(Anthony Brown e Clara Salpietro) – L’Iran conduce con determinazione una politica di potenza, continuando una tradizione che lo Scià aveva a sua volta ripreso dalla storia millenaria del Paese, volendosi affermare a livello regionale con ambizioni globali e contendendo la sua preminenza ad un altro Paese con un approccio storico anch’esso imperiale: la Turchia.
Pur se il Paese è il secondo produttore di greggio, l’economia iraniana si è diversificata nel tempo ed è stata resa più dinamica, contrariamente a quanto avviene nei paesi arabi.
Purtroppo soffre ancora di un ritardo tecnologico per cui deve ancora importare manufatti, compresi i prodotti raffinati del petrolio. L’embargo non lo aiuta nell’emergere, neanche a livello regionale, e gli Stati Uniti controllano saldamente il Golfo Persico, un’area vitale per l’economia mondiale perché sede delle riserve mondiali di idrocarburi e via commerciale vitale per il loro trasporto, con le truppe schierate in Iraq e con le basi nei Paesi arabi del golfo.
Sul piano politico invece il gioco iraniano è efficace se non addirittura aggressivo e, soprattutto, molto costoso da contenere.
Paradossalmente, pur essendo accerchiato dalle forze militari statunitensi, la Repubblica islamica ha tratto grande beneficio e la sua influenza è aumentata sensibilmente con la caduta dei talebani nel 2001 e quella del regime baathista nel 2003. Lo stesso ha inoltre beneficiato della politica di disimpegno mantenuta dagli Stati Uniti rispetto alla questione palestinese.
L’ascesa al potere di Ahmadinejad ha spinto verso una nuova fase di ideologizzazione costituendo, con la sua retorica, un richiamo forte per tutti gli sciiti soprattutto quelli del mondo arabo e che riporta alla memoria il grande ascendente che ha avuto nei loro confronti l’Ayatollah Khomeini nei primi anni della rivoluzione.
Con il movimento hizbullah gli iraniani hanno assunto una posizione ecumenica e si sono proposti, soprattutto con Hamas, come paladini della causa dei palestinesi che sono sunniti.
Gli iraniani e i turchi si sono contesi l’influenza regionale in Medio Oriente e nelle Repubbliche centro-asiatiche.
Sul piano economico sono in gioco i territori che ospiteranno le reti per il trasporto degli idrocarburi dalle Repubbliche centro asiatiche al Mediterraneo, affrancando così i Paesi europei dal monopolio del gas russo.
Le vie possibili sono quelle attraverso l’Iran o attraverso la Turchia provenienti rispettivamente da Turkmenistan o Azerbaijan.
In particolare, secondo gli analisti, il Consorzio che ha messo in piedi il “piano Nabucco” per l’approvvigionamento del gas naturale dall’Azerbaijan ha subito un incremento dei costi tali da renderlo antieconomico.
Lo stesso ha davanti a sé due sole alternative: la prima prevede un totale abbandono di Nabucco a meno di dieci anni dall’avvio dei primi studi di fattibilità. La seconda opzione è invece legata alla possibilità di creare una fusione, facendo confluire Nabucco in un progetto allargato per un altro gasdotto, riducendo i costi e rilanciando il progetto che potrebbe attirare un maggior numero di investitori.
Il costo stimato per il gasdotto è aumentato sensibilmente e il Consorzio è ancora alla ricerca dei fornitori per Nabucco, progettato per trasportare 31 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno. Secondo le autorità dell’Unione Europea, sostenitori del piano Nabucco sul piano politico, il 2011 è l’anno cruciale per decidere se realizzare o meno il progetto. Anche se il Consorzio ottenesse un contratto, il problema non sarebbe comunque risolto del tutto, perché il sito di Shah Deniz II potrebbe fornire al massimo 10 miliardi di metri cubi di gas, un terzo dell’intera capacità di Nabucco.
I responsabili del progetto guardano al Kurdistan iracheno come una soluzione per ottenere altro gas. La regione autonoma ha dato la propria disponibilità, ma per recuperare le loro risorse occorrerebbe costruire un gasdotto secondario lungo 550 chilometri per trasportare poi il gas attraverso la Turchia e farlo arrivare all’infrastruttura principale, con costi aggiuntivi difficilmente sostenibili.
La posta in gioco è elevata e un’eventuale demonizzazione del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) in territorio iracheno, nei piani iraniani, insidierebbe il progetto e potrebbe far propendere gli investitori verso la via iraniana delle reti di distribuzione energetiche.
Questa potrebbe essere la chiave di lettura per interpretare l’attacco in massa del 12 luglio scorso da parte dell’Iranian Revolutionary Guards Corps (IRGC) che ha sconfinato nel Kurdistan iracheno con 10.000 soldati, anche se i governi europei non sono così miopi da accettare una simile offerta!
L’economia è ancora l’arma in mano all’Occidente per contenere l’intraprendenza politica persiana.
EU Commission welcomes decision on gas pipeline: Door opener for direct link to Caspian Sea
luglio 2, 2013