L’onorevole Franco Narducci è intervenuto, nei giorni scorsi, nell’Aula di Montecitorio, a nome del Partito democratico in occasione della discussione delle mozioni concernenti iniziative in ambito internazionale e comunitario e in particolare in relazione alla situazione in Siria.
Il deputato ha sottolineato in Aula che per arrivare ad una soluzione della crisi siriana bisogna “compattare la comunità internazionale affinché faccia una pressione unitaria e convergente sul regime di Assad per tagliargli le unghie ed aprire una via diplomatica che oggi sembra francamente preclusa”, nonostante gli sforzi dell’ex segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan.
L’on. Narducci illustrando la complessa situazione geopolitica dell’area mediorientale e la centralità di Russia ed Iran ha evidenziato che occorre rafforzare l’opposizione democratica siriana allontanandola dagli influssi del fondamentalismo islamico.
Allo stesso tempo Narducci ha detto che: “convinti della nostra scelta di essere dalla parte di chi subisce un torto, l’Italia deve puntare su un reale rilancio del Piano Annan al fine di tutelare la popolazione e scongiurare la discesa del Paese in una aperta e devastante guerra civile”.
Intervento in versione integrale
Signor Presidente, onorevoli colleghi,
oggi parlare di Siria purtroppo vuol dire parlare di numeri e di numeri tragici. Vuol dire parlare di oltre 10.000 civili uccisi da un regime che sta massacrando il suo popolo, usando tutte le armi di cui dispone, l’artiglieria, i carri armati, gli elicotteri contro la stessa sua popolazione. Negli ultimi mesi numerosi sono stati gli appelli e le denunce di organizzazioni internazionali in merito alle gravi violazioni, in particolare nei confronti di donne e bambini e la stessa Lega araba ha avanzato la proposta di un’inchiesta internazionale sui crimini contro i civili, commessi in Siria, in particolare nella città di Homs e poi anche nelle città di Hula resa bersaglio di gravi bombardamenti.
Certo non è una situazione nuova la tragedia che vediamo consumarsi a Damasco e nelle altre città siriane. L’abbiamo già vista in Libia, l’abbiamo già vista in Egitto. La violenza contro il popolo che protesta e chiede il cambiamento è la inevitabile cifra tragica della lotta per la libertà, la democrazia, la dignità, parola cara ai popoli arabi che hanno avviato con coraggio questa straordinaria primavera araba.
Appare così evidente, così doveroso alle nostre coscienze democratiche intervenire per porre termine a una violazione così intollerabile dei diritti dell’uomo, a una violenza così indiscriminata nei confronti dei propri cittadini!!
E’ così lampante che siamo di fronte a uno di quei casi di “responsability to protect”, del dovere giuridico internazionale oltre che morale di salvaguardare l’integrità delle popolazioni in difficoltà per cui deve essere la comunità internazionale a farsi carico della protezione degli uomini e delle donne di fronte a un Governo che non solo non può assolvere più a quel compito ma che anzi diventa il nemico e il vessatore del proprio popolo.
Ed è da questo senso di urgenza, da questa volontà di assumersi le proprie responsabilità che scaturisce la giusta pronuncia, dura e unanime, del Parlamento italiano contro il comportamento del Presidente Assad e delle sue milizie.
Eppure proprio noi che siamo convinti della nostra responsabilità di tutelare, attraverso le Nazioni Unite e gli altri strumenti della comunità internazionale, i diritti dell’uomo, promuovendo lo stato di diritto e l’estensione delle garanzie democratiche, proprio noi dobbiamo acquisire una dimensione politica dell’internazionalismo democratico, dobbiamo saper distinguere situazioni geopolitiche diverse, renderci conto della praticabilità delle soluzioni, sapere che quello che è stato possibile in un luogo potrebbe non essere replicabile in un altro.
Cadremmo, se non lo facessimo, negli eccessi della dottrina bushista dell’”esportazione della democrazia”, con tutti i frutti avvelenati che essa ha portato con sé. Oppure non riusciremmo a rispondere alla obiezione, qualunquista e furba, che in nome di una coerenza astratta chiede interventi militari dovunque solo per ottenere egoistica e irresponsabile inazione in ogni dove.
Non ci sono consentite, invece, superficialità e generalizzazioni.
La crisi siriana, lo ricordiamo nella nostra mozione, si iscrive in un contesto regionale critico: i rischi evidenti per il Libano, il fondamentalismo quaedista, il ruolo della Siria nel conflitto israelo-palestinese, il conflitto sunnita-sciita, sullo sfondo, perfino la recente improvvisa crisi politica egiziana con lo scioglimento del Parlamento al Cairo rendono particolarmente complesso l’intervento internazionale. Soprattutto collegano la situazione siriana al più grande scenario della redistribuzione di ruoli e pesi nel Medio Oriente, un gioco che si sta giocando a Mosca nelle trattative sul nucleare iraniano e i cui protagonisti sono, oltre l’Iran, Israele e i paesi sunniti, la Russia e gli Stati Uniti con l’Europa in ruolo di comparsa e l’Italia fuori dalla stanza, vista la perdurante e intollerabile esclusione del nostro Paese, dal formato negoziale 5+1 che include, oltre a Parigi e Londra, Berlino ma esclude Roma.
Non solo il peso della tessera siriana nel mosaico mediorientale è maggiore di quello della Tunisia, della Libia o dello Yemen.
Dobbiamo anche ricordare che il regime di Assad nonchè il suo esercito sono più forti, più solidi e organizzati di quello di Gheddafi. Sono più protetti internazionalmente di quello di Ben Ali e soprattutto l’opposizione siriana appare più divisa e meno omogenea ed efficace di quella egiziana.
La conoscenza e la giusta consapevolezza non sono però sinonimo di immobilismo, di incertezza, di inazione. Nè tantomeno di codardia.
Sarebbe politicamente stupido e superficiale pensare che chi accantona le soluzioni meno realistiche e avventate vuole conservare lo status quo. Se anche diciamo che l’uso della forza deve davvero restare l’extrema ratio, con il forte impegno a non ricorrervi mai, non diciamo che questo regime può restare al suo posto.
L’Italia ha dato segnali chiari e inequivocabili per far capire non solo da che parte sta, quella del cambiamento e della libertà dei siriani, ma per far capire che intende giocare il suo ruolo in Medio Oriente, aiutare i siriani a compiere la transizione. Non sedere fuori dalla stanza ad ascoltare gli altri ma far valere il proprio ruolo da protagonista nel Mediterraneo.
L’Italia ha partecipato e applicato prontamente le misure sanzionatorie assunte dalla comunità internazionale. Ha promosso e adottato decisioni rilevanti come l’espulsione dell’ambasciatore siriano a Roma.
Con un decreto che sarà convertito nelle prossime settimane da questa aula, ha deciso di inviare osservatori non armati per partecipare alla missione, probabilmente insufficiente, delle Nazioni Unite in Siria. Ha organizzato e gestisce operazioni di aiuto e sostegno, anche se non adeguatamente visibili, alla popolazione siriana sfollata e in difficoltà. Non dimentichiamo, poi, che l’Italia guida la missione militare delle Nazioni Unite nel vicinissimo Libano, antica provincia siriana.
Oggi il Parlamento italiano si esprime con una mozione e indica una strada.
La soluzione è quella della costruzione di una compattezza della comunità internazionale che faccia una pressione unitaria e convergente sul regime di Assad per tagliargli le unghie ed aprire una via diplomatica che oggi sembra francamente preclusa, nonostante gli sforzi dell’ex segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan.
In questo senso due cose sono chiare. Da una parte, la Russia se vuole mantenere le sue aspirazioni ad un ruolo di primo piano in Medio Oriente non può continuare con un sostegno acritico al regime di Assad, sempre più indebolito ed oggetto di condanna da parte della comunità internazionale. Dall’altra, occorre stimolare una maggiore responsabilità e affidabilità internazionale dell’Iran, attore regionale ineliminabile, che permetta di pensare a un equilibrio di influenze e pesi politici, nel grande conflitto tra sunniti e sciiti, che non strangoli le aspirazioni alla libertà dei popoli, stabilizzi l’area e non attenti all’esistenza o all’indipendenza dei diversi Stati.
Crediamo poi che occorra rafforzare l’opposizione democratica siriana, sottrarla alle influenze più pericolose del fondamentalismo religioso, garantirgli maggiore unità e legittimazione e auspichiamo che l’Italia, come fa la Francia, abbia interlocutori affidabili nel Consiglio nazionale Siriano che cerca di rappresentarla.
Ancora, puntiamo su un rilancio del Piano Annan, come ha autorevolmente detto il nostro Ministro degli Esteri in una recente intervista, a patto che sia effettivamente messo in opera, al fine di tutelare la popolazione e scongiurare la discesa del Paese in una aperta e devastante guerra civile.
Onorevoli colleghi, forse la Siria è divenuta davvero “il ring del mondo” come dice il gesuita Paolo Dall’Oglio, espulso da quel paese dopo trenta anni di splendida testimonianza di amicizia e dialogo interreligioso. L’Italia e il nostro Parlamento devono avere la forza politica e morale non di salire su quel ring ma di farne scendere i contendenti, allontanare i perdenti che accanitamente si ostinano a continuare una violenza disperata contro il proprio popolo, far riconciliare chi ha in mano solo pezzi singoli del mosaico culturale e religioso siriano, convincendoli che un Paese si costruisce insieme, nella tolleranza reciproca e non sostituendo gli oppressori di un tempo con nuova intolleranza, nuova discriminazione, nuovo odio. Spero che il nostro Paese, l’Europa e la comunità internazionale possano essere un giorno all’altezza di costruire un Mediterraneo di pace.