(di Clara Salpietro, Bolzano) – “Per gli alpini la montagna è una palestra di vita ed è bene che continuino a frequentarla con intensità”. Il generale di corpo d’armata Alberto Primicerj (foto a sinistra), comandante delle Truppe Alpine, storica Unità dell’Esercito italiano, sa quanto è importante la montagna per un alpino e per la preparazione del soldato in genere.
Incontriamo il generale Primicerj a Bolzano presso la sede del comando delle Truppe Alpine.
Dopo una calorosa stretta di mano, cerchiamo di capire con lui cosa vuol dire essere “alpino”, ci soffermiamo sull’impiego in Afghanistan della brigata Taurinense, sugli alpini caduti o feriti nell’espletamento del loro dovere, sui tagli previsti dalla spending review per la Difesa, sul futuro delle Truppe Alpine e sulla loro attività sia in Italia che all’estero. “Gli alpini – afferma – ovunque sono stati hanno fatto un bel lavoro. Siamo sempre presenti a fianco della popolazione perchè fa parte del nostro DNA”.
Nato a Pontebba, in provincia di Udine, il generale Primicerj dopo la frequenza del 154° Corso dell’Accademia Militare di Modena e della Scuola di Applicazione d’Arma di Torino, ha svolto l’attività di comando nei gradi di tenente e capitano presso il battaglione Alpini “Tolmezzo”, nelle sedi di Forni Avoltri (UD), Venzone (UD) e nella compagnia controcarri “Julia” a Cavazzo Carnico (UD).
Dopo aver frequentato la Scuola di Guerra dell’Esercito di Civitavecchia – 111° Corso di Stato Maggiore nel 1986-87 e 111° Corso Superiore di Stato Maggiore nel 1989-90 – il 33° Corso Superiore di Stato Maggiore dell’Esercito Tedesco ad Amburgo (Germania) dal 1990 al 1992, ha comandato dal 1992 il Battaglione Alpini “Trento” a Brunico (BZ).
Dal 1993 al 1996 ha ricoperto la carica di Capo Sezione presso l’Ufficio del Capo di Stato Maggiore della Difesa a Roma e, successivamente, sino al 1997 ha comandato il 6° Reggimento Alpini con sede in San Candido. Dal 1997 al 1999 ha ricoperto l’incarico di Capo Ufficio del Sottocapo di Stato Maggiore della Difesa a Roma. Nel 1999, è stato nominato Addetto per l’Esercito presso l’Ambasciata d’Italia in Germania nella sede di Bonn, con accreditamenti secondari in Olanda e Danimarca.
Dal 29 novembre 2002 al 23 settembre 2005 ha ricoperto l’incarico di Comandante della Brigata Alpina “Julia”. Dal 12 novembre 2003 al 18 maggio 2004 ha partecipato alla missione NATO “KFOR – Joint Guardian” in qualità di Comandante della Brigata Multinazionale South-west in Kosovo. Dal 30 settembre 2005 ha assunto l’incarico di Comandante della Divisione Alpina “Tridentina”. Dal 1° novembre 2006 ha assunto anche l’incarico di Vice Comandante delle Truppe Alpine. Dal 26 novembre 2007 nell’ambito dell’ Operazione ISAF assume l’incarico di “Deputy Chief of staff Stability” con sede a Kabul (Afghanistan). Rientra dall’Afghanistan il 21 dicembre 2008 ed riassume l’incarico di Vice Comandante delle Truppe Alpine ed Comandante della Divisione Alpina “Tridentina”. In data 27 febbraio 2009 assume l’incarico di Comandante delle Truppe Alpine. Laureato in Scienze Strategiche, conosce l’inglese ed il tedesco. Inoltre è in possesso del patentino di bilinguismo 2^ lingua – Diploma di laurea A.
Generale Primicerj mi può spiegare chi sono gli Alpini e cosa significa far parte degli Alpini?
Gli Alpini sono qualcosa di particolare, sono un Corpo unico nella storia delle Forze Armate italiane, è un corpo che credo abbia una sua caratteristica e una sua individualità che probabilmente è difficile trovare da altre parti, oltre allo spirito di corpo e alla loro storia, c’è un legame particolarmente stretto fra l’organizzazione militare e la vita civile. Prendo come esempio l’ultima adunata nazionale degli Alpini che si è tenuta pochi mesi fa a Bolzano e credo sia difficile trovare nel mondo una realtà, una famiglia come quella degli Alpini in armi e degli Alpini non più in servizio che riesce a riunire e raccogliere 400/500 mila tra iscritti, appartenenti, simpatizzanti, familiari e a produrre uno sforzo positivo come quello visto qui. Mi sono chiesto tante volte come riescono a fare una cosa del genere e francamente non so darmi una risposta. Quando si vuole dare una risposta a una cosa del genere si vanno a cercare i sentimenti, il cuore, le emozioni. È l’espressione di un Corpo che secondo me è unico sia nel legame tra militare e parte civile di chi ha prestato servizio, quindi quella parte della nazione italiana che ha avuto il piacere e l’onore di fare l’alpino, sia per i valori, lo spirito anche l’impegno sociale che l’alpino in servizio e in congedo dimostra di vivere ed interpretare nella nostra società: questo è il corpo degli alpini ed è una cosa unica, senza pensare adesso alla storia, alle tradizioni o a leggende. Io credo che è il legame fra militare e parte sociale/civile che fa diventare questo Corpo una cosa particolare.
Lei ha comandato la Brigata alpina Julia dal 2002 al settembre 2005, che ricordo ha di quel periodo? Cosa è cambiato per Lei nel passaggio dalla Julia alle Truppe Alpine?
Io ho comandato la Julia per quasi tre anni e di quel periodo mi ricordo il grande orgoglio di comandare una brigata così, in quanto essendo nato in Friuli e la Julia essendo la brigata dei friulani, per uno che ne diventa il comandante dopo aver fatto anche altri anni di servizio in quella brigata è una grande soddisfazione. Della Julia ricordo i primi passi mossi in ambiente multinazionale e posso dire che ricordo anche il primo impegno del Comando brigata in operazioni al di fuori del territorio nazionale, credo fosse in Kosovo 2003/2004. Questa dimensione multinazionale caratterizza la brigata alpina Julia, avendo al suo interno anche militari e unità dell’esercito ungherese e sloveno, rispetto al resto delle Unità dell’esercito italiano. Bisogna tenere conto che la Julia è una brigata con una forte tradizione, è veramente l’espressione di quello che è il corpo degli Alpini, con la storia, le tradizioni, il contatto con il mondo sociale e civile. Su questa forte tradizione inserire questa proiezione verso il futuro con l’apertura multinazionale, con un modo di lavorare più europeo, è stata una bella sfida. Adesso stiamo cercando di dare la stessa connotazione multinazionale della Julia anche alla brigata alpina Taurinense, che coopererà con gli alpini francesi e molto probabilmente in breve tempo diventerà un comando multinazionale, come già la Julia lo è da più di un decennio. Quello che mi ricordo quindi come comandante della Julia è la tradizione però con proiezioni nel futuro, tutto con orgoglio e gioia.
Cosa vuol dire comandare le Truppe Alpine?
Nel passaggio alle Truppe alpine non c’è stato subito il comando ma sono stato vice comandante e comandante della Divisione Tridentina, poi tutto il 2008 sono stato in Afghanistan e poi tornando in Italia ho assunto il comando delle Truppe Alpine. Chiaramente il comando è una dimensione diversa, alla fine si diventa responsabile di tutto quello che sono le Truppe alpine, quindi non solo della Julia, ma di tutto quello che è rimasto in piedi di questo meraviglioso mondo alpino dopo le varie ristrutturazioni e quindi aumentano le soddisfazioni e anche le responsabilità e le (pre)occupazioni. Anche se sono più le occupazioni che non le preoccupazioni, essendo gli alpini un corpo unico nell’universo militare e quindi vanno da soli e il comandante si occupa di loro più che preoccuparsi di loro. Comunque è un impegno grande, perchè quando uno diventa comandante delle Truppe Alpine si sente il detentore di quelli che sono i valori di alpinità, di frequentazione della montagna, di tradizioni morali che sono proprie delle truppe alpine e che si portano sulle spalle come si porta lo zaino. In questo caso è uno zaino leggero perchè è una macchina già ben rodata.
Le Truppe Alpine sono impegnate in molte attività sul territorio nazionale. Cosa può dirmi su queste attività?
È una vecchia tradizione che le Truppe alpine siano impegnate in molte attività sul territorio nazionale. Come mia esperienza personale, mi ricordo il 1976 l’anno del terremoto in Friuli in cui per la prima volta furono buttate le basi di quella che in futuro sarebbe diventata la protezione civile del nostro Paese. Quella volta la protezione civile erano i militari e in particolare le Truppe alpine che erano state colpite da quel cataclisma. Ho fatto questo esempio perchè l’ho vissuto personalmente, allora ero tenente appena arrivato ai reparti alpini, però se andiamo indietro negli anni, certamente, ci sono tanti altri esempi di impegno del corpo degli alpini sul territorio nazionale. Adesso continuiamo ad essere presenti a fianco della popolazione perchè fa parte del nostro DNA. Penso all’operazione “Strade sicure” che in questo momento si svolge in molte città italiane e anche su siti sensibili come quello della Valle di Susa, dove avvicendandosi con altri reparti anche gli alpini hanno il loro impiego che è importante, un impiego di contenuto perchè fa capire alla gente quanto i militari italiani in genere, quando sono impiegati, siano vicini alla gente e siano vicini a questa esigenza di sicurezza che ha la gente nelle nostre città e sul nostro territorio. Gli alpini anche quest’anno sono stati impegnati nell’emergenza neve, è un’operazione nella quale abbiamo messo i nostri mezzi e i nostri uomini e abbiamo aiutato la popolazione. Poche settimane fa siamo stati impegnati in Alto Adige in una emergenza frane che ha colpito alcune valli vicino al confine con l’Austria, nella zona di Vipiteno, dove gli alpini sono intervenuti con il badile e il piccone per aiutare la gente a liberare le loro case. Questo fa vedere quanto ancora l’alpino sia richiesto, sia utile, sia importante nelle operazioni sul territorio nazionale.
Dal contesto nazionale passiamo a quello internazionale. Quanto è stata ed è importante la presenza degli Alpini nelle missioni internazionali?
La figura dell’alpino, come quella di altri soldati italiani, è oggi legata nell’immaginario collettivo al suo impiego anche al di fuori dei confini nazionali. In questo momento siamo impiegati in Afghanistan con la brigata Taurinense e in tutti questi anni da quando l’esercito italiano ha cominciato a partecipare attivamente a queste missioni, gli alpini sono sempre stati, ad intervalli, impegnati fuori dai confini nazionali. Ricordo l’impiego della brigata Julia in Mozambico, nella quale avevamo ancora i ragazzi di leva e gli alpini già allora si sono fatti onore sul suolo africano. Hanno capito molto bene, perchè ce l’hanno nel sangue, nel Dna, qual è la funzione di andare in luoghi a rischio, in cui qualche volta ci sono anche situazioni belliche, a cercare di sviluppare un’azione di peacekeeping, di ricostruzione e di ricomposizione di fratture locali e non è un compito facile. L’italiano in genere ce l’ha nel sangue questo modo di uscire dal territorio nazionale e di andare ad operare in mezzo a popolazioni di altre nazioni con quello spirito di ricomposizione, forse fa parte della nostra educazione, del nostro modo di diventare grandi, ma comunque lo abbiamo. E’ difficile quando vai in un ambiente rischioso e pericoloso, ma il soldato italiano lo sa fare bene. Dopo il Mozambico, gli alpini sono passati nei Balcani per poi essere impiegati massicciamente in Afghanistan, abbiamo avuto anche presenze in Libano e in Iraq anche se nuclei non molto grandi e nuclei non a livello brigata. Gli alpini ovunque sono stati hanno fatto un buon lavoro.
Gli Alpini hanno avuto delle perdite nelle missioni fuori area. Qual è il modo migliore per ricordare i nostri caduti?
Abbiamo avuto tante perdite proprio per questa generosità del soldato italiano e dell’alpino, questo modo di non trincerarsi dietro le mura di una base o di una fortificazione ma di uscire per entrare a contatto con la popolazione. Come le altre forze armate italiane abbiamo avuto parecchi caduti e il modo migliore per ricordarli è anche quello di tenere vicino a noi le loro famiglie, cosa che stiamo facendo sia con i caduti recenti che con quelli degli anni passati. Gli alpini hanno avuto caduti anche sul territorio nazionale quando negli anni ’60 in Alto Adige si è cercato di far mantenere alto il livello di sicurezza e la legalità, ecco ancora con le famiglie di queste persone abbiamo un contatto privilegiato, cerchiamo di tenerle vicine. Siamo avvantaggiati dal fatto che gli alpini hanno uno spirito di corpo innato e c’è questo senso dell’appartenenza, della familiarità che trascende la persona stessa o il fatto se è vivo o se è caduto e si allarga anche al suo ambiente familiare, questo è un bel modo. Anche con i feriti facciamo la stessa cosa, un esempio emblematico, ma non è l’unico, è il caporal maggiore Luca Barisonzi, con il quale siamo vicini, ma siamo vicini pure a tanti altri. Cerchiamo di tenerli dentro la nostra famiglia e fargli capire questa nostra ansia di tenerli sempre vivi nei nostri ricordi e nei nostri cuori. Un altro modo per ricordarli è di tenere viva la loro memoria nell’opinione pubblica e far capire quanto forte e importante sia stato il sacrificio di questi ragazzi. Ad esempio ad Occhiobello, in provincia di Rovigo, alla presenza del sottosegretario alla Difesa Gianluigi Magri, è stato inaugurato un monumento in ricordo del capitano Ranzani e del maresciallo Gigli che sono due degli ultimi alpini caduti in Afghanistan. Quindi l’intitolazione di strade e di vie, il fatto di scoprire questi monumenti e l’intitolazione di palazzine all’interno delle nostre strutture, è un modo per tenere vivo questo incommensurabile patrimonio morale che noi dobbiamo assolutamente tenere vivo.
La Brigata alpina Taurinense, di stanza a Torino, il 14 settembre ha assunto la responsabilità della Regione Ovest dell’Afghanistan (che comprende le provincie di Herat, Badghis, Farah e Ghor), nell’ambito della missione internazionale ISAF. La Taurinense si trova a dover svolgere la propria attività in un momento molto delicato, essendo in corso il “processo di transizione” ed inoltre in alcune aree l’insorgenza e la criminalità è ancora fonte di grande instabilità. Qual è il suo pensiero?
La Taurinense ha avvicendato la brigata Garibaldi e precede la brigata Julia che la sostituirà nella prossima primavera. La situazione nell’area di responsabilità della Taurinense è una situazione in continua evoluzione come è stato quel Paese negli ultimi anni ed è una situazione che mantiene, anzi in qualche misura ha accresciuto, le evenienze di rischio per i nostri ragazzi e le nostre ragazze. Stiamo arrivando ad una fase molto sensibile, in cui effettivamente la responsabilità della sicurezza sta passando o stiamo cercando di fare passare dalle mani delle forze di Isaf a quelle delle forze locali (polizia e afghan national army) e quindi questi momenti di transizione sono per definizione dei momenti molto delicati e molto rischiosi. La Taurinense è molto ben preparata, ha una grossa esperienza di Afghanistan, è stata impegnata con il comando brigata e con dei reggimenti fin dall’inizio della missione Enduring Freedom, quindi ha una grossa conoscenza del luogo, dei rischi, della popolazione, delle difficoltà in mezzo alle quali oggi si trova ad operare. Quello che quei ragazzi e ragazze hanno ben chiaro in mente è che non devono dimenticare che la funzione di autosicurezza e di sicurezza della popolazione è fondamentale, e senza dimenticare questo devono cominciare a lasciare la responsabilità nelle mani degli afghani, questo vuol dire addestrare o finire l’addestramento degli afghani in maniera tale che gli afghani sappiano camminare da soli. Nell’eventualità in cui le forze afghane non siano ancora perfettamente pronte, i nostri ragazzi devono essere in grado di supplire a questa non perfetta capacità di garantire la sicurezza da parte degli afghani. Questo è l’ambiente nel quale la Taurinense si trova ad operare e io credo che stia aiutando veramente questo popolo a camminare da solo verso il progresso.
Si è conclusa l’edizione 2012 di “Vivi le Forze Armate. Militare per tre settimane”. Come valuta questa esperienza che ogni anno coinvolge tantissimi giovani intenzionati ad avvicinarsi alla vita militare?
Siamo stati i primi a fare questo esperimento nel 2009, quando si chiamava ‘Pianeta Difesa’. Siamo rimasti favorevolmente impressionati, oltre le nostre aspettative iniziali, di quello che è stato il ritorno in termini di entusiasmo, di riconoscenza, di attenzione, di voglia di continuare a frequentarci da parte di questi ragazzi e ragazze e devo dire che la partecipazione femminile a questa iniziativa, per quanto riguarda gli alpini, è stata molto alta. Secondo me viviamo un momento finanziario complesso e difficile, tutto il Paese lo vive, e capiamo perfettamente che forse le risorse in futuro non permetteranno di ripetere nei termini e nelle dimensioni attuali questo esperimento. Noi però siamo favorevoli ad una possibile continuazione. Io so che il momento è difficile e le finanze vanno impiegate in altri settori carenti di risorse, però il ritorno che si ha in questi ragazzi è positivo e non solo dal punto di vista del conoscere, apprezzare ed amare il mondo militare e chi indossa l’uniforme: io ho notato un grosso miglioramento anche nella coscienza civica di questi ragazzi. Da quando il servizio di leva è stato sospeso, lascia un po’ a desiderare la preparazione della coscienza civica dello studente o del ragazzo italiano, invece vedo che questa esperienza li fa diventare molto più “cittadini” adulti di questo Paese.
Il bilancio della Difesa risente delle ristrettezze imposte dalla crisi economica. Con i tagli previsti dalla spending review cosa cambia per le Truppe alpine in termini di personale, dotazioni e stanziamenti?
Poichè le Truppe Alpine sono globalmente parte dell’organizzazione operativa della Forza Armata Esercito non dovrebbe cambiare molto o dovrebbe cambiare poco. Come è stato detto dal Ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, e ribadito dai vertici dello Stato Maggiore della Difesa e della nostra Forza Armata, la parte operativa della nostra organizzazione dovrebbe essere sostanzialmente preservata da quelle che sono le necessità di ridimensionamento. Per cui grossi sacrifici e grossi tagli al nostro interno per il momento non li vedo e non li stiamo facendo, chiaramente avremo anche noi dei tagli negli organici, nel senso che determinati settori degli organici, e mi riferisco alla parte dirigenziale, probabilmente dovranno fare dei sacrifici, i quali sono chiesti a tutta l’organizzazione in genere. La struttura delle Truppe Alpine dovrebbe restare quella che è, quindi con le due brigate Julia e Taurinense, con il Centro Addestramento Alpino di Aosta, che è la nostra scuola di formazione, e con il 6° alpini nella Valle Pusteria. Inoltre il comando delle Truppe Alpine con altra denominazione o con la stessa denominazione è previsto che resti nella sede di Bolzano, quindi non dovrebbero esserci stravolgimenti. Riguardo le dotazioni o le possibilità di rimodernare il nostro parco automezzi, materiali e veicoli, devo dire che l’alpino per tradizione non spende molto, fa parte della fanteria leggera, l’alpino va ancora a piedi, è molto attento all’addestramento fisico del singolo, del reparto, dell’unità, quindi non ha grosse esigenze di spesa rispetto ad altre tipologie di reparti. Certamente se viene impiegato al di fuori dei confini nazionali o in operazioni di una certa valenza e rischio, ha bisogno di tutto ciò di cui hanno bisogno anche le unità corazzate o meccanizzate per essere messo nelle migliori condizioni di sicurezza e quindi tutto quello che riguarda la protezione del singolo o del reparto. Comunque da quanto vedo non abbiamo insormontabili problemi, in quanto fino a quando continuiamo ad operare in missioni fuori del territorio nazionale la sicurezza che in questo momento stiamo dando ai nostri ragazzi e ragazze, per quanto perfettibile, è già di un certo livello. Non sono pessimista o negativo su quello che aspetta le Truppe Alpine nonostante questo difficile momento, chiaramente dovremmo riadeguare l’addestramento perchè i fondi per l’addestramento sul territorio nazionale saranno un po’ decurtati o saranno ridimensionati, pertanto dovremmo lavorare di fantasia per vedere come mantenere, e le possibilità ci sono, il livello attuale di efficacia ed efficienza delle nostre Unità una volta rientrate dagli impieghi internazionali.
Cosa c’è nel futuro delle Truppe Alpine?
Continua la nostra disponibilità. Essendo unità di fanteria leggera ed addestrata ad operare in montagna, c’è questa esigenza anche per impieghi in determinate aree al di fuori del territorio nazionale. Noi siamo sempre disponibili, preparati e sempre in grado di rappresentare il nostro Paese al di fuori dei nostri confini in modo più che accettabile. Oltre a questo, a me preme molto che si torni in modo spiccato alla frequentazione della montagna. Per noi la montagna è una palestra di vita, perchè forma oltre che il carattere e lo spirito, anche quel senso di appartenenza e quello spirito di corpo che poi diventa un fattore moltiplicatore dell’efficienza delle unità alpine. La montagna è una base di addestramento unica, tanto che altri reparti non alpini dell’esercito italiano prima di affrontare impegni rischiosi all’estero vengono ad addestrarsi per un periodo in montagna e questo fa capire quanto la montagna sia utile alla preparazione del soldato. Noi in montagna abbiamo il grande vantaggio di viverci e di esserci, quindi è giusto che in futuro intensifichiamo questo grosso privilegio che abbiamo e la frequentiamo sempre più sia in ambiente estivo che in ambiente invernale. Penso che gli alpini ne hanno la possibilità e le capacità. Gli alpini hanno un Centro Addestramento Alpino come quello di Aosta e un 6° reggimento alpini in Valle Pusteria, che hanno possibilità e capacità di addestrare anche gli altri ad operare in montagna. Il nostro Centro Addestramento Alpino al suo interno ha il Gruppo Sportivo Esercito Sezione Sport Invernali, che alle Olimpiadi ci regala le medaglie. Il Gruppo Sportivo quest’anno, nell’ambito delle società italiane che gareggiano a livello internazionale, si è classificato secondo dietro le Fiamme Gialle, su 1040 società fra militari e civili, questo fa capire la forza di questa nicchia di eccellenza del Centro Addestramento Alpino. Abbiamo il servizio Meteomont che informa, in collaborazione con altre organizzazioni nazionali, tutta la nostra opinione pubblica su quelli che sono i pericoli della frequentazione della montagna in inverno. Per noi la montagna è un punto di riferimento. Io penso che il futuro delle Truppe Alpine, oltre a continuare a fornire reparti per l’impiego anche al di fuori del territorio nazionale, sia quello di concentrarsi molto di più sul nostro ambiente d’origine che è la montagna.
C’è un messaggio che vorrebbe inviare agli Alpini?
Quando parlo di Alpini, parlo sia di quelli in armi che di quanti fanno parte dell’Associazione nazionale alpini. Il messaggio che voglio inviare, tenendo conto di quello che ho appena detto sul futuro delle Truppe Alpine, è di perseguire la continuità nel rispetto di quelle che sono le nostre tradizioni e i nostri valori, tenendo però sempre presente che questo mondo evolve nel futuro. Perseguire la continuità, tenendo presenti le tradizioni e guardando al futuro, vuol dire continuare a viaggiare con il passo dell’alpino, con lo scarpone dell’alpino, sapendo usare, qualche volta, anche gli strumenti che la tecnologia di oggi ci mette a disposizione. Penso che se riusciamo a percorrere questa strada di continuo ammodernamento tenendo ben presente quella che è la nostra storia e le nostre origini, io credo che gli alpini saranno sempre all’apice, saranno sempre al vertice in termini di efficienza, sia a livello nazionale che internazionale.