(di Roberto Falaschi) – E’ ingenua convinzione di chi in buona fede intenda “fare del bene” a popolazioni che per motivi bellici soffrono che la loro azione venga apprezzata dagli assistiti, il che non è necessariamente vero.
E’ indispensabile per poter interagire con culture differenti conoscerle ed agire secondo il loro modo di pensare e quindi comprendere anticipatamente quelle che saranno le loro reazioni. Più le popolazioni sono ignoranti e più è difficile prestare loro aiuto.
Purtroppo molti di questi “cooperanti fai da te” ignorano le regole minime per poter lavorare nel settore della cooperazione, che richiede non solo una specifica preparazione, ma anche un’organizzazione solida alle spalle. E’ assoluta incoscienza precipitarsi con pacchi dono nel cuore della mischia.
La beneficenza ha le sue regole il cui rispetto è fondamentale per non offendere l’amor proprio dei riceventi. Inoltre, chi crea e mantiene uno stato conflittuale in una determinata area geografica non concorda necessariamente con quanto compiuto dai singoli, per una serie di motivi dei più svariati.
Anzi potrebbero essere decisamente contrari a tali interventi, specialmente se compiuti da donne che si muovono autonomamente in ambienti nei quali in base al loro credo religioso esse dovrebbero stare a casa ed uscirne solamente accompagnate da un uomo della famiglia. Altrimenti sono femmine di malaffare, cosa per noi occidentali difficilmente comprensibile, ma assolutamente naturale per loro.
Quindi se consideriamo che gli operatori di serie e rinomate O.N.G. della cooperazione corrono rischi, sia pur calcolati, ne risulta che recarsi allo sbaraglio in aree conflittuali è pura incoscienza che pone in una situazione pericolosa anche chi poi si adopera per portare avanti le trattative con i sequestratori ed obbliga a consumare moneta che potrebbe essere messa a miglior frutto, eventualmente anche a favore delle popolazioni colpite dalla guerra. Invece il ricavato dei ricatti servirà per alimentare il terrorismo e causare nuove morti.
Sembrava opportuna questa premessa per dare una visione sommaria della questione della cooperazione.
La prima obbiezione che viene di fare contro il diniego di riscatto è quella che lo Stato italiano non pagando condanna a sicura morte le vittime del sequestro.
Il sentimento vorrebbe quindi che il pagamento avvenisse il più rapidamente possibile. Ma un governo deve agire secondo logiche ben diverse che vadano nell’interesse generale e non del particolare. Non solo si alimenta l’industria del sequestro con i pagamenti, ma al contempo si finanziano i movimenti che portano avanti il terrorismo e che con i fondi così acquisiti compiono nuovi attentati con la perdita di numerose vite umane.
Se altri paesi democratici che hanno abolito la pena di morte dal loro codice penale hanno assunto la posizione negativa verso l’accondiscendenza nei confronti dei sequestratori evidentemente hanno ben ponderato i pro ed i contro in termini generali e la decisione non è certo stata assunta per motivi monetari.
Gli stati occidentali e l’Italia per quel che ci riguarda, avrebbero il dovere di scoraggiare sia il turismo in località a rischio, sia la cooperazione fai da te che non solo non produce alcun risultato veramente positivo per gli assistiti (non dare il pesce, ma insegnare a pescare), ma sottopone a seri rischi chi si avventura in imprese per le quali non ha né la necessaria preparazione, né l’appoggio indispensabile di uno Stato che possa esercitare le opportune pressioni presso i governi locali e pretendere la protezione per i cooperanti regolarmente accreditati.
E’ certo che se una o più persone si avventurano in un campo di battaglia non possono poi chiedere la protezione del proprio Stato, il quale non potrebbe far altro che pagare dei riscatti e quindi continuare ad alimentare quella situazione che magari i cooperanti fai da te volevano quantomeno alleviare.
Altro dovere che incombe sicuramente in capo ai governi democratici è quello di rendersi essi stessi conto che attualmente l’occidente è nuovamente sotto attacco da parte del mondo islamico e far ben intendere questa situazione alla cittadinanza. Non è credibile che oltre venti anni di attacchi terroristici siano avvenuti solamente per caso e che siano solo l’ opera di fanatici.
Se fanatici ci sono stati è perché sono stai indottrinati da vari imam in tal senso che si servono anche dei vari social network, delle innumerevoli moschee in paesi islamici e non e delle varie madrasse.
L’età del colonialismo prima e la Guerra Fredda poi avevano posto un freno allo spirito espansionistico dell’Islam, che già si era attenuato con la decadenza dell’Impero Ottomano. Con la fine dello scontro Est/Ovest è venuta a mancare una forza che tenesse sotto scacco l’espansionismo jihadista islamico, peraltro previsto nel Corano stesso ed è così ripreso lo scontro tra il Sud del Mediterraneo ed i paesi a Nord.
Attualmente questo espansionismo risente psicologicamente di ben oltre un millennio di sconfitte in quanto una volta esaurito l’impeto iniziale non è più stato in grado di acquisire i mezzi necessari per uscire vittorioso dallo scontro generando una grande frustrazione.
Poiché è assolutamente contrario contribuire al finanziamento di organizzazioni il cui scopo palesemente e ripetutamente dichiarato è quello di sopraffare la nostra cultura, ossia il nostro modo di vivere ed intendere il rapporto tra cittadini e stato, non appare consistente con gli interessi dell’occidente democratico pagare i riscatti.
In definitiva chi governa uno Stato deve tutelare gli interessi generali della nazione e quindi agire in base a questi ultimi che non coincidono con il finanziamento al nemico, visto che, volente o nolente, l’occidente subisce uno stato di guerra.
E’ dovere dei governanti rendere edotti i cittadini di questo stato di fatto anziché assumere un atteggiamento passivo solo controproducente. Chi negli anni trenta del secolo passato ha dovuto scegliere tra la guerra ed il disonore, ha scelto quest’ultimo ed ha avuto entrambi.
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aprile 18, 2016