Ayman al-Zawahiri in una famosa lettera al comandante di al-Qaeda in Iraq, Abu Musab al-Zarqawi, scriveva “ci troviamo in una guerra la quale per più della metà si svolge nel campo di battaglia dei media in una corsa per guadagnare i cuori e le menti delle nostre persone.”
Un islamista egiziano, Sayyid Qutb, rimarcava la natura transterritoriale della Ummah, unificata dalla amministrazione Islamica. Adesso, quattro decadi dopo la sua morte, la tecnologia ha ulteriormente aumentato questa globalizzazione rendendo ulteriormente irrilevanti le frontiere nazionali. Infatti, più i controlli degli spazi fisici risultano stringenti da parte delle organizzazioni di sicurezza e delle forze di polizia più i gruppi terroristici si rivolgono a internet per le loro strategie comunicative e di reclutamento.
Ai giorni nostri, la maggior parte degli esperti è concorde nell’affermare che Internet non è solo uno strumento delle organizzazioni terroristiche, ma è l’essenza delle loro operazioni. Alcuni addirittura affermano che la presenza online di al-Qaeda ha superato di gran lunga la sua effettiva presenza fisica. La sua ideologia esiste essenzialmente grazie a Internet.
Un esempio interessante di questo fenomeno propagandistico è rappresentato dal movimento islamico Al Shabaab . Lo stesso veicola i propri messaggi con la musica per influenzare soprattutto i giovani. Uno dei suoi leader di origine straniera, l’americano Omar Shafik Hammami, detto Abu Mansoor Al-Amriki, ha raggiunto la notorietà dopo che in un video dell’aprile 2009 in cui veniva ripreso in un rap sulla jihad. Con La canzone più recente “Send Me a Cruise”, del 9 aprile 2011, Hammami si prendeva gioco del governo americano che lo dava per deceduto, lo stesso moriva nel successivo mese di luglio.
Tuttavia, Internet è in assoluto il mezzo più utilizzato anche da Al Shabaab per la sua economicità e per la possibilità offerta di raggiungere ampi pubblici soprattutto giovanili. Online forum e chat rooms sono utilizzati da Al Shabaab per reclutare giovani leve che simpatizzano per la loro causa. Il sito ufficiale di Al Shabaab, pubblicava posts, video e dichiarazioni ufficiali in inglese, arabo e somalo.
Prima di essere espulso da Mogadiscio a metà del 2011, Al-Shabaab aveva lanciato, l’anno precedente, per la propria propaganda, la stazione televisiva Al-Kataib. Il programma più famoso trasmetteva le confessioni di un presunto agente della CIA, Ahmed Kisi, che era stato giustiziato una settimana prima. Il canale alterna scene di guerra a sermoni o minacce agli apostati o infedeli crociati.
Un video di 48 minuti di particolare interesse, intitolato Labaik Ya Usama (adesso non più disponibili su you tube), esemplificava molto bene questi concetti di universalità e di lotta contro gli infedeli e la presunta soprafazione degli occidentali ai danni dei credenti. In particolare, al minuto 04’22” si poteva notare le fiamme dell’inferno che ardevano sotto l’immagine del Presidente Bush; al successivo minuto 04’30”, balbettando, la voce rievocava le crociate tanto care alla propaganda islamica e al 36’36” veniva sottolineato che la guerra è globale e i mujahdiin del Corno d’Africa hanno raccolto la eredità dei cugini dell’Oriente.
I gruppi terroristi sono così passati da una versione 1.0 riferibile ad un periodo ante 11 settembre ad una versione 2.0 in cui i gruppi del terrore si sostituiscono ai giornalisti nell’azione di framing della notizia, ma soprattutto le organizzazioni mediali delle reti del terrore diventano i veri gatekeepers superando, così il conflitto determinato dal potere di dare o negare la diffusione dei prodotti mediali e condizionare le strategie di distribuzione e marketing delle diverse attività editoriali.
Dal punto di vista tecnico, le reti del terrore hanno guadagnato un significativo vantaggio nella loro lotta per le coscienze. Ma se queste azioni si sviluppano su un terreno spirituale e intellettuale che accomuna gli islamisti ad al Qaida, risulta altrettanto evidente che non vi sia ancora una commune accezzione dell’idea di unificazione dell’Ummah e di un ritorno ai giorni del califfato. La vera partita per le coscienze dell’Islam si giocava su questo terreno, si trattava della sfida per lo sviluppo di una filosofia politica coerente e che l’Occidente non poteva perdere.
Ma le cose non sono andate per il verso giusto e il califfato, tanto evocato, da simbolo é diventato realtà e si é materializzato in Iraq dove un vuoto di potere e una politica settaria delle autorità nazionali irachene hanno favorito la nascita di Isil, Isis, Is, lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante.
La narrativa di questa entità non statuale, ma transnazionale, erede di al-Qaida, ha attecchito nelle giovani generazioni delle comunità islamiche mondiali attraverso un’agenda setting realizzata principalmente dai social network.
La storia ci insegna che le guerre si vincono proponendo la narrativa più efficacie. Winston Churchill é stato un grande esempio di come una Nazione in guerra sia riuscita a raggiungere l’opinione pubblica esterna dei Paesi il cui sostegno é stato determinante nella riuscita della 2 Guerra Mondiale, contrariamente a quanto aveva fatto Hitler che si era rivolto esclusivamente al suo pubblico interno.
I pubblici islamici, tra cui i rappresentanti delle loro comunità religiose sono oggi, con un certo ritardo, i principali destinatari di una nuova e più vigorosa narrativa.