(di Clara Salpietro) – Chi ha colpito i militari italiani in Libano? È la domanda che circola con insistenza da venerdì 27 maggio quando a Nord di Sidone, 40 km a sud di Beirut nei pressi del fiume Awwali, è esploso un ordigno che ha colpito un convoglio dell’Onu, impegnato nella missione Unifil.
Sei soldati italiani sono rimasti feriti. Il convoglio era composto da quattro veicoli italiani e la deflagrazione ha colpito l’ultimo, un VM-90, che è stato centrato sul lato anteriore, vicino a un checkpoint delle forze libanesi.
Il mezzo colpito rientrava nella base italiana di Shama dopo una missione di trasporto logistico a Beirut. L’ordigno esploso era stato nascosto dietro la barriera di cemento armato sul ciglio della superstrada.
L’Unifil (Forza di Interposizione in Libano delle Nazioni Unite) è presente nel sud del Libano dal 1978 e nell’autunno 2006 in seguito alla guerra tra Hezbollah e Israele la sua presenza è stata rafforzata. I 13.000 caschi blu provengono da 33 nazioni diverse.
La missione militare italiana in Libano è l’Operazione Leonte, che prende il nome dal termine libanese “al-Litani” che è il più grande fiume del Libano e che delimita l’area in cui il contingente italiano opera secondo le disposizioni della risoluzione n. 1701 delle Nazioni Unite.
L’attentato è avvenuto mentre a New York nel palazzo delle Nazioni Unite si stava svolgendo la commemorazione dei caschi blu caduti nelle diverse missioni militari dell’Onu in giro per il mondo. Ed anche in Libano i caschi blu stavano partecipando ad una cerimonia al quartier generale di Naqoura in vista della Giornata internazionale dei peacekeeper delle Nazioni Unite, che ogni anno viene celebrata il 29 maggio.
L’area dove è avvenuto l’attacco è roccaforte sunnita della famiglia Hariri, sostenuta dall’Arabia Saudita e dagli Stati Uniti, avversaria del fronte libanese filo-siriano capeggiato dal movimento sciita Hezbollah, alleato dell’Iran.
La notizia dell’attentato al contingente italiano ha fatto immediatamente il giro del mondo, e con la stessa celerità con cui è stata resa nota, sono stati diramati messaggi di vicinanza e di condanna dell’attacco. Analisti e giornalisti specializzati hanno subito avanzato varie ipotesi su chi avesse voluto “colpire” gli italiani. Secondo fonti diplomatiche libanesi, citate dal quotidiano an-Nahar, ci sarebbe “un coinvolgimento della Siria dietro l’attacco a Sidone”.
Secondo quanto riportato dal quotidiano La Stampa il 29 maggio, sembra che “da tempo circolavano voci di una costante e diretta minaccia terroristica rivolta ai soldati di Unifil”. Quindi un attacco atteso da tempo, ma non si aveva contezza di dove e quando.
Così come confermato in un primo momento dal ministro della Difesa La Russa, il quale ha detto che sebbene l’attentato si sia verificato in un’area “normalmente tranquilla”, fuori dal perimetro di azione del contingente militare, “la notizia non ci ha colto di sorpresa”. “Da alcuni giorni – ha aggiunto – c’era infatti un accrescimento di tensione nell’area, forse anche in seguito agli scontri avvenuti in altre zone con le forze palestinesi”. Da segnalare anche che nei giorni scorsi c’era stato il tentativo di lancio di un razzo verso Israele.
Il ministro si è anche affrettato a specificare che è “da escludere che l’attacco contro i militari italiani in Libano fosse diretto contro il contingente italiano in quanto tale. È più probabile che l’attacco fosse rivolto contro Unifil in quanto forza di stabilità”.
C’è chi sostiene che l’attacco possa essere “solo l’inizio di un’azione più serrata con l’intento di colpire obiettivi dall’alto valore simbolico come i Caschi blu”. Quindi potrebbero esserci ancora altri attacchi, i caschi blu italiani potrebbero essere ancora gli obiettivi della violenza omicida.
Secondo l’agenzia nazionale di notizie libanese (Nna), l’attività di pattugliamento delle unità di Unifil il giorno dopo l’attentato è stata “estremamente limitata e quasi inesistente nel settore orientale della Linea Blu di demarcazione con Israele”. L’agenzia sostiene anche che “le unità di Unifil sono in stato di massima allerta dentro e fuori i loro compound”.
L’immediata conseguenza dell’attentato è stata certamente un innalzamento del livello di allerta. Come dichiarato dal colonnello Lorenzo Cucciniello, rappresentante di Unifil a Beirut, “un comunicato in cui si dispone di non lasciare le basi militari, è stato trasmesso a tutti i contingenti presenti in Libano”.
Senza alcun dubbio, l’attentato del 27 maggio invia un messaggio all’Italia. Il problema è il numero del contingente italiano. Delle forze Onu presenti in Libano quello italiano è il più numeroso con circa 1.800 soldati, guidato dal 9 maggio dal generale Gualtiero Mario De Cicco a capo della brigata Aosta di stanza in Sicilia.
Un numero così alto di militari viene considerato come un ostacolo, in pratica non lascia libertà di manovra a certi gruppi o movimenti. Circola voce che l’elevato numero di militari italiani dispiegati sul territorio crea difficoltà agli sciiti siriani che intendono ammassare armi al confine tra Libano e Israele, per poi utilizzarli in una sorta di crociata sotto bandiera iraniana.
Da un lato l’attentato sembra sia servito per coalizzare gli sciiti, interessati a mantenere la “mezzaluna”, che fanno capo all’Iran. La “rinascita sciita” sotto l’egida di Teheran ha già fatto sentire, in altre occasioni, la sua presenza in altre aree di conflitto come l’Iraq e l’Afghanistan ma anche a Gaza dove sostiene finanziariamente Hamas, e in Paesi come lo Yemen, il Bahrein e l’Arabia Saudita.
Proprio l’avanzata sciita è percepita come una minaccia mortale dall’Arabia Saudita, a maggioranza sunnita, e dagli altri paesi del Golfo.
E se dietro l’attacco agli italiani c’è la mano degli sciiti siriani, il loro interesse è di arrivare nel Golfo Persico e da qui allo Stretto di Hormuz.
Con una larghezza di poco più di 54 chilometri, dei quali soltanto 3 utilizzabili per il passaggio delle flotte mercantili e militari, lo stretto di Hormuz ha assunto nel corso degli anni un’importanza strategica senza eguali, configurandosi come uno dei più “caldi” – se non il più caldo in assoluto – chokepoints dell’intero globo.
Situato tra la costa meridionale dell’Iran e la penisola di Musandam, enclave omanita nel territorio degli Emirati Arabi Uniti, Hormuz è il centro nevralgico per il traffico di petrolio, che dagli immensi giacimenti arabici viene smistato verso le raffinerie e le facilities asiatiche, europee e mediorientali.
Per raggiungere l’obiettivo agli sciiti siriani serve agire in Libano senza interferenze, ammassando più armi possibili ai confini, con i quali tentare di distruggere Israele. Con un contingente militare italiano così numeroso molti traffici vengono messi in discussione ed ecco che si colpisce il contingente, si lancia un primo avvertimento e nel caso in cui non venisse ascoltato allora si potrebbe puntare più in alto, magari a perdite di vite umane.
Se tutto questo è confermato, le parole del ministro degli Esteri, Franco Frattini, un istante dopo la notizia dell’attentato sono sicuramente servite a calmare alcuni animi accesi: “L’Italia è intenzionata a ridurre gradualmente la presenza del suo contingente in Libano. È evidente che si tratta di una decisione che va comunicata in sede Onu, perché questa non è una missione italiana, ma una missione delle Nazioni Unite. Troveremo le modalità per farlo”.
E anche quelle del ministro della Difesa La Russa che si è spinto oltre: “la razionalizzazione del contingente italiano in Libano, che, oggi, è ancora il più numeroso dovrebbe portare dagli attuali 1.700 uomini a circa 1.000-1.100, un livello uguale a quello spagnolo”.
In questa possibile escalation del conflitto con Israele, non si può sottovalutare un possibile coinvolgimento della Siria nel conflitto che l’Iran intende avanti contro gli Stati Uniti. Nel braccio di ferro tra l’Iran e gli Stati Uniti, i primi minacciano di ostacolare, se non bloccare completamente, il flusso di petrolio nel Golfo Persico, tramite attacchi diretti alle petroliere. Il pericolo maggiore potrebbe essere rappresentato da un’instabilità permanente (o di lungo periodo) dovuta alla chiusura dello Stretto di Hormuz che potrebbe esser minato dai Pasdaran, bloccando così per molto tempo la navigazione ed i commerci.
L’Iran ha deciso di spostare la “battaglia” per lo Stretto di Hormuz e di aumentare la propria presenza militare in questa regione. È stata, infatti, inaugurata dall’Iran una nuova base navale nell’area orientale dello Stretto di Hormuz, allestita nel porto di Jask, sviluppo che consente al Paese di aumentare le capacità di interdizione marittima del Paese sullo Stretto.
Eventi che rappresentano una escalation di azioni belliche in vista delle minacce israeliane di attaccare l’impianto nucleare iraniano, minacce che sono parte del piano statunitense per la regione.
Lo Stretto di Hormuz, attualmente uno dei luoghi strategicamente più importanti della Terra, descrivendo una specie di gomito separa la Penisola arabica dalle coste dell’Iran e da qui transita circa il 40% di tutto il petrolio prodotto nel mondo. Il fatto che questo passaggio marittimo separi le coste dell’Iran da quelle degli Emirati Arabi Uniti (EAU) aumenta considerevolmente la sua importanza.
L’attacco di Sidone, dall’altro lato, potrebbe essere pure un messaggio alla società dei Fratelli Musulmani (Ikhwān al-Muslimūn) siriana. L’associazione, originariamente egiziana, di tipo politico (ma anche sociale, assistenziale e culturale) il cui intento era di occuparsi del riscatto dei lavoratori arabi. La Società dei Fratelli Musulmani è oggi un’organizzazione che ha mantenuto i propri obbiettivi originari: diffusa in 8 paesi del Medio Oriente (Egitto, Libia, Giordania, Tunisia, Marocco, Siria, Sudan e Palestina) gode dell’appoggio del 30% della popolazione egiziana.
I Fratelli Musulmani sono l’unica forza politica organizzata in Siria, e probabilmente il messaggio sarebbe quello di emergere come soggetto politico nel paese, iniziare a finanziarsi e sostenersi da soli. Ed è proprio dei giorni scorsi la notizia che il presidente siriano Bashar el-Assad ha decretato un’amnistia generale “per tutti i detenuti politici ed anche per i membri dei Fratelli musulmani”, applicabile a tutti i delitti commessi prima del 31 maggio.
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novembre 26, 2015