(*di Franco Narducci) – Ormai siamo arrivati a ben venti mesi di conflitto in Siria e Bashar al-Assad resiste ancora, mentre il numero delle vittime, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, supera addirittura la cifra delle 40.000 persone, senza contare le violazioni dei diritti umani perpetrate e del diritto internazionale umanitario, soprattutto negli ultimi mesi, infatti più di 100.000 cittadini sono stati arrestati o detenuti.
Se poi si parla non di vittime in genere ma di morti ammazzati dobbiamo rilevare che da circa dieci mesi fa quando iniziò la rivolta pacifica sono state uccise ben 6.000 persone, circa 20 al giorno, sono state uccise ad un tasso di 20 al giorno.
Oggi, mentre il regime continua a uccidere i cittadini, le sue tattiche repressive hanno raggiunto un passo di ferocia senza precedenti nella storia recente del mondo arabo e hanno portato il Paese in un tunnel tenebroso che conduce all’abisso. E’ necessario, quindi, una svolta nella diplomazia internazionale che non può prescindere dal senso di responsabilità anche degli attori mediorientali. Infatti, la crisi siriana, con la sua caratterizzazione settaria, ha influenzato le dinamiche regionali in maniera profonda, in un contesto di cambiamento segnato dalla post Primavera Araba in cui vi è un riposizionamento degli equilibri.
I vecchi antagonismi sono rimasti ancora imperanti non permettendo di trovare ancora una soluzione negoziale alla crisi siriana. La rivolta siriana assume sempre più i connotati di una lotta interreligiosa: arabi contro persiani e mussulmani sunniti contro sciiti ed il ruolo centrale della fratellanza mussulmana che, con la Primavera Araba, hanno tolto spazi agli iraniani ed esteso la propria influenza in maniera considerevole al fuori dai confini dell’Egitto. Mentre in mezzo si trovano le comunità cristiane timorose di essere ostaggio di un islam politico.
Le Nazioni Unite, d’altro canto, sono rimaste alla seconda Risoluzione sulla Siria (n.2043 del 21 aprile 2012), la cui urgenza era stata particolarmente sostenuta dalla Russia, votando all’unanimità l’invio di un contingente massimo di trecento osservatori militari disarmati, oltre alla necessaria componente civile. Una missione di cui è parte anche l’Italia ma che non è sufficiente ad affrontare in maniera ferma la questione.
Oggi, in Siria, siamo di fronte ad un vero e proprio movimento popolare di rivolta ed ogni giorno che passa l’insurrezione si instaura più in profondità e si amplifica. In località come Homs, Hama, Deraa e nell’entroterra di Damasco vi è il controllo degli abitanti e nei luoghi in cui un paio di mesi fa protestavano solo una manciata di persone ora ve ne sono decine di migliaia pronte a partecipare a manifestazioni e sit-in della durata di molte ore.
L’unica cosa certa è che quello che ha impedito lo svolgersi di manifestazioni con milioni di persone in città importanti è solo la paura della repressione che, in molte occasioni, ha raggiunto il livello di omicidio. La rivolta, che ha le sue radici nei centri tradizionali della resistenza, si è diffusa geograficamente.
Ed è importante ricordare che la natura ormai consolidata del movimento popolare ha una sua dimensione spirituale ed etica che si manifesta nel coraggio eroico incarnato da cittadini assolutamente normali che manifestano nonostante il pericolo della vita. Lo spirito rivoluzionario ha permeato la cultura e la vita insinuandosi in molti aspetti della dimensione immateriale della vita quotidiana attraverso la musica, le canzoni, e l’arte in genere. Infatti, la rivoluzione siriana ha permeato l’arte con un patrimonio rivoluzionario autentico mai visto prima nelle società arabe, con l’eccezione di quello creato dalla Organizzazione per la Liberazione Palestinese.
Se non si procede ad una soluzione negoziale si rischia che la natura pacifica del movimento di rivolta in Siria si affievolisca per lasciare spazio ad una sua militarizzazione anche come risposta ai continui attacchi dell’apparato militare statale.
Ma, se teniamo conto di tutti i fattori, geopolitici, religiosi, sociali e culturali, la soluzione alla crisi siriana non può che venire da tre contesti che in ordine di importanza sono il contesto siriano, il contesto arabo ed lo scenario internazionale, ognuno dei quali, compreso il regime di Assad stesso, è d’accordo che il Paese non può tornare alla condizione in cui era prima della rivolta e che, quindi, il cambiamento è inevitabile.
In ambito siriano, è difficile immaginare che il regime riesca a soffocare la rivolta e fare qualche riforma ed altrettanto difficile sembra essere l’ipotesi che l’opposizione riesca ad abbattere definitivamente Assad, né si profila la possibilità di un accordo a breve termine.
Quindi l’unica soluzione possibile, se ci rivolgiamo allo scenario interno alla Siria rimane il coinvolgimento di attori provenienti da fuori con un trasferimento di responsabilità al contesto arabo e a quello internazionale con l’intervento umanitario sia dei Paesi arabi che di quelli occidentali come ha già sostenuto con forza il filosofo francese Bernard-Henri Lévy.
La Lega araba anche se sembra essere l’unico attore sullo scenario siriano, in realtà non è stata in grado di raggiungere un consenso sulla Siria ed è troppo debole per fornire una via d’uscita da una situazione difficilissima come quella attuale, in cui le radici della crisi sono così aggrovigliate che è difficile trovare una soluzione. Infatti, anche in presenza di osservatori della Lega araba sul territorio siriano e le sanzioni imposte dalla Lega stessa al regime di Assad, quest’ultimo ha continuato con la sua strategia di sicurezza e approfondito la sua guerra mediatica gridando alla congiura universale contro la Siria.
Sul piano internazionale bisogna rilevare che i Paesi occidentali sono incerti circa un loro intervento diretto. La Turchia è attendista, divisa com’è tra le sue ambizioni pan-islamiche da una parte e la paura dei Curdi e degli Alawiti all’interno dei suoi confini e dell’Iran e Russia all’esterno.
Anche l’Ue e gli USA sembrano nicchiare, indebolita, l’una, dalla crisi economica e reduce, l’altro, dagli insuccessi nell’area mediorientale. Tuttavia, essi, pur avendo un profilo attendista, grazie al quale hanno lasciato campo libero alle Nazioni Unite, non vogliono un ritorno alla stabilità senza un qualche coinvolgimento nel definire il nuovo status quo.
Attualmente la Siria è in una situazione di guerra civile minore, quasi una guerra confinata, che però rischia di aggravarsi se non si pone riparo. Oggi, il regime può fermare l’escalation e risolvere la crisi interrompendo il massacro e ritirando le sue truppe e negoziando trasferimenti di potere con la rivolta popolare. Se, invece, le ostilità non cesseranno vi è il rischio reale che la guerra civile, ora confinata, si diffonda in tutto il Paese e sia inevitabile un intervento internazionale con conseguenze nefaste per tutti. Speriamo che la saggezza sappia suggerire strade di pace allontanandosi dai sentieri bui della distruzione.
*Vicepresidente Commissione Affari esteri – Camera dei Deputati
Amid heavy fighting in Homs, Ban calls on Syrian parties to avoid civilian casualties
luglio 3, 2013