(di Clara Salpietro) – Il 7 gennaio a Parigi, tra le 11 e le 11.30 circa, due uomini armati ed incappucciati sono entrati nella sede del giornale satirico francese Charlie Hebdo, al numero 10 di rue Nicolas Appert, nell’XI arrondissement. Al grido di “Allah è grande” sono stati freddati, a colpi di kalashnikov, 8 giornalisti, due agenti assegnati alla protezione del direttore, un ospite che era stato invitato alla riunione di redazione e il portiere dello stabile. I killer volevano “vendicare il profeta” dopo la pubblicazione di alcune vignette considerate irrispettose.
Una nuova sparatoria a Parigi ha avuto luogo la mattina di giovedì 8 gennaio, nella zona di Porte de Chatillon. Due poliziotti sono stati colpiti, un’agente morta dopo il ricovero in ospedale, grave il collega. Sembra che gli agenti siano arrivati sul posto dopo un incidente stradale e si sarebbero trovati di fronte un uomo armato di kalashnikov che ha aperto il fuoco.
Gli uomini armati che hanno fatto strage nella redazione del giornale satirico erano due fratelli franco-algerini, Chérif e Saïd Kouachi, i quali la mattina di venerdì 9 gennaio si sono rifugiati in una tipografia a Dammartin-en-Goele, a nord-est di Parigi, vicino all’aeroporto Charles de Gaulle, prendendo in ostaggio un uomo.
Il responsabile dell’uccisione dell’agente di polizia urbana francese era Amedy Coulibaly, che sempre venerdì mattina ha fatto irruzione, insieme alla moglie Hayat Boumeddienne, in un negozio di alimentari Kosher a Parigi, prendendo in ostaggio almeno sei persone. Dopo ore drammatiche, intorno alle 17 di venerdì, sia i fratelli Kouachi che Coulibaly, che erano collegati, sono stati uccisi dalle forze speciali francesi. Purtroppo alcuni degli ostaggi nel negozio kosher sono morti. In fuga e tuttora ricercata Hayat Boumeddienne.
Sui fatti di cronaca accaduti nella capitale francese abbiamo intervistato il professor Vittorfranco Pisano, colonnello (Ris.) della U.S. Army Military Police e specialista in materia di sicurezza internazionale e conflittualità non convenzionale, è stato consulente della Sottocommissione per la Sicurezza e il Terrorismo del Senato degli Stati Uniti e revisore dei corsi offerti dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti nell’ambito del Programma di Assistenza Anti-Terrorismo.
Prof. Pisano, possiamo affermare che quanto accaduto nel cuore di Parigi si è trattato di una “strage annunciata”?
Quanto posto in essere da parte terroristica nei giorni scorsi a Parigi e dintorni era prevedibile. Non per quanto riguarda specifici luoghi, tempi e dettagli, ma nel contesto del modus operandi terroristico. Conviviamo con il terrorismo nelle sue forme contemporanee dagli anni Sessanta del secolo scorso e – più particolarmente ed in crescendo – con quello di stampo radicale islamico dagli anni Ottanta in poi. Durante questo periodo abbiamo assistito all’adozione e all’adattamento di tipologie e metodiche terroristiche collaudate o comunque già ideate a prescindere dall’esito auspicato dagli attori. Trattandosi nel caso specifico di elementi radicali islamici, non va dimenticato che il jihadismo rispecchia una presenza su vasta scala mondiale e nonostante differenze e contrasti interni, come ad esempio tra al-Qaida e sue affiliate, da un lato, e il sedicente Stato Islamico di Iraq e Siria (ISIS), dall’altro, queste aggregazioni terroristiche si alimentano e si esaltano a vicenda ispirando anche elementi ad esse non organici.
L’attentato di Parigi si può paragonare con l’11 settembre?
Quanto avvenuto in Francia è stato – “a caldo” – equiparato da alcuni commentatori all’11 settembre 2001. Va per contro notato che, sia per la sofisticazione progettuale e operativa sia per la dimensione degli effetti materiali dei rispettivi fatti delittuosi, tale equiparazione non è calzante se non in senso iperbolico.
Che idea si è fatto di questo attacco?
Fra i numerosi aspetti negativi dei recentissimi fatti risalta la riprova che, a prescindere dall’esito complessivo, l’azione terroristica comporta comunque benefici per i perpetratori. In questo caso sono stati eliminati fisicamente vignettisti considerati “blasfemi” e sono stati contemporaneamente intimiditi critici del jihadismo; è stata data una dimostrazione di capacità operativa “militare” e di coordinamento (anche se, come sempre nelle dinamiche terroristiche, si trattava di bersagli facilmente accessibili e proditoriamente vulnerabili); l’albo “d’oro” jihadista può ora annoverare e vantare altri tre “eroici martiri” quale fonte d’ispirazione per ulteriori seguaci del jihadismo; sono state alimentate polemiche sull’operato delle forze dell’ordine in quanto il loro intervento non ha salvato la vita di tutti gli ostaggi; ed è stata confermata la capacità da parte di elementi jihadisti di sfruttare e colpire obiettivi mirati e non solo di condurre attentati indiscriminati nei confronti di affollati mezzi di trasporto come a Madrid nel 2004 e a Londra nel 2005.
Chi ha colpito la redazione di Charlie Hebdo ha voluto colpire la satira?
Nella satira, come in altre manifestazioni di pensiero, non prevalgono necessariamente il buon gusto e la sensibilità nei confronti dei sentimenti altrui. Questa carenza, anche quando fortemente biasimabile, non autorizza a comprimere la libertà di espressione con mezzi terroristici. Nello Stato di diritto sono disponibili strumenti civili a tutela di chi si ritiene oltraggiato.
Immediate sono state le reazioni internazionali di condanna e di cordoglio. C’è stato però chi ha affermato che dietro i terroristi ci sia l’Occidente. Qual è il suo pensiero?
Due aspetti della differenziabile reazione internazionale ai fatti di Parigi sono allarmanti. Il primo concerne il tentativo, tutt’altro che nuovo, di addossarli ad attori “imperialisti” e “poteri forti” o quantomeno ad attribuire loro lo sfruttamento di elementi radicali islamici. A tale proposito basta dare uno sguardo a quanto apparso sul web. Il secondo aspetto riguarda valutazioni, altresì presenti nei media, che collegherebbero questi crimini a situazioni politico-sociali negative non prive di pesante concorso di colpa occidentale. Mentre nel contrasto al terrorismo è sempre lodevole il tentativo di eliminare cause di sfruttabile malessere, non va dimenticato che chi lo pratica è motivato soprattutto da pulsioni ideologiche imbevute di fanatismo e che ogni sforzo inteso a migliorare la condizione umana non può che essere accompagnato da misure di contrasto a tutte le forme di devianza nei confronti della civile convivenza.
Charlie Hebdo e la guerra dichiarata all’Occidente
gennaio 12, 2015