Nikolay Romanov, il membro più anziano dell’ultima dinastia imperiale russa,
è scomparso in Toscana, all’età di 91. Lo ha riferito all’ agenzia di stampa ITAR-TASS il fratello più giovane Dimitry Romanov lunedi 15 settembre.
Nikolay Romanovich, afferma l’articolo, era il ramo più anziano dell’albero genealogico della dinastia reale dei Romanov.
Nikolay aveva formalmente presieduto la famiglia dal 1990. Nikolay, conosciuto tra i suoi famiglia come il principe Nikolay Romanovich e nato in Francia e ha visitato per la prima volta la Russia nel 1992. Poco dopo, ha fondato il Fondo Romanov per la Russia, che fornisce assistenza finanziaria a ospedali e asili russi.
I Romanov sono stati rovesciati durante la Rivoluzione d’Ottobre del 1917. Ma la storia non si lascia imbrigliare dalle fantasie degli uomini e mantiene sempre la sua coerente narrativa.
E cosi, malgrado un retorico riferimento al fallito esperimento della Unione Sovietica, il governo del presidente Vladimir Putin deve gran parte della sua ideologia ufficiale al pre-rivoluzionario Impero russo, con il suo capitalismo stato-dipendente e il suo tradizionalismo.
Si tratta di una strana Unione Sovietica, infatti, senza comunismo e con una riscoperta religione di stato a sostenere il nuovo zar. Una Novarossiya questa appena descritta condita da nuovi divieti alle libertà politiche e alla libera espressione della società civile, una censura di Internet che si diffonde come un cancro e un giro di vite sui diritti, questo è, in sostanza, uno Stato con un complesso anti-occidentale e un’istintiva propensione per un conservatorismo che richiama la real politik militare d’altri tempi.
Il risveglio sovietico è stato reso possibile dal fatto che burocrati sovietici, come Putin appunto, sono rimasti la spina dorsale dello stabilimento governativo che aveva sostituito l’ideologia imperiale con il nazionalismo. Ma, un 21 ° secolo, che si è dimostrato di gran lunga più complesso del secolo buio, ha colto impreparata una Russia che non si è ripresa dai guasti della economia collettivista dei soviet e che ha sperimentato il crollo del PIL nel corso del 1990 che, a detta leader economista russo Konstantin Sonin, è stato peggio che durante la seconda guerra mondiale.
La terra degli zar si è rifugiata, cosi, nella sicurezza storica e nella retorica imperiale accentuando i toni in concomitanza con l’esordio della crisi ucraina. Un momento storico di grande valore simbolico tenuto conto che dopo la sanguinosa guerra civile della “Guardia Bianca” contro i bolscevichi, la guardia imperiale si é ritirata in Crimea nel 1920: l’esilio di tutto un esercito rimasto a lungo inquadrato anche all’estero rimase sempre fedele agli ideali dell’Impero.
Il tentativo di ricostruire l’Unione Sovietica è condannato al fallimento: lo dimostrano il dissenso interno e le manifestazioni anti-Putin del biennio 2011-2013. Tuttavia, l’economia è l’unica variabile che nuovamente solleciterà la società russa a riscattarsi dalla sua nostalgica reverie imperiale.
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L’articolo sul Moscow Times