(di Clara Salpietro) – “Sicurezza nazionale e fuga di notizie”, è il titolo del workshop che si è tenuto a Roma il 5 maggio presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Roma Tre. L’evento è stato organizzato dall’Università Roma Tre e dalla Fondazione Multinational Intelligence Studies Campus con sede a Lugano.
Presenti i frequentatori del Master di II livello in Peacekeeping&Security Studies, esperti ed addetti ai lavori.
Il saluto di benvenuto è stato rivolto dalla professoressa Maria Luisa Maniscalco, ordinario del Dipartimento di Scienze Politiche, la quale ha evidenziato come “da tempo sicurezza e fuga di notizie siano temi fortemente dibattuti”.
Moderatore dell’incontro è stato il Rettore del Multinational Intelligence Studies Campus, professor Vittorfranco Pisano, secondo il quale “la fuga di notizie non è paragonabile allo spionaggio classico e lo dimostra Bradley Manning ed Edward Snowden”.
Il professor Pisano ha inoltre illustrato le procedure di contro intelligence che devono essere “valutate e seguite prima che sia concesso il Nulla Osta di Sicurezza a chi assume determinati incarichi”. Il NOS è necessario per avere accesso a determinate notizie.
Una domanda però rimane ancora senza risposta: nonostante esistano delle procedure di contro intelligence per prevenire lo spionaggio classico e la fuga di notizie, come è possibile che ci siano stati fenomeni come Bradley Manning ed Edward Snowden?
Il tema “Diplomazia e Riservatezza” è stato trattato dal ministro plenipotenziario Antonio Bandini, già Ambasciatore d’Italia in Norvegia ed Islanda.
“Il rapporto tra diplomazia e riservatezza – ha affermato l’ambasciatore – è di identificazione. Il diplomatico dovrebbe essere riservato quanto il medico e il confessore, anche se nell’ultimo secolo tutto questo è cambiato drasticamente. Si è partiti dalla riservatezza e cautela con cui un diplomatico in passato trattava un messaggio indirizzato alle autorità e si è passati a 257 milioni di fughe nell’epoca dell’informatica, mi riferisco a WikiLeaks che è stata la più grande fuga di notizie che un Paese abbia mai registrato”.
“Il principale strumento diplomatico a disposizione dell’ambasciatore – ha aggiunto Bandini – è per antica tradizione il rapporto che viene inviato direttamente al Ministero degli Affari Esteri e in rari casi al Capo dello Stato o al Capo del Governo sotto forma di lettera personale. In esso si consegnano i giudizi più confidenziali, quelli in cui l’ambasciatore esprime le valutazioni più gravi, se necessario anche negative, sulla situazione in generale e su quella del Paese dove opera, sullo stato delle relazioni bilaterali e formula suggerimenti e azioni spesso non prive di rischio per la propria posizione personale e del proprio governo, ove queste notizie divenissero noti al governo del Paese dove l’ambasciatore opera”.
“Un’informazione diplomatica – ha spiegato – è un’informazione privilegiata, critica, l’ambasciatore commenta il fatto. Il diplomatico cerca di essere il maggiore esperto della realtà locale. L’informazione che le ambasciate forniscono alle autorità politiche del proprio Paese è attiva ed orienta all’azione, è un’informazione destinata ad assistere il governo a prendere delle decisioni. L’ambasciatore deve arrivare a delle conclusioni”.
Sulla figura del diplomatico nel corso dei secoli, Bandini ha detto: “Siamo partiti dal diplomatico che era un signore riservato, educato, colto, attento analizzatore della realtà politica, che conosceva molto bene la storia e il contesto politico sociale del Paese, e siamo arrivati al diplomatico che è travolto dalla politica-spettacolo. Quando ho partecipato alla preparazione dei primi G7, il lavoro per noi diplomatici era di preparazione delle intese, quindi si negoziava, a volte per mesi e negli ultimi giorni si facevano notti in bianco. L’importante era il prodotto finale. Da 10-15 anni noto che l’importanza del summit è diventata quella dell’immagine che proietti, che mandi all’esterno”.
“La diplomazia – ha concluso il diplomatico – ha dovuto fare i conti negli ultimi anni con l’affermarsi straordinario dei social network. Certamente è importante adattarsi al mondo che cambia, ma non siamo in grado di sapere in anticipo come cambierà”.
Il generale di corpo d’armata Pietro Costantino, già Capo Dipartimento Ricerca Esterna – Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna, ha parlato di “Sicurezza ed Attività di Prevenzione”, spiegando come le minacce a cui bisogna far fronte sono: “la minaccia cibernetica; la minaccia nei confronti di determinati individui, ad esempio studiosi, scienziati, ricercatori e uomini di pensiero, e la minaccia che può arrivare da dipendenti infedeli”.
Il generale ha illustrato in dettaglio le procedure da mettere in atto per prevenire ogni tipo di minaccia che possa mettere in pericolo la sicurezza di dati, documenti e notizie.
Le infrastrutture critiche e le telecomunicazioni rappresentano un binomio imprescindibile sia dal punto di vista dello strumento di minaccia alle reti che dal punto di vista di bersaglio appetibile per bloccare un sistema Paese.
Il crimine informatico è infatti una piaga che può decretare il fallimento delle aziende, la sottrazione del loro patrimonio tecnologico e che depaupera la ricchezza delle nazioni.
“Ogni cosa deve essere salvaguardata – è stato il messaggio del generale Costantino – in quanto ogni settore è di interesse”.
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