(di Roberto Falaschi) – Lo scontro in Ucraina è ovviamente una questione riguardante prettamente la Russia e gli Stati Uniti, dove questi ultimi vanno rosicchiando il territorio che separa il “blocco russo” dal blocco “NATO”, che poi sarebbe di fatto quello americano.
La geografia ci mostra che la Russia è costituita da una massa di terra immensa comprendente, per avere un’idea, undici fusi orari, ma che non dispone di un mare aperto navigabile tutto l’anno e quindi si percepisce, come di fatto è un Paese assediato. Ciò la induce a creare un cuscinetto con i potenti vicini, attualmente Cina e Stati NATO e che gli Stati Uniti tendono gradatamente a far scomparire, credendo così erroneamente di favorire i propri interessi. In questi ultimi venti anni, a partire dai tre Stati baltici fino a Sud Europa, tutti i Paesi sono passati nel campo una volta definito occidentale.
Si è successivamente posta la questione degli Stati una volta parte dell’Unione Sovietica, che gli USA, unitamente alla Germania, cercano di portare sotto la propria influenza. Mentre la Russia post sovietica non era in condizioni di reagire, da qualche tempo e sotto l’impulso della presidenza di Vladimir Putin sta contrastando quest’avanzata statunitense e l’Ucraina è l’attuale terreno di scontro dove finanziamenti esteri hanno prima destabilizzato un governo vicino alla Russia democraticamente eletto per sostituirlo con uno di opposte tendenze. Un nuovo governo costituitosi con finanziamenti stranieri, così come lo sono stati gli eventi di Piazza Maidan.
Si è conseguentemente creata la questione “Crimea”, da secoli parte della tradizione russa e che rappresenta un punto delicato del sentimento nazionalista di quel paese. E’ una regione che per la sua difesa i russi hanno patito milioni di morti, si pensi solo alla guerra del 1856 con il lungo assedio di Sebastopoli ed al Secondo Conflitto Mondiale che vide per questa città un’epopea simile a quella di Leningrado (San Pietroburgo). Che nel 1956 la Crimea con un tratto di penna fosse regalata all’Ucraina da parte di Krusciov non ne cambia la “russietà”, come ha ampiamente dimostrato il recente referendum di annessione alla “Madre Patria”.
Quando l’Ucraina era parte integrante dell’URSS poca importanza aveva il cambio effettuato da Krusciov. Poteva essere tollerato con un’Ucraina indipendente fintanto che quest’ultima era politicamente vicina alla Russia, ma non certo quando questa passava sotto l’influenza occidentale. Oltre al sentimento patriottico, si pensi soltanto alla flotta russa del Mar Nero che era venuta a trovarsi in territorio se non apertamente “ostile”, quantomeno non amico.
Prima in Georgia e ora in Ucraina, la Russia sta ponendo uno “stop” all’avanzata dell’influenza occidentale.
Questo il quadro generale, ma in piccolo o in personale vediamo come si manifesta quest’attrito. Anzitutto con grandissimi finanziamenti allo stato ucraino, cosa ben nota ed alla luce del sole. Che poi soldi dei contribuenti europei e statunitensi vadano all’Ucraina in un periodo di severa crisi economica appare decisamente inappropriato dato che servono fondamentalmente a fomentare una crisi tra potenze e vantaggi personali, quali tutti i benefici sotto forma di facilitazioni che vanno ai magnati locali, anche in cambio di contraccambiati vantaggi a personaggi occidentali, soprattutto americani ed al più alto livello.
Ecco un esempio. Joe Biden è certamente il vicepresidente americano con la maggiore influenza nella politica estera USA dato che fu affiancato ad Obama proprio per gestire questo settore data la mancanza di esperienza di quest’ultimo in campo internazionale. Ignorando altri settori geografici, dove peraltro la politica estera non ha certo brillato durante questa presidenza, è interessante prendere conoscenza dei legami Biden/Burisma, principale società ucraina del settore petrolifero e gasiero.
Successivamente al cambio di governo a Kiev, Hunter Biden, figlio di Joe Biden ed influente avvocato d’affari, è cooptato nel consiglio d’amministrazione di Burisma quale esperto legale per le relazioni internazionali. Viene altresì cooptato Devon Archer, socio di Biden nella società di consulenza internazionale Rosemont Seneca e consigliere di John Kerry all’epoca della campagna elettorale del 2004.
Scopo di queste nomine sarebbe quello di contribuire a liberare l’Ucraina dalla dipendenza russa nel settore energetico sfruttando le risorse locali. Recentemente la Rosemont Seneca ha creato un fondo di private equity sino-americano con la Harvest GlobalInvestment di Hong Kong e la Bohai Investment di Pechino con l’obiettivo di reperire un miliardo e mezzo di dollari da investire prevalentemente nelle fusioni ed acquisizioni internazionali nel settore energetico, prevalentemente gas e petrolio.
Come riportato da stampa americana, vari esponenti democratici sono entrati con incarichi vari a far parte di Burisma, quali il capo dello staff di John Kerry (senatore del Massachussetts ed ex Segretario di Stato) David Leiter.
Inoltre uno degli strateghi delle comunicazioni del partito democratico è direttore della F.T.I. Consulting che è la società che cura le comunicazioni di Burisma.
Uno dei mezzi per portare all’indipendenza energetica l’Ucraina è quello di avviare lo sfruttamento dei giacimenti di gas dei quali il Paese abbonda. Molti, guarda caso, si trovano nella regione di Donetsk, (SUD/EST di Kiev) uno degli epicentri dei combattimenti con i separatisti filorussi. Il governo di Kiev ha già concesso le necessarie autorizzazioni e per reperire i capitali necessari un gruppo di senatori democratici l’estate scorsa ha chiesto al Presidente Obama lo stanziamento di ulteriori quaranta milioni di dollari di aiuti all’Ucraina.
Ma gli USA agiscono a favore della democrazia in Ucraina o al fine di assumere il controllo delle sue fonti energetiche? La domanda appare ridondante talmente è ovvia la risposta.
In tutto questo l’UE boicotta unitamente agli Stati Uniti, soli a trarne profitto, la Russia ignorando che quest’ultima è il suo principale fornitore di energia e quindi in grado di controboicottare spostando le vendite di gas e petrolio verso altre aree geografiche.
Certo India e Cina sono affamate di energia. Non a caso con l’acutizzarsi della crisi ucraina è stato concluso un accordo pluridecennale, che si trascinava da lungo tempo, russo/cinese per la fornitura di idrocarburi. Ma i paesi dell’UE e l’Italia per quanto ci riguarda, dove esporteranno quanto prima comprato dalla Russia considerando che per quest’ultima la massa dei prodotti di importazione europea è fungibile o non essenziale o reperibile altrove senza difficoltà?
Abbiamo finalmente scoperto che in un periodo di grave crisi economica l’UE può fare a meno di un ricco mercato. Oppure qualcuno ci guadagna a spese di tutti gli altri? Chi vivrà vedrà. Forse.
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