– di Tindaro Gatani –
Da sempre la spia o meglio, come preferiscono dire gli addetti, l’agente segreto è stato sinonimo di avventura e nello stesso tempo di inquietudine. La spia è infatti sempre una spia ed il sospetto che possa comunque fare il doppio gioco, passando da un campo all’altro, la rende sempre sospetta. Il suo è uno dei mestieri più vecchi del mondo. Tutte le guerre hanno avuto sempre bisogno dell’azione di spie. Le prime documentazioni scritte sulle attività spionistiche le troviamo già nei primi libri e nei più antichi autori. In Omero, nell’Iliade e nell’Odissea, così come in tanti altri autori classici troviamo infatti molti episodi che vedono spie all’azione.
La potenza della Persia, dell’Impero romano e di quello bizantino, le stesse conquiste musulmane così come tutte quelle del Medioevo e dell’era moderna e contemporanea, non sarebbero state possibili senza l’azione determinante delle spie. La stessa Bibbia testimonia il ruolo insostituibile delle spie per il ritorno nella Terra promessa.
«Poi il Signore parlò a Mosè, dicendo: “Manda degli uomini ad esplorare il paese di Canaan, che Io sto per dare ai figli d’Israele: ne manderete uno per ciascuna tribù”… Mosè dunque li mandò ad esplorare il paese di Canaan… Quelli partirono ed esplorarono tutto il paese… Per ordine dello stesso Mosè le spie di Canaan viaggiavano a piccoli gruppi separati affinché in caso di incidente esse non fossero smascherate tutte quante. Al termine di quaranta giorni ritornarono dall’esplorare il paese… Essi fecero questo racconto: “Giungemmo nel paese dove tu ci hai mandati… Però il popolo che abita quel paese è potente e le città sono fortificate e molto grandi… e tutti gli uomini che vi abbiamo veduto sono di grande statura”…» (Il Libro dei Numeri, 13).
Anche alcune delle spie della Bibbia fecero la fine di tante altre spie. Quelle che tentarono di dissuadere il popolo di Israele ad invadere la Terra promessa, opponendosi con questo al voler del Signore, furono infatti condannati a morte. «Dopo la morte di Mosè, gli successe Giosuè, figlio di Nun, con il compito di proseguire la sua opera. Egli fece allora partire segretamente da Settim due spie, dicendo loro: “Andate, esaminate la regione e specialmente Gerico”» (Libro di Giosuè, 2, 1). «Essi andarono e giunti alla casa di una meretrice di nome Rahab, vi si riposarono».
In questo episodio, abbiamo, per la prima volta, una testimonianza scritta e documentata dell’azione del controspionaggio.
Ed infatti, il re di Gerico, prontamente informato dell’arrivo nel suo regno delle spie nemiche, fece intimare alla prostituta Rahab: «Metti fuori gli uomini venuti da te, in casa tua; essi sono venuti ad esplorare tutto il paese». «Ma la donna, dopo aver nascosto i due uomini, rispose: “Sono venuti infatti da me due uomini di cui io ignoravo la provenienza, ma… sono usciti e non so dove siano andati”»… «Dopo la relazione di quelle due spie, Giosuè diede ordine al popolo di Israele di “passare il Giordano” ed invadere la terra di Canaan». (Libro di Giosuè, 2, 4-5).
L’epoca d’oro delle spie dell’era moderna ha inizio con la Rivoluzione francese. Anche Napoleone era convito sostenitore di un forte apparato di spionaggio e controspionaggio perché la spie, diceva, «fanno vincere le battaglie» e quindi le guerre.
La psicosi e l’ossessione dello spionaggio ha provocato scandali nazionali facendo sospettare di tutti e di tutto, portando spesso alla condanna di innocenti. Uno degli episodi più eclatanti di intrigo spionistico, che interessò l’Italia nel corso della prima Guerra mondiale, vide come attore principale l’avventuriero francese Paul-Marie Bolo (1867-1918), meglio conosciuto come Bolo Pascià.
Attraverso tutta una lunga serie di intrighi ed imbrogli a livello europeo, ma anche di ricatti e veri e propri atti di corruzione, egli era diventato uno degli uomini più ricchi di tutta la Francia. Già dagli inizi del 1914, cioè a dire sin dalle prime avvisaglie di un imminente scoppio del conflitto, Bolo era sul libro paga della Germania come capo di una vasta rete spionistica.
E fu proprio con denaro tedesco che Bolo cercò di sostenere nel suo Paese la propaganda dei non interventisti e quindi dei movimenti pacifisti. Egli cercò insomma con ogni mezzo «di coinvolgere la stampa francese in un’opera disgregatrice del fronte interno, a sostegno degli interessi della Germania, giungendo — dopo aver fallito l’obiettivo con il Figaro — a comprare il Journal, pagandolo 6.000.000 di franchi di allora e versandone altri 176.000 per assicurarsi la maggioranza delle azioni del giornale Le Rappel» [Eddy Bauer, Storia dello Spionaggio, in 8 volumi, De Agostini (1971-1973) con la prefazione di Enzo Biagi].
Su consiglio della Germania, Bolo propose all’Italia, dove giunse nel 1915, affari davvero colossali:
– la vendita di ben 300.000 capi bovini del Sudamerica, da consegnare al ritmo di 8000 al mese per soddisfare la richiesta dell’esercito e della popolazione;
– la vendita di 2.000.000 di tonnellate di carbone per rifornire le nostre ferrovie e le nostre industrie;
– l’acquisto di mezzo miliardo di buoni del Tesoro italiano per finanziare parte dei bovini e del carbone;
– la fondazione a Roma di una banca (Banca Latina), con capitale iniziale di 100.000.000 di lire e soci italiani, francesi e spagnoli con l’approvazione del Vaticano. Alla carica di Presidente sarebbe stato chiamato il commendatore Giulio Della Chiesa (1863-1915), fratello minore di papa Benedetto XV (Giacomo Della Chiesa), fermo oppositore dell’entrata in guerra dell’Italia, che il 3 settembre 1914 era successo sul Soglio di Pietro a Pio X (Giuseppe Sarto).
Dietro tutta l’operazione c’era lo scopo, attraverso una serie di operazioni finanziarie apparentemente lecite, di acquisire i più diffusi giornali italiani alla causa della neutralità e quindi della Germania. Ad introdurre Bolo Pascià in un giro di avventurieri e politicanti italiani era stato il giornalista Carlo Bazzi, che in cambio del favore aveva ottenuto il finanziamento della sua agenzia di stampa «La Latina» e la promessa di un sostegno più cospicuo per la fondazione di un suo quotidiano.
A mettere in contatto i due era stato a sua volta Filippo Cavallini (1851-1932) ex deputato di Mortara e Pavia, figlio del senatore Gaspare Cavallini, l’allora segretario privato di Camillo Benso conte di Cavour. Di famiglia ricca, Cavallini aveva avuto delle disavventure finanziarie con il fallimento della Banca Lomellina, della quale era uno dei maggiori azionisti.
Condannato per peculato era riparato in Sudamerica da dove continuò «i suoi affari» non sempre puliti con l’Italia e la Francia. Una volta assolto dall’accusa di peculato ritornò in Europa, conducendo una vita molto dispendiosa tra Roma e Parigi, dove aprì suoi uffici ed entrò in rapporti di affari con grandi industriali e personalità politiche.
E fu a Parigi che conobbe Bolo Pascià, divenendone buon amico. Oltre al Cavallini, Bolo Pascià poteva contare in Italia su una vasta ed agguerrita «cricca di avventurieri della finanza, tutti ammanigliati con la politica, che erano disposti a qualsiasi azione pur di trarre vantaggi economici rilevanti» (Eddy Bauer). I molti soldi che correvano, passando di mano in mano, insospettirono il nostro controspionaggio che allertò il Governo, che, una volta subodorato il losco, intervenne prontamente e con decisione.
Fallita la missione Bolo, i tedeschi ci provarono con Joseph Caillaux, ex Presidente del Consiglio francese ed ex Ministro delle Finanze, nonché uno dei capi socialisti del suo Paese. Caillaux, uomo di notevole spessore politico, era amico di Bolo e di Cavallini, e perseguiva lo scopo di spingere l’Italia verso il ritiro dal fronte di guerra, cosa che gli sembrò più facile dopo la nostra disfatta di Caporetto.
A mandare tutto all’aria fu il ritrovamento in una banca di Firenze di una cassetta lasciata dalla signora Caillaux con documenti molto compromettenti. Madame Caillaux, anni prima, era stata, tra l’altro, al centro di un altro scandalo, quando aveva ucciso a colpi di pistola il direttore del Figaro, Gaston Calmette, per impedirgli di pubblicare certe vecchie lettere d’amore che avrebbero compromesso il marito, uscendone tuttavia assolta.
Il ritrovamento dei documenti nella cassetta di Firenze provocò un’ondata di arresti sia in Francia che in Italia. Mentre in Francia, Bolo Pascià ed altri personaggi vennero passati per le armi. In Italia, invece, una volta terminata la guerra tutto finì a tarallucci e vino.
Il processo Cavallini, con un colpo di scena, fu trasferito dalla giurisdizione della giustizia militare a quella della giustizia civile, per concludersi con “un non luogo a procedere”. Eddy Bauer commenta così quel processo: «In questa causa di spionaggio sembrava che l’istruttoria ed il dibattimento fossero condotti a loro volta da spie e non da magistrati: centinaia di documenti alterati, altri scomparsi, altri abusivamente sequestrati, memoriali rubati, decine di testimoni falsi smascherati in aula, scene madri clamorose, un gran maneggio di denari per comprare tizio e caio, colpi apoplettici e inutili persecuzioni. Come in altre occasioni del genere, questo gravissimo processo si concludeva in burletta».