(di Gianpaolo Ceprini) – Se la ripresina ci sarà, come spero, la dovremo solo al coraggio dei nostri imprenditori che ancora una volta rischiando in prima persona traineranno il nostro Paese oltre le secche della politica. Non è la prima volta che l’economia italiana viene salvata dai “capitani coraggiosi” dell’imprenditoria italiana.
Per capire di che pasta sono fatti bisogna vederli quando i nostri imprenditori partecipano alle fiere internazionali dove sono costretti a dare il meglio di sé, che vada o no, e dove debbono dimostrare di saper vendere quanto si è prodotto nonostante la concorrenza serrata e mancanza di aiuti. Non è facile difendere il “Made in Italy” se non si ha inventiva e si è capaci di innovare, qualità senza le quali non si conquistano i mercati ed i clienti internazionali. Produttori che conoscono le difficoltà della concorrenza e che cercano di difendersi da sempre con le loro armi migliori, i loro prodotti, imbattibili e altamente competitivi. Ma la concorrenza è sempre più forte e spesso sleale e gode di protezioni anche da parte dei governi.
Diversi i segnali che essi hanno inviato al mondo politico italiano affinché li protegga dai mercati emergenti che in modo spregiudicato e senza regole cercano di copiare i loro prodotti o fanno entrare produzioni sul nostro mercato non rispettose dei regolamenti europei, quei regolamenti che per noi sono una spada di Damocle non solo in termini di maggiori costi produttivi. Purtroppo, su questo fronte un muro sordo e disattento si oppone ai loro sforzi. Ma ora, come sempre, proprio grazie a loro potremmo riuscire a tirare fuori la testa dal pantano e respirare un tantino.
E’ vero, spesso hanno cercato di coinvolgere il mondo politico italiano ormai incapace di prendere misure utili per le nostre imprese, un malato senza rimedio, riverso solo su se stesso che medita solo come potersi mantenere. Invano i nostri imprenditori hanno atteso un segnale di aiuto che seppur minimo gli avrebbe tuttavia permesso di rivitalizzare il mercato interno vivacizzando quanto basta la spesa al consumo. Eh già, non se ne sono accorti, ne’ i politici, ne’ le banche di questa esigenza. Se ne sono resi conto invece alcuni mercati esteri, quali ad esempio quello svizzero, che stanno dando fiducia ai nostri imprenditori conoscendone serietà e tenacia. Nessuno di loro pensa di scrutare quella curva di Laffer che gli suggerirebbe di abbassare velocemente la quota del peso fiscale ormai giunta al 45 % nel 2013 contro una media europea a 27 del 40,5% per rivitalizzare un tantino il mercato interno che cerca ormai ogni escamotage pur di fuggire a questa morsa inesorabile che lo gessa all’improduttività tant’é che la spesa delle famiglie è ormai al meno 6% e se non mutano le cose nulla lascia sperare che migliori.
Il problema non è quindi se togliere o meno l’IMU o come barcamenarsi per mantenere questa o quell’imposta, basti vedere quanto è accaduto con la questione delle cartelle esattoriali di cui il Premier Monti nella legge di stabilità 2013 (art.1 comma 527) aveva previsto l’annullamento automatico facendo la gioia di non so quanti cittadini. Ebbene, al fine di evitare buchi nel gettito fiscale il Governo attuale è dovuto correre ad immediati ripari per interrompere i termini del fatidico 1° luglio notificando altrettante ingiunzioni ai poveri malcapitati. Questo che significa? Che se manca un’entrata ne deve essere stabilita un’altra di altrettanto valore.
Le spese sono tante ed i soldi non bastano, quindi la pressione fiscale non può diminuire. Potrebbe tuttavia essere modificata – basti pensare al solo costo energetico gravato prevalentemente da misure fiscali – per favorire i consumi ma è una quadratura del cerchio difficile, perché per assicurare minori entrate e quindi meno tasse debbono corrispondere inevitabilmente meno spese, il che vuol dire, individuare e tagliare altri rami “secchi” o improduttivi della spesa pubblica. La spending review arcinota che ha finito per gessare i Ministeri al punto che non sono più autosufficienti e rischiano solo di essere un intralcio al sistema produttivo del Paese avendo praticato tagli alla spesa in modo inefficace.
Ha quindi ragione il Ministro Saccomanni, persona competente e di grande valore, che conosco da molti anni e che stimo moltissimo differentemente dai Brunetta e dai Fornero che farebbero , invece, bene a starsene zitti e a non mentire ai cittadini con le tante corbellerie od invenzioni alchimistiche che certo non servono per aiutare il Paese ad uscire dal baratro in cui il mondo politico ci ha lentamente precipitato.
Un Governo che non ha altre alternative, che si regge su uno strano equilibrio, quello del vuoto, ma che non è certo peggiore degli altri, e al di la’ della costante presenza sulla scena politica del Presidente Napolitano con i suoi richiami alla prudenza e saggezza, questo esecutivo sta cercando di curare un malato endemico con le poche medicine di cui dispone. E se crollasse? non c’è altro: il vuoto.
Anche se il PDL si prepara a staccargli la spina, certo non prima di aver creato un nuovo partito con il quale presentarsi ai cittadini, dovrà capire che non c’è ricambio, non c’è novità che soddisfi un cambiamento. Tanto vale rimanere dove siamo e….più che tirare a campare, farebbe bene a cercare di eliminare i tanti privilegi e le decisioni sbagliate con le quali la politica ha rovinato e condizionato tutti gli apparati produttivi a partire dalla pubblica amministrazione.
Che senso ha, allora, attaccare l’unico tecnico capace di poter fronteggiare l’ingente spesa con un paziente riequilibrio delle leve fiscali e agendo attentamente sul prelievo diretto ed indiretto pur di riavviare la domanda interna? Operazione indispensabile se si vuole favorire la ripresa.
Bene dice l’OCSE che con il suo osservatorio attento alla congiuntura del paese suggerisce ai nostri politici di ridurre le tasse sul lavoro. Personalmente aggiungo, a cosa serve un apparato sindacale che è solo ostacolo alla produzione e che cerca solo di mantenere i propri privilegi in barba a tutti i referendum che cercarono di ridimensionare questa forma di vassallaggio che ha finito per gessare le fabbriche. Forse è tempo che i sindacalisti vadano a lavorare, cosi’ saprebbero quanto è duro arrivare a fine mese.
Anche l’FMI della Lagarde ci manda a dire che l’IMU non deve essere tolta ribadendo che lo dicono da anni, dal 2011 quando suggerirono al Presidente del Consiglio (Berlusconi) di rimettere l’ICI (che aveva tolto nel 2008), di fare un federalismo a due velocità e di abolire le Provincie.
Sul federalismo a due velocità sfugge al Fondo che sono quarant’anni che stiamo cercando di unire l’Italia e proprio ora ci sembrerebbe sbagliato diversificare i cittadini italiani in ricchi e poveri, se non altro perché dovremmo cambiare l’articolo uno della Costituzione a cui noi siamo molto, molto attaccati. Go home, si diceva tanti anni fa per altri motivi, ma l’espressione va ancora bene al caso.
Pensi infatti più attentamente il Fondo a tutti i problemi causati ai tanti Paesi dov’è intervenuto (Thailandia, Indonesia, Corea del sud, Argentina, etc.) e lasci in pace l’Italia che ha gambe sane a sufficienza per riprendersi da sola nonostante le prezzolate agenzie di rating si divertano ad appiopparci classifiche da “insufficienti”.
E mentre i molti soffrono i grandi finanzieri speculano sulle guerre, sull’oro, sul petrolio per essere i padroni del vapore. Se avessimo infatti la pazienza di ricostruire le mosse della grande finanza internazionale di quella che conta seriamente, per dirla in breve della Goldmann Sachs, ci accorgeremmo che ognuno dei Paesi oggi in crisi ha avuto a che fare con le loro speculazioni, ne sono stati dissanguati e poi “soccorsi” per dissanguarli ancora senza rimedio.
Basta guardare le borse per capire in sostanza che la crisi non è solo europea ma internazionale. E per Paesi importatori di materie prime non c’è scampo se non parte la ripresa dei mercati. Sul vecchio continente è presto detta: il Portogallo permane nella sua crisi politico-economica, la Grecia se non convincerà i creditori internazionali sulla bontà delle sue riforme rischia di saltare il piano di aiuti con il conseguente blocco della rata di prestito, il brent dopo la crisi egiziana è tornato a salire, l’economia cinese rallenta la crescita, la Spagna si dibatte ancora nella morsa del debito nonostante la forte contrazione delle spese e la disoccupazione alta e la crescente diaspora delle sue risorse qualificate che cercano occupazione in altri Paesi, la Francia cerca di nascondere i suoi problemi affiancandosi alla potente Germania per poter trattare al meglio i sostegni alla sua economia.
Forse uniti potremo farcela a condizione però che nessuno cerchi di fare la parte del migliore. Utopia? Forse, non lo è se ci convinciamo finalmente di essere europei.
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