(di Anthony Brown) – La morte del Primo Ministro Meles Zenawi, che è stato il motore dell’ Etiopia per 21 anni, avrà conseguenze profonde sia a livello nazionale che regionale.
Il decesso in un ospedale belga del leader del Fronte di Liberazione del Tigrè (partito politico etiope, di ispirazione socialdemocratica, membro della coalizione del Fronte Democratico Rivoluzionario d’Etiopia che ha rovesciato la giunta marxista Derg nel 1991), è stato annunciato dalla televisione di Stato etiope il 20 agosto scorso.
Le conseguenze nazionali della scomparsa di Meles possono aver risvolti imprevedibili e sicuramente poco graditi ai paesi Occidentali che tanto hanno investito nell’alleanza con l’Etiopia e possono rappresentare un elemento d’instabilità per tutta l’area.
Il Fronte, infatti, pur avendo promesso libertà, democrazia e rispetto delle minoranze è estremamente centralizzato controllando l’economia e sopprimendo di fatto le libertà politiche, sociali, etniche e religiose. La scarsa governance del Paese è stata ignorata dall’Occidente grazie all’astuto appoggio incondizionato di Zenawi alla lotta contro i movimenti islamici violenti e radicali (così come ha fatto Museveni in Uganda).
Dal punto di vista strategico, il centro di gravità della regione del Corno d’Africa è in rapida evoluzione, lo stesso influenza l’Egitto, il Mar Rosso e indirettamente il Mediterraneo. L’instabilità è tangibile a livello politico, geopolitico ed economico per la concomitanza di più fattori. In particolare, è evidente la interdipendenza fra le condizioni di sicurezza dei Paesi dell’area e la marcata instabilità determinata dalla reciproca destabilizzazione; in questo scenario la stabilità e forza dell’Etiopia è determinante.
Lo scontro fra Etiopia e Somalia, iniziato nel 1977-1978 ha ripercussioni serie anche ai giorni nostri con l’interferenza della stessa nella crisi somala. L’Etiopia è intervenuta nella Guerra civile Sudanese offrendo sostegno ai ribelli nel sud. Inoltre, la guerra fra Etiopia e Eritrea è un altro dei conflitti che affliggono l’area; peraltro, la insoluta disputa di confine fra Etiopia e Eritrea ha un particolare significato poiché ha influenzato la politica regionale attraverso l’intervento militare nel conflitto somalo. La guerra per la riunificazione della Somalia, incorporando la Somaliland (ora Somalia) e la Repubblica di Somaliland, si è riproposta con decisione anche con il sostegno dell’Egitto moderato.
Sul piano geopolitico, il principale rivale dell’Etiopia nel controllo della regione del Corno è l’Egitto, la cui preoccupazione per il controllo delle acque del Nilo è giustificata dall’incremento recente di quest’ultimo del prelevamento di acqua ben al disopra dei quantitativi stabiliti con l’Accordo per le Acqua del Nilo del 1955. Il fiume dipende per l’80% della propria portata dal Nilo Blu che nasce in Etiopia e da altri tributari provenienti dagli altopiani etiopi.
Dal punto di vista economico, l’Africa e in particolare il Corno d’Africa si sta affermando come un mercato potenzialmente redditizio per i prodotti asiatici nell’arena economica internazionale del ventunesimo secolo.
L’Etiopia ha scoperto nuovi giacimenti di petrolio e ha importanti riserve di acqua e una capacità agricola che potrebbe rappresentare un sicuro punto di riferimento regionale una volta raggiunta la stabilità interna.
I potenziali giacimenti petroliferi dei bacini dell’Ogaden stanno trasformando ulteriormente gli equilibri regionali del prossimo decennio. Sono state avviate le trattative per la costruzione di un gasdotto da terminalizzare al porto di Berbera in Somaliland; tuttavia, nel momento in cui il governo di Somaliland non era in grado di contrastare le elezioni presidenziali conclusesi con l’affermazione di un potere islamista nel luglio 2010, l’Etiopia ha dovuto ripiegare nuovamente su Gibuti come l’unico sbocco sul mare disponibile per l’esportazione del proprio gas.
L’Egitto ovviamente ha contrastato la rinascita etiope sostenendo in maniera discreta azioni radicali lungo il litorale del Mar Rosso e nel Corno d’Africa con il solo obiettivo di limitare il potere etiope sul Mar Rosso e sulle rotte che lo percorrono fino al canale di Suez.
In questo processo, però, le autorità egiziane hanno sostenuto le stesse forze radicali che si oppongono al suo governo secolare e che sostengono la politica d’espansione iraniana nel Mar Rosso.
Al centro di tutto questo, la guerra condotta dagli estremisti islamici di Sudan e Somalia, sostenuti dall’Iran e dai governi secolari di Eritrea ed Egitto, per isolare l’Etiopia culminata nel 1995 con il tentato assassinio del Presidente egiziano Husni Mubarak in Addis Ababa. Le forze radicali islamiche che operano in Somalia, infatti, sono state sostenute per lungo tempo dall’Eritrea, oltre che dall’Iran, dall’Egitto e dalla Libia, nell’intento di contenere le forze etiopi e agevolare i movimenti secessionisti somali e degli Oromos in Etiopia (International Relations and security Network, All Eyes on Red Sea Gas, 7 settembre 2010. http://www.isn.ethz.ch/isn/Communities-and-Partners/Partners/Detail/?lng=en&id=120875).
I proventi della vendita dei prodotti energetici consentiranno all’Etiopia di acquisire nuove capacità militari e l’Eritrea questo lo sa bene. Con queste premesse, l’Etiopia ha due possibilità per guadagnarsi lo sbocco al mare: assecondare i voleri di Gibuti oppure Addis Adeba dovrà riconsiderare di riprendersi i territori del Sud – Est, l’Afar, un’area in questo periodo nel moderno stato eritreo e l’Eritrea non ha i mezzi per contrastare militarmente il vicino etiope emulando i successi degli anni 1998-2000.
Tutto questo contribuisce ad indebolire significativamente l’influenza dell’Arabia Saudita a favore di quella iraniana. Ironicamente, molte delle attività jihadiste/Islamiste nel Corno sono state di chiara matrice Wahabbita/neo-salafita.
In tale quadro un aumento della instabilità interna potrebbe minacciare la sicurezza degli interventi militari etiopi in Somalia e Sudan, esacerbare le tensioni con il vicino eritreo e più in generale mettere in discussione il ruolo dell’Etiopia quale alleato regionale nella attività di contrasto al terrorismo. Infine, se dovessero affermarsi movimenti etnici o religiosi radicali, si potrebbe osservare un effetto domino che infiammerebbe l’intera area rendendo più difficile quel processo di raffreddamento delle controversie.
Il Corno d’Africa ha bisogno di un nuovo approccio ai problemi che l’affliggono che veda iniziative nuove di peacebuilding basate sul miglioramento del dialogo politico nazionale – come in Kenya – della governance e del governo locale, e stimolando il processo di cooperazione regionale e di integrazione economica.
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