(di Clara Salpietro) – Le sanzioni richieste da Obama possono essere la risposta al problema siriano, o possono costituire l’inasprimento dell’attuale equilibrio politico facendo così pendere l’ago della bilancia verso una guerra di religione dai risvolti imprevedibili?
L’America accusa Damasco di essere a capo del nuovo sistema terroristico, gli eredi di Al Qaida, in possesso non solo delle armi di distruzioni di massa di Saddam ma anche di quelle di Gheddafi, di essere gli addestratori degli jihadisti e insorgenti in Iraq e di essere altresì l’arsenale del terrorismo islamico.
E indubbio che dopo il crollo dell’emirato talebano e del regime baathista iracheno, l’onda delle rivoluzioni arabe sta rendendo i giorni difficili ad Obama, un presidente tutt’altro che fautore dei “venti di guerra”.
La lista dei tiranni da deporre è lunga e potrebbe aprire una serie di fronti che potrebbero condizionare il gigante americano. Per ora sono caduti solo Ben Alì in Tunisia e Mubarak in Egitto, Gheddafi dovrebbe essere il prossimo, salvo che non accada qualcosa di diverso.
Intanto il Presidente siriano continua a rinnovare il sistema politico del Paese. Ha già aperto alle agenzie umanitarie l’accesso al territorio siriano e nel primo trimestre del 2012 nel Paese dovranno svolgersi le elezioni al Parlamento nazionale.
In Siria si ha davvero paura di una divisione territoriale e confessionale, di un “effetto Iraq o Libano”, di una guerra civile. Anche quella parte della società che non ama gli Assad si chiede se l’alternativa che le opposizioni propongono non sia peggiore rispetto all’attuale status quo.
“Vogliamo un sistema giudiziario meno corrotto, più libertà, uno stato di diritto, una migliore distribuzione delle ricchezze”, ci viene detto da alcuni siriani, “ma più di ogni altra cosa desideriamo la stabilità, temiamo lo scoppio di una guerra civile fra sunniti e la minoranza alawita (di cui fa parte la famiglia Assad n.d.r.). Temiamo il caos per la mancanza di un’opposizione compatta con una visione chiara del futuro”.
La famiglia Assad è al potere dal 1963 e nonostante i contraccolpi politici degli ultimi tempi, ha dalla sua parte l’esercito.
Anche la Turchia ha grandi interessi in Siria, con cui ha in sospeso numerose questioni “dormienti” e la cui riapertura minaccerebbe il futuro dei rapporti fra i due paesi (le acque dell’Eufrate, il distretto di Alessandretta, ecc.). Le truppe turche tornerebbero in Siria dopo un secolo.
Alla fine del 1998 Siria e Turchia avevano firmato l’Accordo di Adana, in base al quale la Siria rinunciò a sostenere il Partito del Lavoratori del Kurdistan (PKK) di Abdullah Ocalan facendolo rientrare invece tra le organizzazioni terroristiche, e rinunciò ad ogni rivendicazione ufficiale sul distretto di Alessandretta.
Certamente il riavvicinamento USA-Turchia in chiave anti-iraniana sta dando i suoi frutti. L’influenza turca in Siria a sostegno dei sunniti vuol far cadere l’amico alawita dei persiani. Sul piano militare e sempre in funzione anti-iraniana, la Turchia ospiterà i nuovi radar a banda X del sistema antimissilistico USA. In questo contesto al-Qaida, che è stata più timida negli altri Paesi, che hanno visto la primavera araba mettere in discussione il potere politico, ha affermato di voler sostenere le rivolte in Siria, ponendosi quale alternativa ai Fratelli Mussulmani.
C’è solo da sperare che il “risveglio sunnita” agevolato dagli americani in Iraq e in tutto il Medio Oriente mantenga toni moderati e non sperimenti accelerazioni estremiste.
Mentre Russia e Cina hanno espresso le loro opposizioni alle sanzioni che l’America vorrebbe imporre attraverso un voto del Consiglio di Sicurezza; Turchia, Israele e la Lega Araba, seppure a diverso titolo, sono seriamente impensieriti.
D’altra parte la rivolta delle masse in Siria può favorire il coagulo dell’Islam radicale su cui l’influenza di al-Qaida sarebbe determinante. Non a caso il successore di Bin Laden, Ayman al Zawahiri, che si dice sia il capo dell’organizzazione militante fondamentalista Jihad dell’Egitto islamico, sostiene la rivolta in Siria.
Se l’esercito continuerà ad essere fedele agli Assad nulla muterà in Siria. Sino a tanto che la capitale si mantiene tranquilla il regime non crollerà. Troppi sono gli interessi finanziari, burocratici, settari (in particolare quelli della minoranza alawita che detiene tutte le leve del potere) per i quali la caduta del Raiss rappresenterebbe non solo un disastro ma una sanguinosa resa di conti.
A Roma l’incontro ‘Il terrorismo: nuove e vecchie minacce’ organizzato da ANSSAIF
gennaio 30, 2015