(di Roberto Falaschi) – Negli ultimissimi decenni è invalsa, avviata dagli Stati Uniti e sostenuta dalle Nazioni Unite, la prassi di avviare delle iniziative militari chiamate Peace Enforcing con il fine dichiarato di portare la pace e la democrazia in zone o paesi sconvolti da guerre intestine o, all’occorrenza, esportatori di terrorismo.
Tra le principali operazioni si è avuta quella in Serbia per il Kosovo, quella in Somalia per ristabilire l’ordine sconvolto dai Signori della Guerra, quella in Iraq per eliminare un dittatore propenso ad aggredire i vicini ed infine in Afghanistan. Un punto in comune di questi interventi è anche stato il concetto di portare la democrazia nel paese oggetto di attenzioni.
Ma vediamo quali risultati abbia dato questa attività che ha coinvolto, spinti dagli Stati Uniti, un consistente numero di Stati, soprattutto occidentali. inclusa l’Italia.
In Kosovo, dopo aver eliminato la repressione delle Serbia di Milosevic, la comunità internazionale non è stata capace di obbligare le due parti antagoniste a raggiungere un accordo, per cui il neo stato kosovaro deve ancora essere presidiato da truppe straniere. Questo intervento, che rappresenta un caso atipico, possiamo considerarlo un successo mutilato, come fu definita la vittoria italiana nel 1918.
Il repentino sbarco delle truppe statunitensi in Somalia ha parzialmente ristabilito l’ordine a Mogadiscio, ma constatato il pieno fallimento dell’operazione vi è stata quella che potremmo definire una precipitosa fuga, che ha coinvolto anche il contingente italiano. Da allora la Somalia è territorio conteso fra fazioni varie, quale più e quale meno facenti riferimento all’estremismo islamico con il risultato che le perdite umane ed i costi dell’operazione sono serviti unicamente a far “perdere la faccia” all’Occidente nei confronti della Jihad islamica.
Avendo l’Iraq invaso il Kuwait per annetterselo, una coalizione voluta dagli Stati Uniti e supportata dalle Nazioni Unite ha parzialmente occupato l’aggressore ridando l’indipendenza all’aggredito. Tuttavia il regime dittatoriale iracheno rimase saldamente al potere, in compenso quale aspetto positivo dell’operazione incompiuta si ebbe un avvio d’indipendenza per i kurdi, che da lungo tempo vi aspirano. Quella di non riconoscergliela e smembrare questo popolo tra vari Stati fu una delle tante “imbecillità” compiute all’indomani della Grande Guerra.
Gli Stati Uniti decisero di intervenire nuovamente contro l’Iraq adducendo motivi vari ben noti, in parte veri, in parte presumibili ed in parte probabilmente sballati ed a tal fine fine crearono la “Coalizione dei Volenterosi” con lo scopo di portarvi la democrazia. L’invasione fu rapidissima e la stessa celerità ebbe il totale smantellamento delle infrastrutture statali del paese facilitando così l’insorgere di anarchia e di una forte resistenza alla loro presenza così come a tutti i partecipanti alla coalizione, inclusa l’Italia. Dopo vari anni di guerriglia la “coalizione”, ma di fatto gli Stati Uniti, riuscì ad instaurare una sembianza di democrazia e di governo che consentì di lasciare all’Iraq l’autogoverno. Naturalmente “l’abbandono a se stessa della neodemocrazia”, perché tale fu il ritiro delle truppe, consentì a vicini e ad estremisti di manifestare la propria presenza con pressioni diplomatiche/economiche e con atti di terrorismo.
Conclusione: Gli iracheni possono certamente affermare che si stava meglio con la dittatura. L’unico aspetto positivo si è avuto per i kurdi che possono cominciare ad aspirare concretamente ad un’ autonomia.
Il Regno dell’Afghanistan fu rovesciato da un golpe repubblicano sostenuto dall’Unione Sovietica che per aumentare la sua influenza invase il paese scatenando una lunga guerra d’indipendenza che si concluse con il ritiro dell’“Armata Rossa” e con la vittoria degli “Studenti Islamici”, ossia dei sostenitori dell’estremismo islamico. Questi non solo governarono imbarbarendo un paese già arretrato, ma ne fecero un asilo per gli estremisti islamici ed un centro di addestramento per terroristi. La storia, maestra di vita, insegna che quell’area non può essere dominata con la forza, vuoi per l’asperità geografica, vuoi per la pugnacità di quelle genti, per cui da circa un decennio una coalizione di stati, tra i quali l’Italia, è impegnata in una lotta che potrebbe essere definita inutile, anche per il supporto che i combattenti ribelli ricevono dai loro correligionari vicini e lontani oltre che da stati che sfruttano la circostanza per espandere la loro influenza.
E’ stato quindi deciso di ritirare il contingente militare straniero lasciando alle forze locali il compito di combattere gli insorgenti. Tra breve anche questa operazione sarà terminata inconcludentemente e vediamo di esaminare i probabili prossimi scenari.
Priva di supporto l’economia afghana collasserà ed in conseguenza anche la potestà politica del governo centrale, che al massimo riuscirà a controllare Kabul e dintorni, sia pure con una certa difficoltà. Il sud sarà sotto controllo talebano, non vi sarà alcune forma economica che essi non controllino e Kandahar ne sarà la capitale.
Considerando che con l’aiuto straniero si è costituito un esercito ben armato ed una polizia di notevoli dimensioni e che il collasso politico/economico non consentirà allo stato centrale di pagarne i membri, questi si sbanderanno e diverranno o signori della guerra o lavoreranno per questi. Già si può constatare come gruppi etnici e signorotti si stiano organizzando in tal senso. E’ anche facile prevedere che i potentati che si formeranno si combatteranno fra loro creando un cangiante sistema di alleanze rompicapo per chiunque voglia raccapezzarcisi.
Le arterie principali, che si deterioreranno gradatamente per mancanza di manutenzione, non saranno percorribili senza pagare i vari pedaggi e diverrà difficile, rischioso e dispendioso affrontare qualsiasi opera di ampio respiro, così come difficilmente si realizzeranno l’oleodotto transafghano o lo sfruttamento di giacimenti minerari. In compenso aumenterà la già abbondante coltivazione del papavero (papaverus bactriata) che andrà a sostituire la produzione di generi alimentari causando per miseria e fame l’esodo di una gran quantità di profughi, tra i quali alle organizzazioni terroristiche non sarà difficile arruolare seguaci. Infine, tutto ciò che di sociale è stato introdotto, soprattutto per quanto concerne le donne, svanirà e l’insegnamento ritornerà alle madrasse.
Per concludere, l’Afghanistan cesserà di esistere come entità statale e ricchi signori della guerra narcoproduttori saranno in grado di influenzare le economie di aree geografiche contigue e non solo.
Da quanto esposto si possono trarre alcune conclusioni, tra le quali probabilmente la principale consiste nel rendersi conto che se inizia un’operazione di peace enforcing questa va portata a termine e che la sua durata avrà uno spazio temporale almeno generazionale o altrimenti aggraverà la situazione che ne aveva motivato l’avvio. Parimenti si deve tener conto dell’alto costo, sia in termini umani da ambo le parti, sia in termini economici. Questo porta a considerare l’aspetto politico: Può una democrazia contemporanea permettersi una simile impresa senza che questa si ritorca in patria contro i governi che la hanno intrapresa? Si possono sollevare forti dubbi in proposito.
Poiché in definitiva la motivazione addotta dagli Stati Uniti ed altri Stati occidentali per questo genere di operazioni è quella di introdurre la democrazia presso altre culture e la pace, è da domandarsi in primo luogo “ma loro la democrazia la vogliono?” anche alla luce della circostanza che non sanno cosa sia. E perché dovrebbero essere sprecate delle risorse per lasciare alla fine dell’intervento, come ora avviene, una situazione umana peggiorata, in definitiva creare dei mostri?
All’Italia la presidenza della conferenza generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica
settembre 16, 2015