“Il modello Italia ha fatto scuola”. L’ha detto il ministro dell’Interno Angelino Alfano a Palazzo Chigi, nel corso della presentazione del rapporto antimafia elaborato dalla Commissione istituita dalla Presidenza del Consiglio dei ministri.
Il vicepremier ha osservato che “questo governo è all’avanguardia nel contrasto alla criminalità e nei risultati ottenuti” e come “la cattura dei latitanti” rappresenti “un’eccellenza italiana: da quando ci siamo insediati abbiamo catturato 53 latitanti. Abbiamo sfruttato l’intuizione di Falcone: se vuoi contrastare la mafia devi seguire il flusso dei soldi, da qui la confisca dei patrimoni”.
“I soldi sequestrati alla mafia vengono dati per poter finanziare quelle strutture che servono proprio a contrastare la mafia” ha proseguito Alfano, evidenziando poi altri aspetti della lotta alle mafie tra i quali “la tenuta del carcere duro, la prevenzione delle infiltrazioni nella pubblica amministrazione e negli appalti”.
“Il crimine organizzato è una delle principali minacce alla sicurezza umana, che impedisce lo sviluppo sociale, economico, politico e culturale delle società nel mondo” afferma lo United Nations Office on Drugs and Crime – UNODC nel 2010, e lo ha ribadito il presidente del Consiglio Enrico Letta nella prefazione del Rapporto ‘Per una moderna politica antimafia’, realizzato dalla Commissione per l’elaborazione di proposte in tema di lotta, anche patrimoniale, alla criminalità.
Il campo di indagine della Commissione, come spiega la prefazione del segretario generale alla Presidenza del Consiglio Roberto Garofoli, presidente della Commissione, è la criminalità ‘mafiosa’, per la sua “pervasiva e crescente capacità di infiltrazione nel tessuto istituzionale e nel sistema imprenditoriale”, che può mettere “a repentaglio la democrazia, sfibrando il tessuto della società, inquinando le istituzioni pubbliche, alterando le regole più elementari dell’agire economico”.
L’obiettivo è “irrobustire le politiche di contrasto anche mirando su strategie di intervento innovative, elaborate tenendo conto delle trasformazioni che hanno attraversato il fenomeno mafioso, oltre che delle dimensioni che ha assunto nel nostro Paese”, le quali, in numeri, si presumono intorno all’1,7 per cento del PIL nazionale. In questo quadro, solo per fare un esempio, il solo mercato della droga ‘fattura’ ogni anno 25 miliardi di euro esentasse, con una capacità di condizionare l’economia e la produzione tale da incidere sul Pil delle regioni più colpite, Sicilia, Calabria, Campania. Anche la capacità di infiltrazione nelle istituzioni è alta, basti considerare, spiega Garofoli, il numero di enti locali sciolti per mafia.
Serve allora, afferma il ‘rapporto’, una politica antimafia moderna e “integrata”.
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aprile 19, 2015