(di Clara Salpietro) – ““Che il cuore si purifichi da qualunque odio nei confronti delle creature, da qualunque avidità nei confronti del mondo, da qualunque turbamento dei sensi[..] ecco la scienza del mujahidat, qualità del mujahid – guerriero santo”. Scriveva così in persiano al Ghazali (uno dei teologi sufi preferiti da Massud) nell’XI secolo, (altro che farneticazioni talebane o wahabbite sul termine mujahid!). Perché pensare ai sufi? Perché è necessario capire un paese, una nazione prima di svolgerci operazioni militari, anche se l’Afghanistan non è fatto di solo cultura persiana (o tagika o dari, che è lo stesso) ed è il paese delle mille contraddizioni”.
Esordisce così il colonnello Livio Ciancarella, comandante del 5° reggimento Rigel con sede a Casarsa della Delizia, in provincia di Pordenone, nel descrivere lo scenario in cui si inquadra l’attività operativa della Task Force Fenice e dei suoi uomini definiti dallo stesso “guerrieri santi”.
Il 5° Rigel da fine settembre è a Herat, sede del Regional Command West dell’operazione Isaf (International Security Assistance Force).
“La Task Force Fenice (nome ufficiale e tradizionale) o Aviation Battalion (nome anglofono) – dichiara il colonnello Ciancarella – è composta da Baschi Azzurri, e non, provenienti da 14 reparti diversi. La prima sfida è stata quella di amalgamare questo personale, non è stato facile e ci siamo riusciti solo in Teatro perché solo qui ci siamo trovati tutti insieme. Da comandante posso godere del tempo necessario per adunarli e indottrinarli, perché qui non c’è l’orario della fine lavori o le assenze per licenze (se non in minima parte)”.
“I primi giorni – prosegue – sono stati impegnativi per la serie di nozioni che dovevamo necessariamente e preferibilmente diramare: Regole d’Ingaggio, norme sul diritto sulle operazioni militari, uso della forza minima, escalation of force, reati penali e doganali, vita nella base, norme sulle uniformi, cura della persona, igiene. Un vero tour de force che si ripete ad ogni nuova immissione. Sguardi esperti, sguardi indagatori, sguardi impauriti, ostili o speranzosi, sapendo guardare negli occhi i tuoi uomini e donne leggi molte cose”.
La lezione preferita dal colonnello Ciancarella è stata: “siete cristiani, comportatevi come tali visto che qui vi guarderanno e vi giudicheranno per il vostro comportamento. Non vi ubriacate, non bestemmiate, dimostrate pazienza e fermezza. Dimostrate che anche i cristiani hanno dei valori”. “La preparazione così raggiunta – evidenzia –, tra l’addestramento in patria e quanto fatto qui, mi fa essere ben sicuro delle capacità dei miei dipendenti”.
“Il comandante di Fenice – aggiunge – ha una fortuna: il personale ama il proprio lavoro e sono tutti inclini al lavoro per il gusto dello stesso e per vederne i risultati. Non è frutto di folgorazione divina o di guida carismatica. Si tratta di un lento processo di evoluzione dell’Aves e, potrei arrischiarmi a dire, di tutta la Forza Armata. Ecco perché non sono d’accordo con chi dice che le Forze Armate sono uno specchio della società. Non è vero, sono il meglio che la società italiana sa esprimere oggi. Ammirazione negli alleati, riconoscimento per i risultati conseguiti, capacità di arrabattarsi senza pezzi, risorse e fondi, svegliati nel cuore della notte senza neppure una imprecazione, sono sintomi di un corpo sano e determinato”.
“Vi chiederete – dichiara il comandante del 5° Rigel – quanti colpi di cannone e mitragliatrice, quanti missili abbiamo sparato finora per conseguire questi risultati: qui è il bello, nessuno! Ma non è meglio così? Ma allora va tutto bene? Beh no, non siamo bugiardi. Primo problema: la lontananza da casa. Il turno di sei mesi, ma anche da tre, pesa, è innegabile. È un sacrificio che, nonostante i temperamenti (internet, telefono etc) cade maggiormente sulle famiglie che rimangono a casa. Abbiamo provato ad aggregare le famiglie, a scrivere una guida per loro, la deplo-guide, il cui scopo primario è psicologico e non pratico, per far sentire che a qualcuno importa (someone cares)”.
Il comandante della Task Force Fenice spiega: “Il nostro compito qui è quello di garantire il supporto degli elicotteri italiani ad Regional Command West. Ormai sono sei anni, quindi di esperienza ne abbiamo. Trasporti di personale e materiale dalle basi principali a quelle avanzate (COP), scorta a formazioni di elicotteri e supporto di fuoco se necessario, ricognizioni, collegamenti, interventi di Quick Reaction Force (QRF) una riserva mobile capace di intervenire entro un’ora di giorno e due di notte. Come quando sono intervenuti per salvare un elicottero Usa che aveva fatto un atterraggio precauzionale sulle montagne a nord, si può leggere la mia testimonianza, dal titolo “In azione a notte fonda”, su Panorama/Lettere dal fronte”.
“La mattina del 3 novembre – racconta – è stata sicuramente diversa dalle altre. L’esplosione del suicida che si era fatto saltare all’ingresso del compound della Es-Ko (la ditta che fornisce gran parte della logistica), si è sentita benissimo e non solo perché stavamo a meno di un chilometro di distanza, ma perché significava entrare in azione. Ed è quello che abbiamo fatto. Chiamiamo subito in sala operativa i piloti di pronto intervento, la pattuglia “Snappy” è comandata da Stefano, un veterano che sa cosa fare. Controlliamo le coordinate, guardiamo le nostre carte abbiamo una scansione fotografica recente. La situazione è confusa, ma piano piano si capisce che ci sono terroristi che stanno facendo la caccia all’uomo al dipendente della Es-Ko. Un’invasore infedele, in realtà poveri operai di una decina di nazioni diverse. Ci viene chiesto di neutralizzare i terroristi. Attimi…attimi in cui si agisce in automatico sulla base dell’esperienza, anni di preparazione e studio, centinaia di regole e disposizioni condensate in un attimo”.
“I greci – aggiunge il colonnello Ciancarella – avevano due termini per indicare il tempo: kronos era il lento fluire del tempo, come lo concepiamo noi, kairos era un evento, un momento congelato, un’icona che descrive gli spartani alle Termopili o la battaglia di Salamina. Raramente si è di fronte ad un kairos e bisogna riconoscerlo perché è di essi che si compone la storia. Mandiamo in volo anche i 205 con i tiratori scelti, l’azione prosegue, c’è un assalto con le forze di sicurezza afghane e i terroristi vengono eliminati. Bilancio: 4 terroristi morti e 2 povere guardie di sicurezza afghane morte nell’esplosione del suicida, 36 operai salvati. Poteva andare molto ma molto peggio. Il nostro generale (il generale Portolano n.d.r.) ha agito d’iniziativa e non ha perso tempo, avesse aspettato non avremmo avuto un risultato così. La sera un blog pakistano pubblica la notizia della morte eroica dei combattenti santi che hanno ucciso 50 infedeli e 20 soldati invasori! Bugie clamorose che mette in giro il nemico, ma la sconfitta brucia e stavolta gli è andata proprio male. A Herat comunque sanno la verità. Sanno perché ci sono tre emittenti indipendenti, perché c’è una informazione pluralista, un lavoro professionale e un ambiente costruttivo. Ma è la stessa Herat dove i talebani impiccavano gli oppositori ai lampioni? Si, è la stessa, e ci inorgoglisce il risultato raggiunto, come italiani, come militari, come forze di pace”.
Ma ecco cosa ci dice il comandante del 5° Rigel sulla presenza in teatro operativo della bandiera di guerra.
“Siamo riusciti, per la prima volta nella storia, è un piccolo kairos anche questo – commenta – a portare il nostro stendardo da combattimento in Afghanistan. Lo stendardo (o bandiera) è il simbolo dell’unità, la rappresentazione dei valori in cui crede e si rappresenta il personale effettivo, il simbolo dell’unità nazionale. Quando ho chiesto di realizzare una teca protettiva alla meno peggio per il vessillo, chi si è entusiasticamente buttato nell’impresa non è stato il personale del mio reggimento, ma tre meccanici del 1°Antares (quelli dei Ch47). Forse sapevano che il loro Stendardo avrebbe seguito il nostro, ma mi piace pensare che lo hanno fatto per un altro motivo. Non mi chiedete quale, dovreste averlo capito, a questo punto”.
“Un’ultima cosa – conclude il colonnello Ciancarella –, qualcuno dice che ci ritireremo, che le cose peggiorano, migliorano, si deve fare questo o quello in Afghanistan, che abbiamo sbagliato questo o quello. Sarà, ma anche se tutto fosse nero, c’è una cosa che abbiamo dato agli afghani ed è una cosa dalla germinazione perenne: la speranza. Questa è la miglior medaglia che posso dare ai miei uomini. “Khayr?” Chiedevano tra di loro i mujaheddin di Massud (c’è grazia di Dio? Ossia, non ci sono nemici?). “Khayr!””.