(di Anthony Brown) – Più tempo Bashar al Assad mantiene il potere e maggiori sono le probabilità che militari cerchino di togliergli il potere con la forza. In questo scenario, un punto di non ritorno sarà rappresentato dal momento in cui membri delle forze di sicurezza e qualche ansioso lealista decideranno di proteggere i loro interessi personali forzando il Presidente a lasciare.
Una volta che un leader con il seguito delle forze militari decidesse di scalzare Assad potrebbe essere difficile se non addirittura impossibile riportare il conflitto al tavolo delle trattative.
Le recenti esperienze dalla cosiddetta primavera araba offrono una ampia gamma di situazioni che vanno dalla svolta yemenita che ha visto il presidente Saleh lasciare il potere a favore del proprio vice godendo della immunità e restando nel Paese nel ruolo di padre nobile. All’estremo opposto, la vicenda del dittatore libico che si è conclusa in maniera sanguinosa dopo un intervento armato dell’Occidente con l’astensione di Russia e Cina: una soluzione poco gradita all’opinione pubblica e che ha lasciato il Paese in una costosa e prevedibilmente lunga instabilità.
La soluzione egiziana, infine, ha visto la destituzione sanguinosa di Mubarak e la transizione garantita dalle stesse forze militari del regime; essa rappresenta un’ipotesi intermedia interessante.
Più in generale, la Tunisia e l’Egitto hanno creato aspettative di un cambiamento moderato e relativamente veloce. Bashar ha compreso questa lezione e ritiene che il compromesso sia un segno di debolezza, mentre la resistenza è un segno di forza.
In Siria vi è un leader militare, il generale Moustafa Ahmad Al Sheik, che conduce dalla Turchia un’azione di contrasto al regime senza però riuscire a mantenere unità d’intenti fra le diverse anime della rivoluzione e non è detto che la soluzione militare sia la più indicata e nelle condizioni attuali non fa che rafforzare l’idea che Bashar possa controllare la rivolta con la forza.
Molto più significativa è stata l’azione della popolazione con manifestazioni di piazza di notevole entità che hanno delegittimato il regime in analogia con i due Paesi prima menzionati. La Tunisia e l’Egitto, infatti, erano noti per la efficacia e brutalità dei rispettivi apparati di intelligence sebbene la loro capacità di controllo delle folle fosse efficace per un ordine di grandezza delle migliaia e non per le centinaia di migliaia.
In tale ottica, il piano Annan apparentemente, inefficace nella risoluzione del problema politico siriano, costituisce un ottimo elemento di aggregazione dei Paesi confinanti e di risolutezza della comunità internazionale.
Una sinergica azione della popolazione, di azioni diplomatiche che non alienino Russia e Cina e di rigide sanzioni economiche potrebbero indurre lo stesso establishment alawita a proporre una leadership alternativa all’attuale Presidente. Ciò garantirebbe il perseguimento di tre obiettivi fondamentali per la stabilità della regione: il mantenimento del potere in mani alawite evitando l’affermazione di una leadership sunnita non necessariamente moderata; una transizione istituzionale relativamente rapida e pacifica; il positivo coinvolgimento di Turchia e Paesi del Golfo non pronti questi ultimi ad accettare una soluzione in chiave democratica o anche solo progressista.
Amid heavy fighting in Homs, Ban calls on Syrian parties to avoid civilian casualties
luglio 3, 2013