(di Gianpaolo Ceprini) – A fine giugno si è concluso a Berlino il vertice del Consiglio Europeo durante il quale si è discusso di misure economiche a favore dell’occupazione giovanile. Qualche decisione è stata presa, ma quale giovamento daranno alla nostra economia? Come e quando potremo utilizzare parte dei 6 miliardi stanziati dalla UE (che dovrebbero lievitare ad 8 entro il 2015) per interventi mirati a favore dell’occupazione? (foto a sinistra i partecipanti al Consiglio europeo del 27-28 giugno 2013)
Un vertice che avrebbe dovuto essere riservato ai quattro Paesi che componevano la Cabina di regia decisa nel precedente incontro di Roma, ha visto, invece, la partecipazione di tutti i grandi nomi di Bruxelles a partire da Barroso e Van Rompuy per finire ai rappresentanti di 20 Paesi.
Un vertice di cui ci si chiede la vera utilità e che gli stessi avversari politici della SPD hanno definito uno stratagemma elettorale della Cancelliera Merkel per le prossima tornata elettorale di settembre.
Dal canto suo la Cancelliera, forte delle riforme strutturali tedesche avviate a suo tempo dal Governo Schroeder e grazie alle quali il tasso della disoccupazione in Germania è sceso al 7,5%, ha fatto capire che questa è la strada se si vuole abbattere la disoccupazione o quanto meno contenerla entro cifre sopportabili per una economia produttiva. “In un continente che invecchia…non ci deve essere una generazione perduta” ed ha ragione, i giovani sono la risorsa di un Paese, essi sono il futuro pensante dell’innovazione e della produzione.
La Germania, forte del suo andamento congiunturale è tuttavia in deficit di manodopera specializzata ed ora fa di tutto per averla dai Paesi del bacino del mediterraneo con un vasto programma di integrazione e formazione.
La “ricetta tedesca” secondo la quale i paesi europei in crisi dovrebbero attuare una svalutazione implicita, a partire dal costo del lavoro e migliorando la flessibilità del mercato dell’occupazione ed intervenendo sulle leve fiscali, per dirla in breve la ricetta Schroeder portata avanti dalla Merkel, sicuramente vincente, ma in Germania e con le condizioni dell’economia tedesca.
Purtroppo però per ogni Paese europeo vanno calibrate le misure essendo ognuno un caso a se stante dove non è applicabile in modo uniforme un sistema di interventi generalizzato o meglio stereotipato, i condizionamenti congiunturali interni necessitano di misure diversificate se si vuole raggiungere il giusto obiettivo.
L’Italia si è presentata al vertice chiedendo un intervento finanziario di 1,5 miliardi per fronteggiare una disoccupazione giovanile del 23,8% che con gli under 25 va a 38,5% contro una media dell’eurozona del 12,1%.
Barroso non ha mancato tuttavia di dare un segnale al nostro Paese, facendo presente che nel pieno rispetto del Patto di stabilità ci verranno permesse deviazioni dal percorso del deficit strutturale. Lo stesso ministro Rehn (affari monetari) ha detto che il tetto del 3% e gli obiettivi di pareggio di bilancio non si toccano e nemmeno la discesa del debito pubblico previsto dal fiscal compact (un ventesimo) a partire dal 2015.
Ci autorizzeranno in sostanza un sorta di stop and go tra stasi e decrescita. Questo significa che a partire dal 2014 il nostro Paese avrà pochi margini di spesa per gli investimenti produttivi in termini di PIL.
Una flessibilità che dovrà comunque essere collegata alla spesa nazionale su progetti cofinanziati dall’UE nell’ambito della politica di coesione delle reti transeuropee Ten o di Connecting Europe (progetti per 23 miliardi in tre anni: 5 miliardi nel 2013, 9 nel 2014 e 9 nel 2015).
Progetti che la Cancelliera Merkel vuole realizzare utilizzando la Kreditanstalt Fuer Wiederaufban (la banca pubblica all’80% in mano allo Stato federale ed il 20% in mano ai Laender) l’istituto “privato” che gestì i fondi del piano Marshall nell’immediato dopoguerra e poi quelli della riunificazione delle due Germanie. Una Banca “fuori” del bilancio pubblico tedesco sottratta al controllo dei fondi pubblici, che può permettersi di concedere aiuti alle loro imprese senza incorrere in procedure di infrazione. Sarà in sostanza una forma di “commissariamento” dei più deboli con evidenti vantaggi per l’economia tedesca.
Molti definiscono questo sistema una nuova forma di neo-colonialismo che pregiudica la libertà economica dei più deboli finendo per fare non una grande Europa ma una nuova Grande Germania che guiderà un’Europa a due e forse tre velocità.
Molti pensano di uscire dall’Euro ed in sostanza dall’Europa. Personalmente credo che questa sarebbe la strada che porterebbe al crollo definitivo della UE e per chi lo fa non sarebbe alla fine il modo migliore per uscire dalla crisi economica e politica in cui versa.
Penso invece che il futuro dell’Europa è proprio nella coesione ma a condizione che non ci sia supremazia dell’uno sugli altri e viceversa.
Purtroppo le speculazioni finanziarie hanno prodotto i suoi effetti e tutti i Paesi che pensavano di avvantaggiarsene ora chi più chi meno si leccano le ferite cercando di correre ai ripari, dove si può.
Negli USA, principale responsabile di questi disastri, la FED ha adottato per le banche statunitensi gli standard patrimoniali fissati da Basilea 3 (l’accordo preso nel 2010 dai banchieri di 27 Stati con il quale avevano fissato le norme di salvaguardia per evitare che i mercati si dovessero ritrovare con un crollo analogo a quello del 2008 con la famosa bolla immobiliare) con il conseguente giro di vite alla leva del rapporto capitale/esposizione creditizia imponendogli nel 2019 una ricapitalizzazione per 4,5 miliardi di $ pari all’8% dei crediti concessi in funzione della valutazione del rischio (si è evitata così di affrontare il noto problema dei mutui immobiliari – subprime). Immediata la reazione di Goldmann Sachs e della Morgan Stanley che senza mezzi termini hanno detto che la moralizzazione del debito bancario americano produrrà effetti negativi non solo sull’economia statunitense ma anche oltre atlantico.
Ecco, torniamo ora a chiederci cosa ne sarà dell’occupazione non solo nel nostro Paese ma in buona parte dei Paesi europei?
Nei vari fori non si fa che discutere e programmare, prevedere e pensare, Youth Guarantee, Youth Employment Initiative, Flex – security, e via dicendo, potrei scriverne per ore, ma la domanda rimane: cosa fare per l’occupazione?
La UE se vuole evitare una crisi ben peggiore deve avviare queste misure con un sistema shock, ovvero costituire un Piano Marshall per l’occupazione, dotato di un fondo che investa in capitali umani. Un Piano al quale debbono contribuire tutti gli Stati, proporzionalmente alle rispettive disponibilità, che deve essere utilizzato per finanziare programmi a medio e lungo termine per l’occupazione prevedendo che i Paesi fruitori dei programmi possano restituire i finanziamenti a medio-lungo termine sotto il vigile controllo della UE o di un organismo ad hoc.
Diversamente, non contrastando le crisi finanziarie che attualmente attanagliano le economie dei Paesi maggiormente indebitati con l’avvio di una crescita produttiva forte rischiamo non solo di peggiorarle ma di non riuscire a venirne fuori.