(di Roberto Falaschi) – E’ certo che le perdite in mare siano una tragedia da evitare. Ciò però implica bloccare il percorso compiuto dai migranti per arrivare alle coste d’imbarco e non solamente da questo punto, quando il gran danno è già avvenuto.
I decessi nel viaggio verso la costa non sono certo meno numerosi di quelli in mare, ma non se ne parla.
I migranti che vengono feriti e spesso restano conseguentemente storpiati, sono ben più numerosi.
Le angherie morali e fisiche che devono subire sono inconcepibili dal comodo delle nostre abitazioni.
All’ordine del giorno sono le violenze sessuali, su uomini e donne e molte di queste ne restano incinte. Infatti nessuna di loro avrebbe intrapreso il faticoso e pericoloso viaggio verso l’Europa con tutte le alee che esso comporta in stato di gravidanza.
Se si vuole agire positivamente su questo problema non resta che bloccare alle partenze nei paesi di origine i migranti, salvo farne venire in zona Europa quanti possono avere un lavoro già assicurato da contratto. Ciò ridurrebbe enormemente i migranti “d’avventura”.
E quindi pressionare i governi locali a migliore amministrazione, ma a questo punto purtroppo si leverebbero alte proteste in ogni ambito internazionale da parte di questi Paesi chiedendo il rispetto della loro sovranità, che tradotto in pratica significa “facciamo dei nostri sudditi ciò che meglio crediamo”.
D’altra parte questo atteggiamento rasenterebbe un forte neocolonialismo provocando acute proteste interne nei nostri Paesi, dove del colonialismo si ricorda solamente il lato negativo, ignorando quanto di positivo stava compiendo.
Il risultato dell’atteggiamento tenuto specialmente in Italia è tale che incentiva questi “viaggi della fortuna” continuando a favorire i neomercanti di schiavi che si arricchiscono depredando e facendo pagare sia in terra che in mare prezzi esosi per trasporti altamente pericolosi.
Un tempo esisteva un proverbio che appare passato in disuso e che così suonava: “Il medico pietoso fa la piaga cancrenosa”.
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