(di Roberto Falaschi) – Nel 1933 fu istituito l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (I.N.P.S.) con lo scopo ben preciso di erogare una pensione a tutte quelle persone che avessero contribuito per la loro vecchiaia. Naturalmente all’epoca nessuno aveva contribuito e quindi non era possibile erogare per quel tempo una pensione su base contributiva e pertanto venne stabilito di concederla in base ad una percentuale dell’ultimo stipendio/salario.
A rigor di logica ciò sarebbe dovuto essere valido per una generazione, o poco più, mentre invece demagogicamente fu lasciato in essere per decenni lo stesso metodo di pagamento. Giusto all’epoca, ma errato dopo i primi anni, in quanto avrebbe dovuto essere gradatamente sostituito.
Poi, come se ciò non bastasse, alla funzione di previdenza fu aggiunta successivamente all’I.N.P.S. anche quella di assistenza. Buona cosa l’assistenza a chi veramente la necessita, ma il problema fu, e resta, che detta assistenza viene erogata con i fondi accantonati dai lavoratori con i loro versamenti, diretti o indiretti, per la loro previdenza. Ciò rappresenta un uso improprio e all’occorrenza anche truffaldino dei soldi dei risparmiatori contribuenti.
L’accorpamento delle due funzioni previdenziali e assistenziali ha portato, come era da aspettarsi, ad un debito costantemente crescente dell’Ente. Per cercare di sanare la situazione catastrofica dei conti I.N.P.S. gli è stato accorpato sia l’Istituto Nazionale di Previdenza dei Dipendenti della Pubblica Amministrazione (I.N.P.D.A.P.), sia un certo altro numero di sistemi previdenziali di vari settori lavorativi.
Come se non bastasse, l’aver stravolto lo scopo originale dell’I.N.P.S. attribuendogli anche quella assistenziale, con conseguente insostenibile aggravio sulle sue uscite, con il tempo sono state varate leggi “clientelari ed elettorali” che hanno concesso pensioni piene a “gogo”, come ad esempio le così dette pensioni baby ed altre totalmente svincolate dai versamenti. Talvolta anche con contributi poco più che simbolici da parte dei beneficiari.
A questo si è ultimamente aggiunto il pastrocchio della legge Fornero che ha creato una categoria di non lavoratori e di non pensionati. E’ questo il lavoro di “tecnici” ai quali andrebbe lasciata la teoria e non l’amministrazione dell’Italia, salvo chiedere il rimborso per il grave danno arrecato ai cittadini ed allo Stato.
Non potendo l’I.N.P.S. reggere con i regolari versamenti questa magnanimità nella concessione delle pensioni, è finalmente venuto un lampo di furbesco genio da parte di alcuni politici e dirigenti dell’Ente consistente nel decurtare le meritate e sudate pensioni di quanti hanno contribuito per un’intera vita lavorativa e ciò al fine di rimediare ai dissesti dell’Ente che gli attuali gestori e politici e quanti prima di loro hanno creato. Si badi bene che il costo del dissesto si vuole far gravare su chi la pensione la ha guadagnata (sudata?) e non sulla spesa statale, alla quale contribuiscono tutti i cittadini con reddito (o quasi). Poiché l’I.N.P.S. è parte dello stato italiano e poiché vige una norma per cui lo stipendio/salario non può essere diminuito, come si dà che ai pensionati si vorrebbe togliere impunemente? Si tratta forse di cittadini di scarto?
La soluzione logica sarebbe quella di prolungare la durata del tempo lavorativo in maniera da diminuire le erogazioni ed al tempo stesso ottenere i loro contributi. Si obietta che deve essere lasciato spazio ai giovani, mentre in realtà la situazione lavorativa non deve essere statica in una società sana, ossia uno fuori e uno dentro.
Il sistema capitalista nel quale viviamo è dinamico nel senso che si espande e genera sempre nuove tipologie di lavoro nel mentre rende la maggior parte di quelli esistenti sempre meno gravosi. Si pensi alla catena di montaggio di un secolo fa ed a quella odierna. Al contempo i macchinari necessitano di essere ideati, prodotti e assidua manutenzione oltre a conoscerne l’uso.
Non si tratta di essere fanatici di quanto avviene in altri paesi, che non sono affatto meglio dell’Italia, ma semplicemente di osservare cosa funziona all’estero e di adattarlo alle esigenze nazionali. Non sarebbe difficile, ma necessiterebbe di buon senso oltre allo smantellamento di infinite rendite di posizione.
Comunque chi ci amministra sarebbe meglio che si adoperasse per non decurtare le pensioni a chi le ha guadagnate con i propri regolari e costanti contributi effettuati nel corso degli anni lavorativi.
Con l’aggravante di pretendere di spacciare per pensioni d’oro quelle che superano i tremila euro, ossia con una solenne presa in giro dei cittadini pensionati. Non è ammissibile ridurre le entrate a meno del trenta per cento di quanto avveniva in epoca lavorativa, tenendo anche presente che buona parte dei pensionati è stata costretta a lasciare un lavoro che probabilmente avrebbe continuato ancora per vari anni.
In più obbligando il sistema lavorativo a perdere esperienze pratiche ed applicabili acquisite nel corso della vita. Insomma le tasse aumentano, le pensioni calano e tutti i servizi peggiorano. Via i tecnici e ritornino i politici, possibilmente regolarmente eletti.
A New York incontro promosso dall’on. Nissoli con i dirigenti Inps
novembre 3, 2015