(da Herat Clara Salpietro) – Don Gianmario Piga, cappellano militare del contingente italiano su brigata Sassari, ci racconta della figura di un sacerdote in mezzo ai soldati, delle iniziative organizzate a Camp Arena in vista del Natale e il rapporto tra i soldati italiani e la fede.
La Sassari, guidata dal generale di brigata Luciano Portolano, a fine settembre ha assunto in Afghanistan la responsabilità del Regional Command West dell’operazione Isaf (International Security Assistance Force), con il posto di comando a Herat. Il Regional Command West è un’ampia regione dell’Afghanistan occidentale (54 mila chilometri quadrati), che si estende sulle quattro province: Herat, Badghis, Ghowr e Farah.
“Sono arrivato a metà settembre – esordisce don Gianmario – quando c’è stato il cambio di comando dalla brigata Folgore alla brigata Sassari. Sono il cappellano del 151° reggimento della brigata Sassari di stanza a Cagliari. Il cappellano è un sacerdote che porta con sé dei valori che vengono condivisi dai militari italiani, non solo la fede ma anche valori di fratellanza, di pace, di libertà”.
“Sono molto felice, amo la mia gente e i miei soldati”, aggiunge il cappellano. “Essere a capo di una parrocchia è diverso, lì la gente si rivolge al sacerdote per i vari sacramenti, oppure quando in famiglia c’è un congiunto malato. Il cappellano è una persona che vive con i suoi uomini e i suoi soldati. Stare qui in Afghanistan è un’occasione favorevole perché si vive con loro 24 ore su 24, in queste missioni c’è l’opportunità di fare esperienze che non si fanno in Patria. Qui ho conosciuto uomini e donne che affrontano rischi, ma anche persone che portano con sé delle paure. Gente che con il cappellano vuole condividere la loro anima e i sentimenti. Ci sono padri che stanno lontani dagli affetti e quindi sentono il desiderio di parlare dei loro cari e dei figli. È un’esperienza favorevole e mi sento di ringraziare il buon Dio, perché sono opportunità molto belle”.
“In queste situazioni – prosegue – di rischio, di difficoltà mi accorgo come la persona si avvicina più a Dio, nel senso che è meno distratta da altre realtà che ci circondano, è più portata ad alzare gli occhi al cielo, è più portata a ringraziare il Signore. Anche io in queste situazioni ho composto preghiere che mai avrei pensato di comporre. Ad esempio dopo l’attentato al Prt, parlando con gli italiani coinvolti nell’episodio è nata la preghiera “Signore, quel boato”, in cui viene descritto il terrore e l’angoscia di certi momenti che diventano anche un’invocazione a Dio. Oppure l’altra preghiera “Signore è stato un attimo” scritta con i cinque feriti dopo che il Lince è passato sopra una mina, mi sono fatto descrivere i sentimenti che loro avevano ed è diventata una preghiera a Dio. O anche le preghiere “Signore sono in Afghanistan” e “Signore sono lontano dalla mia famiglia”. Io invece ho scritto “Signore sono in mimetica”. Sono esperienze favorevoli che aiutano a riflettere, a pensare, a custodire questa spiritualità nel cuore. Questo è sempre il mio intento. Mi accorgo che se si propongono dei valori le persone si lasciano coinvolgere”.
Ci parla dell’iniziativa organizzata a favore dei figli dei civili afghani che lavorano a Camp Arena?
Mio padre era carabiniere e quando veniva a casa per Natale ci portava un pacco dono. Ho pensato che i militari italiani trovandosi lontano dalle loro case, potevamo donare un pacco dono per le famiglie vicine: le famiglie dei local worker. A Camp Arena lavorano circa 270 civili. Mi sono organizzato con un commerciante di Herat e ho comprato dei giocattoli, materiale scolastico, cibo e vestiti, il tutto per i bambini afghani. Durante la Messa ho parlato di questa iniziativa e i militari hanno risposto entusiasti. Per motivi di sicurezza non abbiamo potuto invitare tutti i bambini, ma solo i figli di 28 local worker. Ho avuto testimonianze tenere da parte di militari italiani, ad esempio un papà mi ha detto di voler partecipare alla festa dei bambini perché erano tre mesi che non vedeva il figlio; oppure un altro militare ha fatto un cavallino di legno per suo figlio e poi ne ha costruiti altri tre per i figli degli operai afghani che lavorano qui. Queste esperienze e queste situazioni dimostrano la tenerezza e la sana solidarietà che hanno i nostri militari.
Quando si è in missione all’estero si rafforza l’attaccamento alla fede?
Sì, perché si è più concentrati. Io vedo militari che hanno il rosario o un’immagine sacra in tasca, c’è chi si fa il segno della croce, chi mi dice di fare la preghiera. Magari sono persone che non vengono sempre a Messa, però stando nel rischio hanno più occasioni per pensare a Dio, per chiedere la protezione di Dio, cosa che in un contesto pacifico e sereno non hai, perché sei distratto da altre cose.
Quando un militare perde la vita come si fa a risollevare gli animi delle famiglie?
Grazie a Dio nelle missioni che ho fatto all’estero non si sono mai verificati episodi in cui i militari hanno perso la vita. In Patria mi è successo di accompagnare delle persone ammalate o giovani vite spezzate dopo una breve o lunga malattia. Però mi ricordo che tre anni fa proprio in Afghanistan si verificò un incidente stradale, in cui perse la vita un nostro militare e una mamma che piange un figlio è difficile da consolare, cerchi di entrare nel suo dolore, che è una sofferenza innaturale. In questi casi quello che si può fare è mostrare tutta la propria vicinanza, anche in Italia cerco sempre di seguire le famiglie dei nostri caduti. A me, comunque, piace pensare che questa terra appartiene un po’ anche agli italiani perché ci sono 45 nostri amici che hanno vissuto il loro ultimo respiro proprio qui, per questo dico che questa territorio ci appartiene in quanto ha ancora le tracce del loro martirio. Ai nostri militari dico che onorare i caduti, significa onorare quello per cui hanno dato la vita. Anche qua torniamo al senso della Patria, rendere onore ai nostri ragazzi consiste nel far bene quello che la Patria ci dice di fare. Vogliamo essere persone di pace e vivere in un mondo dove si costruisce e ci si aiuta a realizzare nella libertà la pace dei popoli. Non so se vedremo i frutti di quello che stiamo facendo qui in Afghanistan, ma sicuramente noi abbiamo voluto dare il nostro contributo poi spero che la situazione qui possa cambiare.
Come vi state preparando per Natale?
Intanto abbiamo già fatto un concerto di Natale internazionale con la partecipazione di militari provenienti da diverse nazioni, abbiamo cantato in cinque lingue: latino, spagnolo, italiano, inglese e in lingua sarda. La sera del 24 dicembre ci sarà la Messa, mentre il giorno di Natale andrò a trovare i militari dislocati nella Regione Ovest dell’Afghanistan.
C’è un messaggio che invierà ai militari italiani in missione in Afghanistan?
Dirò che come Gesù è nato a Betlemme, lontano dalla sua Nazaret, anche noi siamo lontani dalla nostra famiglia e dai nostri affetti, però ci vogliamo sentire uniti in Dio con le nostre famiglie. Vogliamo quindi dare ai nostri figli una speranza, una pace e un mondo migliore.
Cosa vorrebbe dire alle famiglie dei militari italiani?
Innanzitutto un grande abbraccio di vicinanza e solidarietà, anche perché conosco i loro congiunti che sono generosissimi e sensibili. Alle famiglie dico: sappiate dare coraggio, perché quando un militare ha dall’altra parte una famiglia, una moglie, un’amata che risponde con coraggio, il militare qui è molto più sereno e tranquillo. A loro auguro di essere persone forti e che lo sappiano trasmettere, perché il disagio qui c’è. Con tutto il cuore oltre agli auguri di Natale, auguro che la famiglia si possa formare anche tramite questi momenti difficili che si attraversano. Ringrazio anche tutti i bambini che ci hanno inviato delle lettere, in tutto ho ricevuto 2500 lettere, che devo distribuire nelle varie basi. È la prima volta che ricevo lettere da parte di bambini e ragazzi, che dimostrano l’affetto e la vicinanza dei giovani e della nostra gente al mondo militare.
Carabinieri ed Esercito addestrano le Forze di sicurezza afgane
agosto 26, 2015