(di Clara Salpietro) – Rispetto al passato, soprattutto dopo l’undici settembre 2001, è cresciuta in modo esponenziale la presenza di esperti e commentatori del terrore, che tentano di dimostrare una certa conoscenza e dimestichezza con la materia. Lo spazio che c’è tra l’evento e il cosiddetto “accertamento della verità” viene occupato da queste figure che mediaticamente elaborano la “versione credibile” dei fatti.
Di queste figure, a cui si aggiunge anche quella dei giornalisti, e della distinzione tra esperti e specialisti ne abbiamo parlato con il professor Vittorfranco Pisano, colonnello (Ris.) della U.S. Army Military Police e specialista in materia di sicurezza internazionale e conflittualità non convenzionale, il quale è stato consulente della Sottocommissione per la Sicurezza e il Terrorismo del Senato degli Stati Uniti e revisore dei corsi offerti dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti nell’ambito del Programma di Assistenza Anti-Terrorismo.
Prof. Pisano Lei, che si occupa di terrorismo ininterrottamente dall’ormai lontano 1978, mette in dubbio la presenza di esperti in materia.
A mio avviso non esistono, né possono esistere, esperti in materia di terrorismo quantomeno nel contesto globale. Il fenomeno è di per se complesso non solo a causa della clandestinità, fattore che più di ogni altro lo caratterizza e ne sfida la penetrabilità, ma altresì a causa dei differenziabili ambienti geopolitici e di conseguenza anche culturali e linguistici in cui il terrorismo di varie matrici si esplica. Esistono, piuttosto, unicamente specialisti.
In che consiste la distinzione?
Contrariamente alla figura dell’esperto, ovvero colui munito di assoluta perizia, gli specialisti sono coloro che si concentrano sulla materia nel tentativo di sviscerarla.
Anche lei sarebbe quindi solo uno specialista…
Si. Uno, molto modestamente, fra numerosi specialisti in materia e m’inchino a coloro più capaci e con più esperienza di me.
Come possono essere categorizzati gli specialisti o quantomeno coloro che si occupano sistematicamente o con notevole frequenza della materia?
Sono annoverabili specialisti che esaminano le specifiche radici ideologiche del terrorismo, ad esempio quello di matrice etnico-nazionalista oppure di stampo politico-religioso. Sono parimenti presenti specialisti che analizzano il terrorismo in particolari aree geopolitiche, così come ci sono specialisti che si dedicano a manifestazioni particolari quali il terrorismo cosiddetto “catastrofico” oppure quello commesso con modalità suicida. L’impostazione o angolatura dello specialista normalmente, o spesso, dipende dalla formazione universitaria e/o professionale da cui proviene. Ritengo, inoltre, che risaltino alcuni settori in cui operano specialisti o personaggi presentati come tali. Da qui, nei limiti della generalizzazione, si possono delimitare quattro categorie principali.
Le vuole sommariamente illustrare…
Comincerei con quella più nota al pubblico in generale: la categoria che abbraccia coloro che potremmo chiamare i “mediatici abituali”, personaggi la cui presenza è particolarmente assidua sul video nei rispettivi Paesi di appartenenza e talvolta anche all’estero. In molteplici casi si tratta di personaggi privi di pregressa esperienza nelle forze armate, in polizia o nei servizi d’intelligence e contemporaneamente portati all’autoreferenzialità. In alcuni casi sono state enfaticamente avanzate da costoro profezie non avveratesi. In altri casi le risposte date all’intervistatore si sono rivelate inesatte, mentre in ancora altri casi qualche “mediatico abituale” ha voluto sottintendere inesistenti legami organici da lui intrattenuti con ambienti riservati. Il limite principale di questa categoria è però la necessità, al fine di preservare la propria immagine, di dover dare una risposta anche in mancanza di competenza.
Mi sembra un tantino critico o sbaglio?
Lo sono stato negli anni che vanno dal 1978 al 1982. Infatti, scherzando con il bonario Robert Kupperman, all’epoca affiliato al Center for Strategic and International Studies di Washington e spesso intervistato in televisione, gli contestavo il suo stile “mediatico”. Ma mi fece cambiare idea Joel Lisker, già funzionario del Federal Bureau of Investigation e all’epoca coordinatore laico della Sottocommissione sulla Sicurezza e Terrorismo del Senato degli Stati Uniti. Lisker sosteneva – e mi convinse – che i “mediatici abituali” spesso generano lo stimolo da parte di persone, secondo lui più competenti, per affrontare approfonditamente e senza fare spettacolo lo studio del terrorismo.
Passiamo alle altre categorie?
Possiamo elencare gli accademici puri, i quali normalmente non entrano nel dettaglio delle strutture e dinamiche terroristiche, ma inquadrano – senza essere dei tecnici – il terrorismo in contesti storici o sociali più ampi e contribuiscono quindi ad un approfondimento culturale del fenomeno.
La terza categoria principale?
Quella dei giornalisti. Categoria sicuramente significativa. Ricordo, a proposito, che in un’intervista del noto programma televisivo statunitense ABC Nightline – messa in onda in diretta il 12 gennaio 1982 durante il sequestro del Generale James Lee Dozier da parte delle Brigaste Rosse – Howard Bane, già funzionario della Central Intelligence Agency, candidamente asserì: “Usualmente le prime notizie provengono dalla stampa e sono sicuro che è quanto avvenuto in questo caso”.
A suo avviso, quali sono i limiti dei giornalisti in materia?
Ne risaltano alcuni potenzialmente o effettivamente presenti: la mancanza di specializzazione in materia di terrorismo; l’urgenza di pubblicare la notizia, riducendo così la possibilità di verifica in profondità; il condizionamento derivante della politica editoriale della testata o servizio; l’eventuale impostazione ideologica, particolarmente nel caso del cosiddetto “giornalista investigativo”. Rimane comunque fondamentale la disponibilità della cronaca in materia.
E, per concludere, la quarta categoria?
Coloro che seguono il fenomeno terroristico da sedi istituzionali, quindi con accesso a notizie ed analisi sia riservate sia di pubblico dominio. Si tratta di un notevole vantaggio, ma non va dimenticato che anche in queste sedi il personale è addetto a determinati settori e non alla totalità del fenomeno nelle sue molteplici manifestazioni.
Mi consenta un’ultima domanda, stavolta piuttosto personale. Lei ha operato per decenni in ambienti istituzionali, ha insegnato in contesti universitari e di altri natura ed ha in attivo oltre duecento pubblicazioni. Quale ritiene essere il suo punto di forza?
Sono grato di godere della facoltà di rispondere “non lo so” quando non sono in possesso d’informazioni e di poterlo fare senza preoccupazioni d’immagine.
Sbaglio o allude ai “mediatici abituali”?
Per tutta risposta il Professore, o meglio, il Colonnello mi offre un enigmatico sorriso…
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