(di Clara Salpietro) “Jordan’s Hell”, così è stato ribattezzato dai profughi siriani il campo di Za’tary allestito in territorio giordano al confine con la Siria. A fine luglio, in un’area immersa nel deserto, per far fronte all’arrivo dei siriani che attraversavano il confine per cercare rifugio in Giordania, il campo di Za’tary si presentava come un agglomerato di tende dell’UNHCR. Tanti i problemi a cui far fronte, dal vento incessante che provoca continue tempeste di sabbia causando problemi di vista e problemi respiratori per gli sfollati, in modo particolare per i bambini; alla mancanza di servizi essenziali, come carenza di acqua e di condizioni igienico-sanitarie; fino alle denunce per le violenze sessuali subite dalle donne e ai casi di malattie trasmissibili, sono 18 i casi di tubercolosi diagnosticati, due i casi sospetti di epatite e due di tifo.Condizioni di vita molto dure, aggravate dal fatto che i siriani non possono avere nessun contatto con l’esterno, non posso utilizzare telefoni, il cibo non è distribuito in parti uguali e nelle tende la temperatura arriva fino a 40 gradi.
Fino al 29 luglio i rifugiati stavano accampati in vari posti, potevano telefonare alle famiglie, sapere notizie e se avevano un amico o un parente giordano potevano andare ad abitare presso di loro, da quando sono al campo di Za’tari non è più possibile. Tutto questo ha scatenato delle proteste anche violente da parte dei profughi e ormai gli scontri con la polizia giordana, che più volte ha dovuto far ricorso alle cure mediche, sono all’ordine del giorno.
I profughi siriani che sono stati intervistati dai media internazionali hanno dichiarato che “se avessero saputo com’erano le condizioni nel campo non sarebbero mai venuti”. Si ha notizia che diverse famiglie siriane residenti nelle tendopoli di Za’tari sono fuggiti dal campo e circa 50 famiglie sono già tornate in Siria su loro richiesta.
L’esodo dei siriani in Giordania in termini numerici è incerto. Secondo il Governo giordano il numero dei siriani presenti nel Regno è di 177mila, di cui 140 mila vivono in città giordane e villaggi. Il ministro di Stato giordano per la Comunicazione, Samih Maaytah, ha detto che “il campo di Za’tari ha una capacità massima di circa 80.000 rifugiati ed al momento ospita circa 25.000”. Maaytah, che è anche portavoce del governo giordano, ha inoltre affermato che “Il mondo deve assumersi le sue responsabilità. Noi non siamo una grande potenza economica in grado di sopportare questo peso da soli. Noi abbiamo aperto le nostre frontiere ai fratelli siriani, ma il mondo deve aprire le sue tasche e aiutare i siriani in Giordania”.
C’è chi sostiene che ogni giorno a superare il confine giordano sono circa 1.500 siriani, chi dice 2300 e chi 4000, ma anche c’è chi sostiene che il 29 luglio, giorno in cui il campo è stato inaugurato, al massimo c’erano 7-8 mila persone.
Numeri alti o bassi, la domanda a cui non si è ancora riusciti a dare risposta è: come mai i profughi siriani sono accampati in mezzo alla polvere, in mezzo al deserto, a 40 gradi? Sembra quasi che la Giordania voglia sfiduciare i profughi siriani a superare il confine.
Eppure la Giordania ha sempre avuto un atteggiamento di accoglienza per i profughi, sin dal 1948, inoltre ha mandato ospedali da campo in tutto il mondo. La crisi siriana non è certo una sorpresa, non è arrivata all’improvviso, era prevedibile ed era prevista.
Da una parte i giordani chiedono aiuto alla Comunità Internazionale per assistere questa marea di profughi e dall’altro scoraggiano i profughi a venire qui.
Alcune settimane fa il Ministero della Pianificazione e della Cooperazione internazionale giordano e l’ONU hanno chiesto ufficialmente alla Comunità internazionale 429 milioni di dollari per fornire servizi di base per i profughi siriani (come l’assistenza sanitaria, l’istruzione ed altri servizi), senza contare la spesa per l’energia elettrica ed il consumo di acqua che ammonta a 54 milioni dollari.
Nel campo operano tre ospedali, quello marocchino gestito da circa 100 militari marocchini, quello francese con personale militare francese e quello italiano gestito esclusivamente da personale giordano della Royal Medical Service, sotto le forze armate giordane.
L’ospedale da campo italiano in un primo momento era stato montato, su indicazione del governo giordano, nella zona di al-Mafraq, a circa 80 km da Amman e circa 10 dal confine con la Siria.
La struttura sanitaria italiana era stata la prima ad arrivare, infatti il 3 luglio scorso dall’aeroporto di Orio al Serio (Bergamo) era partito il volo che trasportava l’ospedale da campo e il 15 luglio l’ospedale era già funzionante, con medici italiani in servizio presso la struttura per diversi giorni, peccato però che le autorità giordane non hanno mandato profughi siriani per le visite. Dopo che è stato allestito il campo di Za’tari, il 29 luglio, gli italiani sono stati invitati a smontare l’ospedale presente a Mafraq e a rimontarlo a Za’tari, dove il montaggio è stato completato il primo settembre.
L’ospedale italiano è una iniziativa della Cooperazione Italiana, in collaborazione con Protezione Civile e Associazione Nazionale Alpini (ANA). La missione è stata decisa dal Consiglio dei ministri, con una delibera del 26 giugno scorso, su proposta del ministro degli Esteri che ha attivato il Dipartimento nazionale di Protezione Civile. A sua volta il Dipartimento ha inoltrato la richiesta all’Ospedale da campo dell’Associazione Nazionale Alpini.
L’Italia ha donato l’ospedale da campo alle autorità giordane e quindi a conclusione dell’emergenza rimarrà in possesso della Giordania, a differenza di quanto farà qualche altra Nazione, che finita l’emergenza porterà via la struttura.
“Ai primi di luglio abbiamo mandato un team logistico per il montaggio dell’ospedale – ci dice il portavoce dell’ANA, l’avvocato Cesare Lavizzari, che abbiamo sentito telefonicamente – e un team medico specializzato per istruire il personale medico giordano”.
L’ospedale da campo dell’Associazione nazionale alpini è il frutto di una consolidata esperienza in Italia e all’estero, conquistando i più alti apprezzamenti internazionali per gli interventi di assistenza generale ai profughi di guerra, tanto che il 1° gennaio 2004 il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha conferito la Medaglia d’argento al merito civile all’Ospedale da Campo della Associazione Nazionale Alpini.
“L’ANA ha inviato ospedali da campo per varie emergenze in diverse regioni d’Italia – afferma l’avvocato Lavizzari – ma anche nei Balcani, in Kosovo, nel sudest asiatico subito dopo lo Tsunami del 26 dicembre 2006, in Sri Lanka. Una bella realtà è anche la Protezione civile Ana, composta da 15 mila volontari, che sono intervenuti in varie occasioni, ad esempio in occasione del terremoto in Abruzzo abbiamo inviato 10 mila volontari, 5 mila in Emilia Romagna subito dopo il terremoto di maggio. Una commissione dell’OCSE, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, nel 2008 è stata ospite dell’ANA, in quanto l’organizzazione aveva avviato uno studio sulla capacità di risposta alle grandi emergenze naturali. L’OCSE ha voluto studiare l’attività della Protezione civile Ana, perchè come associazione di privati ha raggiunto alti livelli nelle emergenze”.
Tornando all’ospedale italiano presente nel campo profughi di Za’tari, il fatto che il governo giordano non l’ha reso immediatamente operativo potrebbe essere una conferma che le autorità giordane non vogliono trattare bene i profughi siriani, e questo magari dovuto al fatto che il governo giordano teme infiltrazioni da parte dei servizi segreti siriani.
Nel primo giorno d’apertura, il 2 settembre, l’ospedale italiano ha visitato circa 72 persone, il secondo giorno 96 mentre il terzo giorno oltre 115. L’Ambasciatore italiano in Giordania, Francesco Fransoni, il 4 settembre ha visitato l’ospedale italiano, controllando di persona la piena operatività della struttura, ha visitato anche l’ospedale marocchino e quello francese, e ha fatto un giro nel campo per constatare le condizioni di vita dei profughi. Dopo 9 giorni lavorativi l’ospedale italiano presente nel campo di Za’tari ha visitato oltre 1300 pazienti.