(di Anthony Brown) Il 29° rapporto annuale della Commissione sull’applicazione della legge europea a pagina 30 riporta le infrazioni italiane alla normativa europea sottolineando un triste primato. La Commissione infatti ha avviato 135 procedure contro l’Italia alla fine del 2011, rappresentando il peggiore risultato fra i EU 27. L’Italia, in particolare, ha chiuso l’anno con più infrazioni del 2010 (128), ma meno del 2009 (151).
Quando uno Stato Membro non risolve la propria posizione irregolare, la Commissione avvia una procedura d’infrazione
ai sensi dell’Art 258 TFEU19 e può adire la Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Alla fine del 2011, 1775 infrazioni sono stati aperti.
Gli Stati Membri normalmente adottano adeguate misure per recepire le decisioni della Corte in tempi contenuti. Tuttavia, riporta lo stesso rapporto, alla fine del 2011, la Commissione ha dovuto continuare i procedimenti di contenzioso per 77 procedure d’infrazione dell’art.260(2) TFEU poiché gli Stati Membri non si sono adeguati ai giudizi della Corte. La maggior parte di questi casi riguardavano la Grecia (13), l’Italia (12) e la Spagna (8). La maggior parte delle infrazioni afferivano ai temi dell’ambiente (36), alcuni casi il mercato interno dei servizi (10) e i trasporti (8).
Ciascuno Stato membro è responsabile dell’applicazione del diritto dell’Unione nel suo ordinamento interno (recepimento delle direttive entro il termine stabilito, conformità e corretta applicazione delle disposizioni nazionali). I trattati assegnano alla Commissione europea il compito di assicurare la corretta applicazione del diritto dell’Unione. Di conseguenza, se uno Stato membro manca ai suoi obblighi, la Commissione europea dispone del potere, previsto agli articoli 258 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea e 106a del trattato CEEA, di ingiungere allo Stato membro di porre fine all’infrazione e, se questo non accade, di adire la Corte di giustizia (ricorso per inadempimento).
Per inadempimento si intende la violazione da parte di uno Stato membro degli obblighi impostigli dal diritto dell’Unione.
L’inadempimento può essere costituito da un’azione o da un’omissione. Si considera che il diritto dell’Unione sia stato violato dallo Stato membro, quale che sia l’amministrazione – centrale, regionale o locale – responsabile dell’inadempimento.
Prima di presentare un ricorso per inadempimento alla Corte di giustizia, la Commissione europea avvia un procedimento amministrativo detto “procedimento d’infrazione”, ossia un procedimento precontenzioso. Nella fase precontenziosa si tenta di indurre lo Stato membro a mettersi volontariamente in regola con il diritto dell’Unione.
La fase precontenziosa si articola in più tappe e può essere preceduta da una fase di indagine o di esame, specie quando il procedimento d’infrazione è stato avviato a seguito di una denuncia.
La prima tappa della fase precontenziosa è costituita dalla messa in mora: la Commissione invita lo Stato membro a comunicarle, entro un termine prefissato, le sue osservazioni sul problema di applicazione del diritto dell’Unione riscontrato.
La seconda tappa è costituita dal parere motivato, nel quale la Commissione esprime il suo punto di vista sull’infrazione e crea i presupposti per un eventuale ricorso per inadempimento, chiedendo allo Stato membro di porre fine all’infrazione entro un dato termine. Il parere motivato deve esporre in modo logico e dettagliato i motivi che hanno determinato il convincimento della Commissione europea che lo Stato membro abbia mancato agli obblighi ad esso incombenti in virtù del trattato.
La presentazione di un ricorso alla Corte di giustizia apre la fase contenziosa.
Secondo una giurisprudenza costante della Corte di giustizia stessa, la Commissione europea dispone di un potere discrezionale in materia di avvio del procedimento d’infrazione e di presentazione di un ricorso, anche per quanto riguarda la scelta del momento in cui adire la Corte.