(di Roberto Falaschi) – Per millenni l’appartenenza ad un gruppo etnico era data dalla nascita e dalla crescita in quel contesto in modo da assimilarne totalmente lingua, usi, costumi e credenze. Mai fu pensato ad un concetto di ius soli totalmente estraneo alle menti dei nostri antenati.
Addirittura in determinate culture, in quella ebraica tutt’ora, si è parte di una società solamente se figli di madre di quel contesto.
Dopo la caduta dell’Impero Romano e lo stabilirsi del feudalesimo aveva effetto l’alleanza e la sottomissione ad un feudatario o ad un re. Con il sorgere in età moderna dello stato si è venuto ricreando il concetto di cittadinanza vera e propria, che derivava dall’essere prole di un suddito di quell’entità statuale. Ciò ovunque la persona nascesse in quanto veniva dato per scontato che l’educazione del giovane fosse volta all’acquisizione dei principi predominanti in quel particolare stato.
Con l’espansione mondiale dell’Europa e la creazione di nuove entità statali si pose per quelle aree geografiche il problema di popolarle e di “attaccarvi” i nuovi arrivati. Fu così data la possibilità di acquisire rapidamente la cittadinanza locale e soprattutto fu stabilito che chi vi nascesse ne diventasse ipso facto cittadino.
Fino ai tempi attuali l’emigrante verso uno di questi nuovi stati come Stati Uniti, Australia, Brasile ed altri troncava di fatto ogni legame di interesse con il paese nativo per trasferirlo al nuovo dove si andava creando una nuova esistenza ed identità. L’acquisizione della cittadinanza in base allo ius soli era pertanto pienamente giustificato. L’uso di “era”, ossia di un tempo passato, non è un errore, ma è motivato da una situazione delle comunicazioni e degli spostamenti totalmente mutate.
L’emigrante attuale si mantiene regolarmente in contatto telefonico e video con parenti ed amici del luogo d’origine ritornandovi con regolarità per passarvi dei periodi di ferie. Ne consegue che potendo seguire costantemente gli avvenimenti “di casa” ha difficoltà a staccarsi dal precedente contesto originario per assimilarsi totalmente con quella che dovrebbe essere la sua nuova realtà culturale, anche se ha ottenuto la cittadinanza dello stato che lo ha ospitato.
Tipico risultato è il multiculturalismo, dove ogni gruppo di cittadini mantiene la propria identità etnico/culturale non fondendosi conseguentemente nel nuovo stato e non sentendosene quindi parte integrante.
Questo nuovo aspetto dell’immigrazione non solo nei così detti paesi nuovi succitati che dettero giustificata diffusione allo ius soli, ma anche nella “vecchia” Europa che vede sempre più in ogni suo stato ingrandire aree popolate da immigrati che non solo non si integrano con gli usi e costumi locali, ma pretendono di far accettare i loro agli autoctoni. Questo fenomeno è particolarmente evidente per quegli immigrati di religione musulmana che oltre a costituire il gruppo più numeroso tra gli arrivi in Europa, sono anche i maggiormente prolifici.
Pertanto adottando lo ius soli nel giro di pochi decenni il continente una maggioranza islamica che non avrà le nostre identità culturali europee, ma imporrà la propria con sicura probabilità di trasportare non solo la religione, ma altresì il sistema politico che è parte integrante dell’islam. Ne consegue che avremo la sharia con tutti i suoi aspetti (pene corporali e di morte, sottomissione delle donne all’uomo, mancanza di diritti civili, infibulazione femminile e circoncisione per gli uomini con varie altre forme di diritto da non lasciate alle spalle).
E’ già palesemente evidente come l’Europa si stia avviando verso questo risultato dal comportamento di molti politici che aspirano al voto dei musulmani.
Non si è mai appreso di immigrati di altre religioni che pretendano l’applicazione dei loro usi e costumi nel paese di immigrazione il che lascia chiaramente intendere che il movimento di emigranti islamici verso il nostro continente abbia più l’aspetto di un’invasione che un venir a cercare una vita migliore. Peraltro quest’aspetto i capi ed i predicatori islamici non lo celano affatto.
Infine mentre gli immigrati dell’Est europeo, salvo alcuni casi di criminalità, passano quasi inosservati scomparendo rapidamente per assimilazione, quelli provenienti da paesi musulmani mantengono un comportamento sempre e comunque distinto.
Ora sulla base di quanto suddetto dettato dall’esperienza, appare logico concedere lo ius soli a quelle persone che non solo non intendono assimilarsi e diventare un tutt’uno con il paese ospitante creando di fatto un’entità quasi statale ben distinta? L’esistenza di una comunità islamica nella comunità già si nota in vari paesi europei e per di più mira a divenire la cultura predominante e dettare le loro leggi avendo conquistato la maggioranza parlamentare. Più che introdurre lo ius soli nel nostro ordinamento si tratterebbe di rendere molto più difficile l’acquisizione della cittadinanza italiana.
Chi propone l’introduzione dello ius soli evidentemente vuol vedere le proprie figlie col burka.
In alcuni stati, quali ad esempio Australia e Paesi Bassi, i governi stanno cominciando a pretendere seriamente che i nuovi arrivati non solo imparino la lingua del posto, ma ne acquisiscano la maggioranza delle abitudini, anche perché si è visto il multiculturalismo nella migliore delle ipotesi tende a creare in uno stesso stato “gruppi tribali distinti”.
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