(di Anthony Brown) – Gli Stati falliti costituiscono una minaccia per l’ordinamento internazionale. Essi, infatti, inducono instabilità di intere aree geografiche, e vanno ad incidere sui delicati equilibri economici indotti dalla globalizzazione. Tutto questo è particolarmente evidente in una regione in cui sono concentrate la maggioranza delle riserve energetiche mondiali e da cui dipende, per il proprio approvvigionamento di energia, l’Occidente e le potenze emergenti.
Il Ministro degli Esteri francese, Alain Juppe, assumeva l’iniziativa diplomatica anche nello Yemen dichiarando (Voice of America del 13 novembre: http://www.voanews.com/english/news/Yemeni-Forces-Kill-9-During-Protests-133679373.html) recentemente che l’Unione Europea era decisa a discutere un piano per il congelamento dei capitali del Presidente Saleh, qualora non accettasse la proposta del Golfo. Un’iniziativa che potrebbe avere l’appoggio del maggiore donatore europeo in Yemen: la Germania, confermando, così, il direttorato franco – tedesco nella politica estera dell’Unione.
Le profonde mutazioni dello spazio regionale nel Medio Oriente e la conseguente nuova balance of power che sta emergendo richiedono una maggior attenzione anche dell’Italia.
A una prima analisi della posizione geografica, osserviamo che lo Yemen è su una via di traffico d’importanza strategica per il controllo delle vie commerciali con l’Oriente e su un punto di saldatura, fra il continente asiatico e africano, di particolare rilevanza per la politica di potenza regionale che sunniti e sciiti, rispettivamente diretti da Arabia Saudita e Iran, conducono. Inoltre, assumono rilevanza i flussi legali e illegali fra il Corno d’Africa e i Paesi medio orientali oltre che una rotta alternativa ai flussi migratori che coinvolgono il Mediterraneo occidentale e centrale attraverso il Maghreb.
Lo studio ha assunto quest’anno un’ulteriore dimensione legata ai fatti, correlati alla “primavera araba”, che hanno messo in discussione i regimi autoritari del mondo arabo e che hanno visto riaffacciarsi sulla scena politica il movimento della Fratellanza Mussulmana quale alternativa panaraba in grado di contrastare politicamente i movimenti salafiti, ispirati a principi integralisti e poco inclini ad accettare modelli economici e culturali occidentali, lo confermano i risultati elettorali in Tunisia e in Marocco.
In questo quadro il regime repubblicano yemenita ha garantito, in un contesto caratterizzato da tensioni di faglia indotte dall’esterno, di tenere unito un Paese in cui forze centripete del Sud e del Nord hanno creato instabilità e insicurezza pregiudicando lo sviluppo del Paese e aggravando le già precarie condizioni di vita della popolazione.
Riconoscendo ai Paesi del Golfo i forti legami culturali e la profonda conoscenza delle reti dei poteri informali con lo Yemen, nel 2010, i governi occidentali hanno iniziato una partnership con il Consiglio per la Cooperazione dei Paesi del Golfo (CCG) per trovare una soluzione ai crescenti rischi determinati dalla attuale situazione della sicurezza nello Yemen. A una prima risposta incerta e caratterizzata da una limitata capacità burocratica, lo sviluppo della situazione, determinatasi con i fatti relativi alla “primavera araba”, ha stimolato una risposta collettiva del CCG, nel 2011, volta al raggiungimento di una soluzione mediata che agevolasse una transizione politica.
La proposta del CCG, per la soluzione della grave crisi politica yemenita, è stata rimodulata con gli sforzi dell’inviato delle Nazioni Unite, Jamal Bin Omar.
Dal punto di vista economico, lo Yemen dipende in maniera sostanziale dai fondi per la cooperazione e lo sviluppo che sono talvolta destinati a settori non strategici per la crescita del Paese o monopolizzati dal comparto sicurezza. Spesso, infatti, non si è insistito abbastanza sulla necessità di legarli in maniera pragmatica ad un progresso delle istituzioni statuali e democratiche proponendo un paradigma di Nation building sostenibile.
L’Italia è fra i Paesi donatori e condivide le preoccupazioni degli altri Paesi Occidentali relative alla sicurezza dell’area, oltre che a partecipare alle missioni di contrasto della pirateria e ad essere attiva con la propria diplomazia nella regione.
Sono pertanto auspicabili esplicite azioni della nostra diplomazia, condividendo con gli altri attori internazionali e con i Paesi del Golfo una strategia comune nella condotta dei negoziati, favorendo un’azione di sostegno del processo di transizione politica ed economica dello Yemen recuperando i precedenti culturali e storici di dialogo nazionale, compromesso e riconciliazione.
Incoraggiando, infine, una soluzione negoziata dei conflitti interni nel Nord ribelle e nel Sud secessionista e ricostruendo la credibilità del Governo centrale che fino a oggi è risultato corrotto, inefficace e violento. Il ripristino di condizioni di sicurezza ad un livello di accettabilità toglierebbe agli estremisti le basi per una loro affermazione nel Paese e contribuirebbe in maniera decisa a una stabilizzazione della regione del Corno d’Africa.
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