(di Anthony Brown) – L’attuale situazione di crisi economica che ha messo a dura prova i governi mondiali, ha comportato soprattutto per alcuni Paesi quali l’Irlanda, l’Islanda e l’Italia una drastica riduzione dei fondi destinati alla Cooperazione e allo Sviluppo.
Malgrado una serie di impegni presi nell’ultimo decennio (il Millenium Development Goals del 2000, la Dichiarazione di Parigi del 2005, la Agenda for Action di Accra in Ghana del 2008 e il più recente Forum di Busan in Corea del 2011), il rallentamento dell’economia mondiale ha spinto alcuni governi nella direzione opposta.
Gli Stati Uniti hanno creato il Programma di Assistenza Europeo (il Piano Marshall) per fornire aiuti finanziari ed economici su larga scala per la ricostruzione europea mitigando le rigide regole fissate a Bretton Woods e consentendo all’Europa di superare la grave crisi determinatasi alla conclusione del conflitto mondiale; per contro, gli Stati Uniti hanno beneficiato, in breve tempo, del mercato europeo per le proprie esportazioni e per l’espansione dei propri capitali.
Più in generale, gli interventi a favore dello sviluppo non avvantaggiano solo i paesi poveri ma nel lungo periodo contribuiscono allo sviluppo dell’economia mondiale.
Inoltre, dopo l’11 settembre, ci si è resi conto che la ricostruzione di istituzioni politiche legittime è un modo di prevenire fenomeni di violenza.
Dopo un declino della Cooperazione e sviluppo vi è stata, negli anni ’90, un’importante riaffermazione degli aiuti da destinare allo sviluppo consentendo fra l’altro miracoli economici in paesi come Brasile, India, Indonesia, Corea, Messico e Turchia. Questi stessi Paesi contribuiscono a ridurre la povertà assistendo economicamente i due miliardi di abitanti della terra ancora in stato di indigenza.
La povertà non giova all’economia mondiale, né alla stabilità politica nel mondo; mentre l’espansione dei mercati mondiali può contribuire alla ricchezza mondiale e a quella del nostro Paese.
In realtà nel sistema complesso dell’economia mondiale gli aiuti allo sviluppo sono un vero e proprio “effetto farfalla” che, a fronte di un piccolo investimento genera un ritorno incalcolabile.
Un indicatore interessante è rappresentato dal primo obiettivo che la povertà è stata sostanzialmente dimezzata a fronte di una popolazione mondiale che nello stesso periodo è raddoppiata. Per stimare i flussi finanziari correlati a questa attività possiamo considerare che nel 2008, gli aiuti della comunità internazionale si sono attestati oltre i 148 milioni di dollari americani per sostenere più di 97.000 progetti, che abbracciano un ventaglio di interventi che vanno dalla scolarizzazione e dalla salute fino alla ricostruzione politico-sociale e alla remissione dei debiti contratti.
Gli Stati uniti sono i principali donatori insieme a Commissione Europea e Fondo Monetario Internazionale, seguiti dal Giappone e dalla Germania.
Per quanto riguarda l’Italia, dal punto di vista economico dal 1985 al 2002, ultimi dati disponibili, il bilancio del Ministero degli Affari Esteri è passato dallo 0,57% del totale statale (2.247.634 milioni di lire) allo 0,3% (3.561.759 milioni di lire), molto lontano da quel 0,7% del PIL che i paesi membri dell’Onu si erano impegnati a destinare all’Aiuto Pubblico allo Sviluppo dei paesi del Sud del mondo (Millennium Development Goals (MDGs): sono otto gli obiettivi di sviluppo a livello internazionale che i 193 stati membri delle Nazioni Unite, insieme ad almeno 23 organizzazioni internazionali, si sono posti di raggiungere entro l’anno 2015 ed includono la lotta alla povertà estrema, la riduzione della mortalità infantile e il contrasto alle epidemie malattie).
Nel 2011 il bilancio dell’Italia per gli aiuti pubblici allo sviluppo è stato dimezzato. È una scelta in controtendenza rispetto a quella dei principali paesi europei.
I fondi disponibili per nuovi interventi disciplinati dalla legge L. 49/87 e dal relativo regolamento di esecuzione: il DPR n. 177 del 12/4/1988, sono inferiori ai 100 milioni di euro; una scelta in ossequio ad un principio morale di solidarietà, ma anche nell’ottica di un investimento nella sicurezza e nella stabilità internazionali.
A beneficio di coloro che criticano con insistenza il contributo del Ministero della Difesa alle attività di cooperazione e sviluppo ricordo che fra il 2002 e il 2005 il contributo di USAID degli aiuti americani diminuiva dal 50% al 39%, mentre il Dipartimento della Difesa incrementava lo stanziamento dal 6% al 22% implementando un nuovo approccio alle guerre moderne basate più sulle strategie per la conquista dei “cuori e delle menti” più che sull’uso della forza.
In questo particolare ambito è bene precisare che la fornitura di armi ed equipaggiamenti militari o i debiti contratti per spese correlate non possono essere contabilizzate quali voci di Cooperazione e sviluppo.
Di converso, le spese sostenute per aiuti umanitari lo sono come anche le attività condotte nell’ambito di missioni condotte o sotto egida Onu quali: sminamento, monitoraggio delle elezioni, addestramento di forze di polizia, smobilitazione di forze militari, distruzione di materiale di armamento.
I Paesi del G20 hanno un ruolo vitale nell’assicurare che gli aiuti per lo sviluppo siano mantenuti ai livelli auspicati dalle Nazioni Unite mantenendo l’impegno di garantire un maggior coordinamento dei donatori e una maggior efficacia degli aiuti stessi.
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