensioni tra le parti avverse. E la sua politica riceveva anche una certa “benedizione” da parte del Cremlino, dei sovietici a loro volta attenti al socialismo panarabo. C’era stata la guerra anglofrancese per il canale di Suez negli anni Cinquanta, una guerra ostacolata sia dagli americani che dai sovietici. L’Italia si muoveva – erano i tempi del grande Enrico Mattei – con passi incerti ovvero con politica estera oscillante tra gli opposti schieramenti. Noi avevamo bisogno di petrolio e stipulavamo importanti accordi fifty-fifty con i Paesi arabi. L’America chiudeva un occhio. C’è poi da ricordare che Gheddafi stesso era una “creatura” di Roma e non solo degli italiani…
La nostra politica estera è stata segnata dal lodo Moro per anni e, forse, la determina ancora. Bisogna guardare a quegli eventi, con l’occhio degli storici, il lodo Moro è stato determinante nella nostra storia. Un esempio. Per effetto del lodo Moro, Yasser Arafat, stava per salire, nel ’72, su una nave italiana per fuggire dal Libano invaso dall’esercito israeliano per rifugiarsi in Sicilia. Qualcuno però ha ricordato ad Arafat che egli aveva un mandato di cattura sulle spalle e che, quindi, non poteva salire sulle nostre navi da guerra, territorio italiano a tutti gli effetti ovunque si trovino. Appena avesse messo piede sul barcarizzo di una nave da guerra, noi avremmo dovuto trarlo in arresto. Noi, abituati da secoli scorsi a giri di valzer, per effetto del Patto Atlantico avevamo una moglie americana, ma anche una amante libica. Rapporti ballerini non solo, ma anche “adulterini”.
Sui cieli di Ustica quel 27 giugno chi ha detto a Gheddafi di cambiare rotta?
I nostri servizi segreti, con ogni probabilità. Il velivolo con codice 56, che vuol dire Capo di stato a bordo, che aveva rotta da Tripoli verso nord ha compiuto una deviazione ad angolo retto verso Malta ed è tornato sicuramente verso la Libia.
Se Gheddafi era protetto dagli italiani, perché poi l’Italia ha partecipato al bombardamento in Libia nel 2011?
Ottima domanda! Ma facile capire chi ci ha convinto. Berlusconi aveva avviato con Gheddafi, già riabilitato alla caduta di Saddam Hussein, una distensione con la Libia attraverso il Trattato di Amicizia tra i popoli libico ed italiano. In realtà con 5 miliardi di dollari a titolo di riparazione per il periodo coloniale, tale credito avrebbe funto da volano per vent’anni di relazioni economiche; che avrebbero fruttato ben 70 miliardi di fatturato e opere di comune interesse e fatto della Libia il Paese più emancipato dell’area e dell’intera Africa. Avevamo le concessioni petrolifere fino al 2048. Ma tra i nostri vicini si trattava di una partita da chiudere nell’ambito dei tumulti della cosiddetta Primavera araba. E così una coalizione di Volenterosi, capeggiata – guarda caso da Francia e Gran Bretagna, con avallo degli Stati Uniti, ha operato la defenestrazione di Gheddafi. La Segreteria di Stato ci ha richiesto di agire secondo le regole del patto occidentale.
E in Siria? Analogie, differenze, col caso Libia?
Per Assad è diverso, perché egli a Tartus, porto siriano sul Mediterraneo, ha concesso una base alla flotta russa. Da marzo sono entrate nel Mediterraneo verso le coste siriane circa 27 navi da guerra della flotta russa. Adesso nel Mediterraneo il presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, manda 500 marines a Sigonella per intervenire nel caos libico, mentre la Russia ha attualmente una flotta di tutto rispetto, entrata nel Mediterraneo attraverso il canale di Suez. La situazione appare assolutamente squilibrata e sembra che da Roma, l’Italia non ha capito granché dello scacchiere geopolitico nel Mediterraneo, negli ultimi tempi.
Quindi, marines a Sigonella e flotta russa nel Mediterraneo. Ancora una volta come nel 1969 l’Italia oscilla, nei suoi interessi, tra una sorta di nuova guerra fredda, tra gli Stati Uniti e la nuova Russia?
Forse. Corsi e ricorsi della grande storia. Fatto è che sempre la Sicilia, e questa è una storia antica, è in una posizione strategica. Quando gli americani abbandonarono il territorio italiano a breve distanza dall’entrata in vigore della Costituzione il 1 gennaio 1948, non pochi ebbero paura della vittoria alle politiche del partito comunista. Gli americani ci rassicurarono perché si sarebbero stabiliti in Tunisia e sarebbero ritornati sul nostro territorio se noi avessimo avuto qualche problema.
Il nostro è sempre stato un Paese anomalo, con una democrazia incompleta. Negli altri Paesi, ci dicevano: “ma voi pretendete di darci lezioni di democrazia, quando la Francia ha la democrazia dal ‘700, l’Inghilterra dal ‘600, gli Stati Uniti dal ‘700”. C’è stato un grande uomo che ha detto: “noi la democrazia l’abbiamo da secoli, voi l’avete avuta da pochi anni”. La democrazia è un regime che vale dopo che il popolo si è assuefatto come dire al dialogo costruttivo, etico tra le parti in competizione tra loro, e non con l’imposizione dopo anni di guerra come tra il 1940-45 per non dire della guerra civile allora avviata e purtroppo durata a lungo, troppo a lungo. La gente dopo la seconda guerra mondiale si preoccupava del pericolo comunista, lo si temeva presso di noi e anche i nostri alleati che non volevano che i comunisti arrivassero al governo della nostra Repubblica. Craxi si inventò il gabinetto ristretto, composto dal Presidente del Consiglio e dai ministri della Difesa, dell’Interno e degli Affari Esteri. I comunisti potevano entrare nel Governo ma non nel gabinetto ristretto. I ministeri dove c’erano i segreti, e mi riferisco ai segreti militari, che hanno tutti i Paesi, al tempo si diceva che non potevano cadere nelle mani dei comunisti perché i comunisti erano alleati con Mosca. Così come Mosca certamente non avrebbe mai consentito che nel governo dell’Ungheria o della Polonia o di altri Paesi dell’est fosse entrato un democristiano o un liberale.
Pensa che in questo momento le potenze straniere si stanno fronteggiando sul suolo italiano?
Non credo. In questo momento le potenze straniere si stanno preparando, per quando ci sarà l’attacco alla Siria, a un forte scontro. Attacco che però diviene sempre più difficile per la presenza della flotta russa nel Mediterraneo e per la pluridecennale protezione accordata dall’URSS prima e dalla Russia poi alla Siria.
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