(di Clara Salpietro) – Il terrorismo, nelle sue molteplici manifestazioni, costituisce una minaccia globale, attuale e pressante. Tra le metodiche terroristiche sono presenti la propaganda e la disinformazione. A fornici un quadro chiaro su questi aspetti è il professor Vittorfranco Pisano, che abbiamo intervistato a margine della conferenza su “Terrorismo Internazionale: Scenari e Strumenti di Contrasto” tenutasi a Roma presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi Roma Tre.
Il prof. Pisano è colonnello (Ris.) della U.S. Army Military Police e specialista in materia di sicurezza internazionale e conflittualità non convenzionale, è stato consulente della Sottocommissione per la Sicurezza e il Terrorismo del Senato degli Stati Uniti e revisore dei corsi offerti dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti nell’ambito del Programma di Assistenza Anti-Terrorismo.
Prof. Pisano può spiegarci il rapporto che propaganda e disinformazione hanno con il terrorismo?
Per tracciare adeguatamente l’impiego della propaganda e della disinformazione da parte di aggregazioni che praticano il terrorismo è necessario preliminarmente inquadrare sia il fenomeno terroristico sia quello della disinformazione.
I due fenomeni rientrano fra le numerose manifestazioni della conflittualità non convenzionale poiché entrambi contravvengono alle norme giuridiche e ai canoni di convivenza civile che governano la condotta delle controversie.
Nel contesto contemporaneo e sotto l’aspetto empirico, il terrorismo è funzionalmente descrivibile come una forma di conflittualità non convenzionale caratterizzata da quattro elementi essenziali:
(1) la violenza criminale, che lo distingue dall’uso legittimo della forza;
(2) il movente politico, politico-religioso o politico-sociale, che lo distingue dalla delinquenza comune e dalla criminalità organizzata, i cui fini ultimi sono generalmente economici e comunque non politici;
(3) la clandestinità a livello di strutture e dinamiche, che lo distingue dalla violenza politica ordinaria per sua natura alla luce del sole;
(4) l’azione proveniente da attori non statali, con o senza l’appoggio di Stati sostenitori, che lo distingue da violazioni del diritto internazionale direttamente attribuibili a singoli Stati.
In assenza della totalità di questi quattro elementi, ci si trova consequenzialmente di fronte a fenomeni diversi dal terrorismo.
Il terrorismo è interno, quando coinvolge cittadini e territorio di un singolo Stato, oppure internazionale, quando coinvolge cittadini o territorio di due o più Stati.
Il terrorismo è ulteriormente qualificabile come uno stadio nello spettro potenzialmente progressivo della conflittualità non convenzionale oppure come uno strumento in ogni stadio precedente o successivo. Come stadio il terrorismo segue l’agitazione sovversiva, che gli è necessariamente propedeutica. Come strumento il terrorismo può manifestarsi sia nello stadio dell’agitazione sovversiva sia in quelli eventualmente successivi allo stadio del terrorismo, ovvero l’insorgenza, la guerra civile e la rivoluzione.
Come si può definire la disinformazione?
Similmente al terrorismo, la disinformazione è una delle manifestazioni più diffuse di conflittualità non convenzionale e, allo stesso tempo, uno strumento che spesso accompagna, in via complementare, altre manifestazioni di conflittualità non convenzionale.
La disinformazione rientra nell’ambito più vasto della propaganda, che abbraccia qualunque forma di comunicazione intesa ad influire sulle opinioni, atteggiamenti e comportamenti di un pubblico di riferimento per trarne un beneficio diretto o indiretto nel breve, medio o lungo termine.
La disinformazione è specificamente protesa a trarre in inganno e si esplica sostanzialmente in due modi. Il primo modo comporta la creazione e la disseminazione di notizie false o fuorvianti. Il secondo modo comporta la manipolazione di una o più notizie con omissioni o alterazioni. Contribuiscono alla disinformazione anche determinati comportamenti e strutture. La notizia falsa, fuorviante o manipolata può, a seconda delle circostanze o degli obiettivi specifici, essere diretta ad un destinatario circoscritto oppure ad un pubblico illimitato.
La propaganda e la disinformazione abitualmente accompagnano il terrorismo sia interno che internazionale.
A prescindere dalla specifica fattispecie (uccisione, sequestro di persona, lesioni o quant’altro), ogni singolo atto terroristico necessariamente esprime di per se un intento e di riflesso propaganda la causa dell’aggressore così influendo, psicologicamente o materialmente, quantomeno su una frazione della popolazione. L’atto terroristico è sempre una forma mirata di violenza criminale che non solo investe la vittima fisica o materiale designata, ma comporta l’aggressione psichica – vis animo illata – nei confronti della compagine sociale.
Qual è il fine ultimo del terrorismo?
Lo scopo del terrorismo – sia interno sia internazionale, sia quale stadio sia quale strumento nello spettro della conflittualità non convenzionale – non è quello di fare spettacolo, ma di perseguire un fine politico, politico-religioso o politico sociale.
In modo più subdolo rispetto alla propaganda nell’accezione generale del termine, le aggregazioni terroristiche ricorrono di volta in volta anche alla disinformazione avvalendosi di varie metodiche fra cui risaltano:
(1) l’emissione di comunicati contenenti disquisizioni dottrinarie e analisi socio-politiche basate su falsità e talvolta accompagnati da fotomontaggi;
(2) l’adozione di strutture binarie composte – da un lato – da elementi terroristici e – dall’altro lato – da elementi nell’apparenza dediti unicamente a sostenere pacificamente una determinata causa o addirittura a porre in essere benefiche opere assistenziali;
(3) le rivendicazioni emesse da aggregazioni plurime per lo stesso attentato e le assunzioni di paternità sotto denominazione diversa da quella dell’aggregazione effettivamente responsabile, in entrambi i casi per depistare le indagini oppure per generare il convincimento che il fenomeno terroristico di una determinata matrice coaguli numerose aggregazioni o si estenda al di là della propria portata effettiva;
(4) la negazione del reato, insito nell’attentato, capovolgendone la responsabilità e attribuendola al comportamento della vittima;
(5) il vanto ingannevole di fatti o atti – dannosi o cruenti – di altra natura, che potrebbero apparire di matrice terroristica, al fine d’ingigantire l’immagine dell’aggressore o la dimensione della minaccia;
(6) i falsi allarmi intesi a generare disordine e panico;
(7) gli attentati perpetrati sotto falsa denominazione per far ricadere la responsabilità su determinati avversari.
Nell’ambito della disinformazione c’è un aspetto fino ad oggi non conosciuto dall’opinione pubblica?
Grazie a documentazione desecretata di recente, maggiore preoccupazione destano gli emersi tentativi da parte di aggregazioni terroristiche d’infiltrare direttamente o per interposta persona i servizi d’intelligence con fini che includono la produzione di disinformazione all’interno dei servizi stessi per depistare indagini anti-terrorismo. Rientrano, altresì, nella casistica comunicazioni con falsi contenuti tra elementi terroristici intese ad essere intercettate dai servizi di sicurezza onde depistarli.
Quali strumenti è necessario utilizzare nella lotta al terrorismo?
La lotta al terrorismo non può limitarsi al contrasto nei confronti dei suoi fini, strutture organizzative, dinamiche operative e fonti di sostegno, ma deve includere la comprensione e neutralizzazione delle metodiche disinformative ovvero ingannevoli a cui il terrorismo ricorre.
Quindi nella lotta al terrorismo non basta contrastare i suoi fini, strutture organizzative ecc?
Non basta, bisogna anche agire per arginare l’impiego della disinformazione da parte di organizzazioni terroristiche, comprendendo e valutando una serie di condizioni e fattori che rendono fattibili o meno gli intenti dichiarati.