(di Anthony Brown e Clara Salpietro) – Le Forze Armate operano ormai da un decennio in contesti sempre più complessi e volatili in cui la separazione fra la fase a connotazione squisitamente militare (peacekeeping e peace enforcment) e quella di stabilizzazione e ricostruzione non è più così netta.
In particolare, le esperienze maturate nei Balcani, hanno dimostrato che le minacce alla sicurezza richiedono alla comunità internazionale un approccio globale ai problemi della sicurezza e della cooperazione e sviluppo, combinando il coordinamento di strumenti civili e militari.
Uno sforzo concertato di tutti gli attori sulla scena internazionale che contribuiscono alla risoluzione della crisi con le rispettive forze e mandati.
Le esperienze maturate in Iraq e Afghanistan nell’ultimo decennio lo hanno dimostrato con maggior enfasi evidenziando che, già prima dell’intervento, i diversi attori, fra i quali le forze militari, le organizzazioni civili e le organizzazioni non governative, hanno la necessità di operare in stretta sinergia, sin dai primi momenti della crisi.
I Paesi si sono dotati di una dottrina che accogliesse a tutti i livelli, tattico, operativo, ma soprattutto strategico, questo nuovo approccio concettuale e le principali organizzazioni internazionali l’hanno adottato elevando a livello regionale e globale questo nuovo approccio alla gestione delle crisi.
Nello specifico, la NATO si dotava di linee guida a livello politico, con l’adozione del Comprehensive Political Guidance, già al Summit di Riga del 2006 e nel mese di aprile del 2008 (http://www.nato.int/cps/en/natolive/topics_51633.htm), e concordava un Piano d’Azione con proposte pragmatiche sulla sua adozione. Lo stesso anno, nel mese di giugno, il governo finlandese ha organizzato un seminario internazionale sul tema, a cui hanno partecipato numerose rappresentanze nazionali oltre che le principali organizzazioni internazionali, fra le quali ONU, NATO e UE.
In quell’occasione non si definì univocamente il concetto di approccio integrato, ma emerse il generale consenso sulla necessità di integrare la dimensione politica, di sicurezza, di cooperazione e sviluppo, umanitaria, dei diritti umani delle missioni internazionali (Pubblicazione sul Comprehensive Approach del Ministero della Difesa – Finlandia: Trends, Sfide e Possibilità per la Cooperazione nella Prevenzione e Gestione delle Crisi, giugno 2008, www.defmin.fi/english).
In aprile 2009, la NATO riaffermava questo approccio al summit di Strasburgo-Kehl, in cui i capi di Stato e di Governo confermavano la priorità conferita all’Approccio Integrato. Il nuovo concetto strategico della NATO, adottato al successivo Summit di Lisbona a novembre 2010, evidenziava l’importanza, nella gestione delle crisi, dell’adozione di un approccio integrato che prevedesse strumenti politici, civili e militari.
Un quadro concettuale che sottende processi collaborativi, basati su una comprensione condivisa a premessa di azioni concertate per la prevenzione o la risoluzione delle crisi nel comune fine di garantire la sicurezza Euro-Atlantica e, più in generale, internazionale.
La sicurezza e la cooperazione e sviluppo non possono essere assicurati da una singola nazione o organizzazione, ma da meccanismi multilaterali e organizzati a sistema e che coinvolgano strumenti civili e militari integrati e opportunamente sincronizzati.
La NATO è essenzialmente un’alleanza militare e non ha grandi capacità civili sul terreno e questo comporta una sua tendenza a incrementare i rapporti di cooperazione con attori civili esterni alla stessa e con organizzazioni internazionali. In tale contesto, la cultura, le procedure e le dottrine sono essenzialmente militari e lasciano spazio ad un approccio civile come si deve. Uno dei passi positivi in questo senso, adottati sul terreno, sono stati i Provincial reconstruction teams (Prts) in Afghanistan.
L’Unione Europea, invece, è spesso considerata come l’attore con le maggiori possibilità di sviluppare ed esplicitare il comprehensive approach. La stessa, infatti, annovera capacità militari e civili per la gestione della crisi rispettivamente per un intervento militare già dal Consiglio Europeo di Colonia del 1999 e per una missione civili (polizia, giustizia, amministrazione civile e protezione civile) dal Consiglio di Feira del 2000. Un impulso ulteriore in questa direzione è stata dato con la firma del Trattato di Lisbona nel 2007.
La sfida più importante consiste da un lato nell’assicurare coerenza tra gli strumenti della Commissione Europea (primo pillar) e quelli della Politica Europea di Sicurezza e Difesa (PESD, secondo pillar), dall’altro nella coesistenza di sistemi civili e militari all’interno del PESD stesso.
Sul terreno gli “EU Special Representatives” giocano, sempre più, un ruolo centrale nel coordinamento delle attività svolte nelle missioni europee raccordando Bruxelles e il livello esecutivo con le differenti agenzie presenti sul campo.
La complessità delle crisi internazionali richiede la definizione di strategie che avvicinino il più possibile strumenti diplomatici, finanziari, civili, culturali e militari, sia negli stadi preliminari che nella gestione della crisi vera e propria e nella fase della stabilizzazione e ricostruzione (Il Libro Bianco della Difesa e Sicurezza francese, giugno 2008, p. 58, reperibile in rete: QUI).
Una gestione non adeguata delle crisi, nelle sue varie fasi, minerebbe la stessa legittimità del coinvolgimento della comunità internazionale nella risoluzione delle emergenze, comporterebbe un dispendio di preziose risorse economiche e finanziarie e, nell’ipotesi meno favorevole, prolungherebbe gli atti di violenza ai danni della popolazione locale altrimenti contenibili nella durata e virulenza a tutto vantaggio della sicurezza a livello locale e internazionale.
È pertanto auspicabile un’ulteriore evoluzione del modello teorico di approccio integrato verso una soluzione efficace, riequilibrando gli interessi particolaristici e ricollocando le motivazioni delle singole nazioni in un contesto più ampio e funzionale a beneficio dell’ordinamento internazionale e perfezionando le relazioni fra le organizzazioni stesse UN-NATO, NATO-UE, UN-UE, UE-OSCE, al fine di evitare eventuali dispendiose duplicazioni di competenze.
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gennaio 19, 2015